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Gassmann prof moderno e una storia borderline

Dante Balestra vorrebbe essere il nostro John Keating. Ma tra Alessandro Gassmann e Robin Williams le differenze sono parecchie. Come tra Un professore e L’attimo fuggente. In realtà, la serie in onda su Rai 1 (giovedì, ore 21,40, share del 20,2%, 4,2 milioni di telespettatori) è un remake di Merlì, una produzione catalana arrivata a tre stagioni. Per la nostra rete ammiraglia è stato coinvolto Alessandro D’Alatri alla regia, l’«head writer» (senza pomposità, il capo degli sceneggiatori) è Sandro Petraglia, la società realizzatrice Banijay studios Italy. Dopo otto anni di lontananza, ora che la madre deve trasferirsi a Glasgow per lavoro, Dante torna a Roma per prendersi cura del figlio Simone. Affiora così il comprensibile rancore del ragazzo verso il padre inadempiente, nonché marito adultero. Per di più, il genitore finisce a insegnare filosofia proprio nella classe frequentata da Simone. Una situazione borderline. Non l’unica.

Balestra è un professore anticonformista che tiene lezioni all’aperto, affascina gli studenti con il suo carisma scapigliato e si prodiga per recuperare quelli più marginali. Di interrogazioni, invece, non si hanno notizie. L’unico che vi ricorre è l’odioso docente di latino, ridotto a macchietta. Purtroppo non è il solo luogo comune della sceneggiatura. Un altro è la lezione sull’amore platonico partendo dai graffiti sul muro della scuola, al fine di scongiurarne la riverniciatura. Un ulteriore è che, al primo incontro, il famigerato Dante si porta a letto la collega di matematica, prossima al matrimonio. E quando i due decidono d’interrompere la storia, non senza avvinghiarsi in sala insegnanti, sono fatalmente scoperti proprio dal figlio che non mancherà di presentare il conto. Tuttavia, lungi dal ravvedersi, Dante continua ad accendere relazioni alla frequenza di una per episodio. Placandosi, verosimilmente, solo nel rapporto con Anita (Claudia Pandolfi), confusa madre di Manuel con la quale anni addietro aveva condiviso una notte di ansie per i loro bambini, ora compagni di classe. Chi non riuscirà a placarsi, scoprendo la sua passione per Manuel, è proprio Simone. Chissà se al prof (fintamente) anticonformista basteranno le citazioni di Kant e Virginia Wolf per sciogliere l’intricato groviglio di sentimenti e inclinazioni. Ciò che è sicuro è che il progressismo educativo oggi di gran moda trova in Dante Balestra un esemplare credibile e ruffiano al punto giusto.

Infine, quanto lavoro per il gettonato Gassmann: poche settimane fa era un bastardo di Pizzofalcone, ora impersona un John Keating di Villa Borghese. Non sarà troppo anche per lui?

 

La Verità, 20 novembre 2021

Gomorra, western epico senza redenzione

Dopo due anni e mezzo di pausa, ammortizzati in parte dall’Immortale, il film spin off che ha mostrato Ciro Di Marzio ancora vivo lontano da Napoli, arriva dunque la quinta stagione di Gomorra (Sky e Now tv) . L’ultimo episodio della quarta risale al maggio 2019, la pandemia era di là da venire e nel frattempo il mondo è cambiato parecchio. È il principale motivo dello scetticismo con il quale ci si può accostare alla saga molto liberamente ispirata al libro di Roberto Saviano. Che cosa ci si poteva inventare per dare corpo ad altri 10 episodi dopo i 48 che hanno permesso a Gomorra di essere venduta in 190 Paesi e piazzarsi al quinto posto della classifica del New York Times tra le produzioni non americane? Ci si è inventati molto. Al punto che dopo un paio di puntate si è di nuovo catalizzati da quel microcosmo senza redenzione e senza forze dell’ordine, fatto di bassifondi acquitrinosi, tuguri e moto che sfrecciano accanto alle auto per freddarne i passeggeri. Il merito è della sceneggiatura solidissima (Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli i capi progetto), della regia dei direttori artistici Marco d’Amore (6 episodi) e Claudio Cupellini (4), e della recitazione del cast, a cominciare da Salvatore Esposito. Tutti insieme in grado di dar vita a un grande gangster movie con elementi di western epico, tragedia greca e riferimenti biblici. I dieci episodi corrono verso il duello finale ora che l’Immortale è tornato dalla Lettonia, dopo che Gennaro Savastano ha provato, invano, a seppellirlo vivo. Troppo blande le misure di sicurezza per impedirgli la facile fuga, e proprio questo è uno dei punti deboli della trama. «Ricordati che quando io sono per strada tu sei sempre secondo. Devi pregare Dio che non esca mai di qua», è la minaccia di Ciro a Genny. E ora che il momento è arrivato lui è solo e impaurito. Nemmeno la moglie Azzurra (Ivana Lotito) è più disposta ad aiutarlo dopo che l’ha abbandonata. Ci sono i vecchi clan che insidiano le piazze dello spaccio di cui liberarsi. Ma c’è soprattutto da prepararsi alla «resa dei conti». Perché il ritorno di Ciro ridà speranza e ricompatta i perdenti della prima faida come Sangue Blu (Arturo Muselli). Nelle strade di Secondigliano si consumano tradimenti e spietate esecuzioni, mentre i due antagonisti tessono nuove alleanze, servendosi di capibastone emergenti come il memorabile ’O Munaciello (Carmine Paternoster). La già nota e riuscita confezione – gli arredi delle case dei boss, i giubbotti, le pistolettate sorde e soprattutto le musiche dei Mokadelic – perfezionano il magnetismo nel quale si è assorbiti.

 

La Verità, 21 novembre 2021

Un paese di donne eroine e uomini infidi

Ci sono dei buoni contenuti professionali nella serie trasmessa in queste settimane da Raiuno che l’altra sera ha superato negli ascolti un big-match di Champions League come Barcellona-Roma (5,3 milioni di spettatori e il 20,72% di share per la fiction Questo è il mio paese di Raiuno, 4,5 milioni e il 16,27 per la partita di calcio su Canale 5). C’è del buon mestiere: conoscenza dei meccanismi narrativi, recitazione, una location indovinata e, soprattutto, c’è una storia italiana credibile, con le conflittualità pubbliche e private del nostro tempo. Niente di rivoluzionario, per carità. Niente di sconvolgente: un prodotto – di Cross productions – spendibile e vedibile su Raiuno, confortato da discreti risultati di audience.
Siamo a Calura (nella realtà Vico del Gargano), splendido paesino del sud arroccato sulle colline a strapiombo sul mare, soggiogato dalle trame delle famiglie mafiose. A far esplodere il contrasto tra bellezza del posto e malvagità umana è il ritorno di Anna (Violante Placido) che qui, da adolescente, aveva vissuto grandi amicizie e ora, docente di economia senza cattedra, ha convinto a cambiar vita il marito ingegnere (Fausto Sciarappa) e i tre figli, la più grande dei quali (Valentina Romani) inizia a filare col misterioso Cosimo (Cristiano Caccamo), primogenito di un potente latitante. Subito le vecchie amiche coinvolgono Anna in una lista civica finché, causa la malattia di Emilia, l’ex docente si ritrova sindaco in prima linea contro le connivenze tra i politici (Ninni Bruschetta) e la criminalità. Inevitabile che gli equilibri familiari siano messi a dura prova. Anche perché dal passato riemerge Corrado (Francesco Montanari), passione di gioventù mai definitivamente rimossa, e ora potente imprenditore in buoni rapporti con il capoclan locale (Michele Placido).
La sceneggiatura firmata da Sandro Petraglia e Elena Bucaccio e la regia di Michele Soavi ci portano nelle iniziazioni mafiose con rito pseudoreligioso e nelle processioni con la statua del santo portata a braccio dagli incapucciati affiliati ai clan. L’intreccio tra i poteri forti locali di cui parecchio si è letto di recente risulta credibile. Anche l’equilibrio tra vicende private e conflitti pubblici è ben bilanciato. Dove il realismo sparisce è nella manichea separazione fra buoni e cattivi della storia. Tra le donne, tutte figure positive, scorrono energia, complicità e spirito di resilienza, mentre gli uomini, salvo rare eccezioni, sono ambigui, vigliacchi, pusillanimi. Un cedimento al politicamente corretto e alle mode post-femministe da cui una fiction originale avrebbe potuto tenersi lontana, risultando certamente meno scontata.