Un paese di donne eroine e uomini infidi
Ci sono dei buoni contenuti professionali nella serie trasmessa in queste settimane da Raiuno che l’altra sera ha superato negli ascolti un big-match di Champions League come Barcellona-Roma (5,3 milioni di spettatori e il 20,72% di share per la fiction Questo è il mio paese di Raiuno, 4,5 milioni e il 16,27 per la partita di calcio su Canale 5). C’è del buon mestiere: conoscenza dei meccanismi narrativi, recitazione, una location indovinata e, soprattutto, c’è una storia italiana credibile, con le conflittualità pubbliche e private del nostro tempo. Niente di rivoluzionario, per carità. Niente di sconvolgente: un prodotto – di Cross productions – spendibile e vedibile su Raiuno, confortato da discreti risultati di audience.
Siamo a Calura (nella realtà Vico del Gargano), splendido paesino del sud arroccato sulle colline a strapiombo sul mare, soggiogato dalle trame delle famiglie mafiose. A far esplodere il contrasto tra bellezza del posto e malvagità umana è il ritorno di Anna (Violante Placido) che qui, da adolescente, aveva vissuto grandi amicizie e ora, docente di economia senza cattedra, ha convinto a cambiar vita il marito ingegnere (Fausto Sciarappa) e i tre figli, la più grande dei quali (Valentina Romani) inizia a filare col misterioso Cosimo (Cristiano Caccamo), primogenito di un potente latitante. Subito le vecchie amiche coinvolgono Anna in una lista civica finché, causa la malattia di Emilia, l’ex docente si ritrova sindaco in prima linea contro le connivenze tra i politici (Ninni Bruschetta) e la criminalità. Inevitabile che gli equilibri familiari siano messi a dura prova. Anche perché dal passato riemerge Corrado (Francesco Montanari), passione di gioventù mai definitivamente rimossa, e ora potente imprenditore in buoni rapporti con il capoclan locale (Michele Placido).
La sceneggiatura firmata da Sandro Petraglia e Elena Bucaccio e la regia di Michele Soavi ci portano nelle iniziazioni mafiose con rito pseudoreligioso e nelle processioni con la statua del santo portata a braccio dagli incapucciati affiliati ai clan. L’intreccio tra i poteri forti locali di cui parecchio si è letto di recente risulta credibile. Anche l’equilibrio tra vicende private e conflitti pubblici è ben bilanciato. Dove il realismo sparisce è nella manichea separazione fra buoni e cattivi della storia. Tra le donne, tutte figure positive, scorrono energia, complicità e spirito di resilienza, mentre gli uomini, salvo rare eccezioni, sono ambigui, vigliacchi, pusillanimi. Un cedimento al politicamente corretto e alle mode post-femministe da cui una fiction originale avrebbe potuto tenersi lontana, risultando certamente meno scontata.