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Da Augias a Serra, chi sono i nuovi guru d’opposizione

L’altra sera ce n’erano due, comodamente adagiati sulle poltroncine di La torre di Babele, nuovo caminetto antigovernativo di La7. Corrado Augias e Michele Serra, categoria guru d’opposizione. Il primo, con l’aria del vecchio saggio richiamato in servizio, transfuga dal servizio pubblico, causa emergenza democratica. Il secondo, costretto ad alzarsi dall’Amaca per gli improrogabili straordinari, motivati dalla medesima emergenza e, va detto, da una certa evanescenza di coloro che l’opposizione dovrebbero farla di professione.

Il dovere chiama; dunque, ai posti di combattimento. Augias e Serra, entrambi repubblicaner, sono i capifila delle due principali scuole di pensiero della nuova genia. La scuola romana e la scuola emiliana. L’altra sera si confrontavano sui «giovani». Capirete. Non hanno più fiducia nel futuro. Hanno paura del clima impazzito, della crisi economico sociale e degli attacchi terroristici. I giovani, dicevano un ottantottenne e un quasi settantenne, considerano l’Italia un «Paese in declino». La tesi è stata plasticamente rappresentata dalla cover dell’ultimo libro firmato da Serra con Francesco Tullio Altan (toujours Repubblica) intitolato Ballate dei tempi che corrono (Feltrinelli), «in cui si vede un popolo che va all’indietro», ha sintetizzato il capofila emiliano. Mentre invece bisogna cercare di uscire in avanti, «buttandola in politica», per esempio come si è fatto nelle bellissime manifestazioni del 25 novembre contro i femminicidi. Insomma, i «giovani, ai quali dobbiamo rivolgerci senza paternalismi», si è detto senza ridere, dovrebbero impegnarsi a scalzare chi comanda in quest’Italia retrograda.

È la summa ideologica del lavorio che di questi tempi agita le redazioni dei talk show, dei grandi giornali, delle tv militanti. Cercasi guru d’opposizione disperatamente. Meglio ancora, se dotato di muscoli demolitori. Detto degli straordinari di Serra, che dall’abituale sermoncino a Che tempo che fa ora è ovunque, e del richiamo in prima linea di Augias, da un po’ tutto questo gran daffare rimbalza tra La7 e il Corrierone, tra Repubblica e il Nove. Poi ci pensano siti e piattaforme a rilanciare ultimatum e invettive, implementando e viralizzando l’apocalisse imminente. Autori, cantautori, scrittori, opinionisti, comici, grandi firme, satiri e saltimbanchi sono in trincea mai come ora. L’operazione ha accelerato dopo lo scollinamento del primo anno di governo Meloni perché una serie di nefaste previsioni date per ineluttabili sono state puntualmente smentite. La correzione del Pnrr? Sicuramente bocciata e le rate rinviate sine die (come conferma l’arrivo della quarta tranche all’Italia, primo Paese dell’Ue). Le agenzie di rating? Ci avrebbero di sicuro declassato, innescando la procedura di default (come certifica il mantenimento degli standard e in un caso il miglioramento dell’outlook). Le alleanze internazionali? Godendo di zero autorevolezza, l’Italia si sarebbe rapidamente isolata (come mostrano le missioni con Ursula von der Leyen, il patto con l’Albania sui migranti e le classifiche di popolarità del premier di Politico e Forbes). Poi il Pil sarebbe sprofondato, l’occupazione crollata, l’inflazione avrebbe divorato i nostri risparmi e la popolazione assaltato i centri commerciali mettendo a ferro e fuoco città e campagne.

Pur al netto di alcune gaffe soprattutto a livello di comunicazione e immagine, dai corsi di «educazione alle relazioni» del ministro per l’Istruzione e il merito Giuseppe Valditara alle imprudenze del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, senza tralasciare la gestione di alcune situazioni in Rai, le cose non sembrano esser andate così. I fatti sono testardi e, purtroppo per i professionisti del campo largo, stretto, giusto o ingiusto, il problema della tenuta governativa sussiste. Perciò, saggiamente preoccupate, le migliori menti left oriented stanno producendo il massimo sforzo per chiamare a raccolta la crème. Il pontefice emerito della scuola emiliana Pierluigi Bersani, sempre in vena di metafore contro «le destre» («tra la Meloni e Salvini è in atto la gara del gambero a chi si allontana di più dalla lettera della Costituzione»), si è praticamente trasformato in un arredo degli studi di Otto e mezzo e DiMartedì. Complice un album di Canzoni da osteria, per compattare la squadra, ultimamente è sceso a valle anche Francesco Guccini. Il quale, prima ha guadagnato il salotto di Fabio Fazio, poi è rimbalzato sul Corrierone per confidare ad Aldo Cazzullo che lui non è convinto che Mussolini fosse un genio e che a rovinare tutto fossero quelli che lo circondavano… No e poi no: «Il Duce un genio non era; e temo non lo sia neppure la Meloni». Tiè.

Però, in fondo, gli emiliani sono dei simpatici gigioni. Lambrusco, tigelle, proverbi e una partita a rubamazzo.

Un pizzico di astio in più aleggia invece nella covata romana. La borgatara di Colle Oppio è un’usurpatrice. Mica ha studiato nei licei di Prati. Non ha l’erre francese e neppure l’armocromista. Stia manza, anche se è donna. Più dell’azionista Augias, la demolizione cafonal di Roberto D’Agostino partorisce tre o quattro necrologi governativi al dì, si dice ben visti dal sommo Sergio Mattarella. Per poi tracimare nei talk e nei giornaloni magisteriali. Quelli che, pure, sono già altamente rappresentati dall’attacco a tre punte, di solito composto da Massimo Giannini, editorialista di Repubblica, Annalisa Cuzzocrea, vicedirettrice della Stampa e Cazzullo, vicedirettore e firma principe del Corsera. Ubiqui e inflessibili. Spietati ed eleganti. Ma loro, più che veri e propri guru d’opposizione, sono alti funzionari in servizio h 24.

 

La Verità, 13 dicembre 2023

Grillo torna comico, punge Conte e attacca Bongiorno

Dopo Patrick Zaki, Vincenzo De Luca ed Elly Schlein, ecco Beppe Grillo presentarsi davanti all’acquario di Che tempo che fa. Più ancora che il Parlamento, dove agiscono deputati e senatori dem e pentastellati, e le piazze, dove si sventolano bandiere e si urlano slogan per battere le destre, è la televisione il territorio più visibile dell’opposizione al governo Meloni. Grillo arriva per consolidare l’altalenante intesa intravista in piazza del Popolo a Roma, con Giuseppe Conte presente alla manifestazione Pd, circondato dai suoi colonnelli e dai pontieri di Schlein? È la domanda che sta sottotraccia all’ospitata del comico genovese nel programma del conduttore savonese. Una connessione anche geografica, non senza spinose interruzioni nascoste nel passato. Ma risposte non ne sono arrivate. Grillo entra e porge a Fabio Fazio una campanella: «Se esagero, mi fermi». Il conduttore lo aveva presentato con gli epiteti e gli insulti che lo precedono nei suoi show a teatro: Grillo è il peggiore. «Sono qui per capire chi sono. Sono davvero il peggiore? Voglio capire in base a quello che voi vedete in me», dice rivolto al pubblico in studio. Intanto ingrana la retromarcia dalla politica: «Non posso condurre e portare a buon fine un movimento politico. L’ultima intervista che ho fatto in tv abbiamo perso le elezioni e quelli che ho mandato affanculo adesso sono al governo». È l’ammissione di un fallimento. Il comico, l’uomo di spettacolo subentra al leader del M5s. Anche se sottolinea alcune cose buone fatte o suggerite sulla transizione ecologica. Salta da un argomento all’altro, «la televisione finta», «le statistiche finte», i giornali online «che sono peggio di quelli cartacei, c’è la foto di un bambino morto e poi subito a fianco Jennifer Lopez in mutande». Fazio tenta di arginarlo. L’idea di promuovere il campo largo non passa. Poi «ci sono alcuni personaggi inopportuni, come l’avvocato Giulia Bongiorno, che è presidente della commissione giustizia e fa dei comizietti davanti ai tribunali». Per inciso, è anche l’avvocato difensore della vittima di stupro nel processo che vede imputato suo figlio Ciro. Fortunatamente il conduttore lo ferma.

Schlein, De Luca, Grillo: sul Nove il campo largo è una telerealtà certificata dal ritorno in televisione a quasi dieci anni dall’ultima volta, ospite di Bruno Vespa, del comico fondatore e ora garante del M5s. Era il 19 maggio 2014, praticamente un’altra era politica, quando Beppe Grillo si era accomodato sulla poltroncina bianca di Porta a Porta e aveva sparato la sua raffica contro l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, definito «l’ebetino». E ancora più lontani sono i tempi in cui, febbraio 2013, annunciando che sarebbe andato a cantare al Festival di Sanremo quell’anno condotto da Fazio, il comico genovese definiva Che tempo che fa il «programma stuoino del Pdmenoelle». Ora il Pdl non c’è più, è rimasto solo «il Pdmenoelle», nel frattempo diventato alleato dei Cinque stelle prima nel governo giallorosso e, potenzialmente, ora all’opposizione. Perché, soprattutto, adesso c’è la destra al governo e, dunque, ecco la rimpatriata dei liguri Fazio e Grillo, tra Francesco Guccini e Bella ciao, l’immancabile Roberto Burioni e l’ideologo della compagnia, Michele Serra. Il quale, in apertura di serata, con un’acrobazia consentita ai saltimbanchi dell’ideologia, citando San Francesco e «sorella morte», ha appoggiato il primato della volontà di morte dei medici inglesi sul desiderio di vita dei genitori di Indi Gregory.

Poi ci avevano pensato le grandi firme del giornalone unico a preparare il terreno alla questione all’ordine del giorno. Il campo largo si avvicina o no? «La piazza c’è, l’alternativa non ancora» (Massimo Giannini), «Le persone ci sono, adesso bisogna vedere i leader cosa costruiscono, anche perché a questo governo fa bene l’opposizione» (Fiorenza Sarzanini).

Ma Grillo ha scombinato i piani e deluso le attese. La sua autocritica sembra sincera e diventa un torrente inarrestabile, fra transizione ecologica e attacchi sparsi. Fa un sondaggio col pubblico: ditemi cosa devo fare, il comico o il politico? Ma queste idee le dai a Conte?, prova a riportarlo sul binario della politica Fazio. «Luigi Di Maio era il politico più preparato che avevamo. Siamo stati noi a scegliere Conte. Non si può fare l’opposizione totale, sempre: anche un orologio fermo due volte al giorno segna l’ora giusta. Questo governo è una decalcomania, più gli sputi sopra più si appiccica. Adesso lasciamo che facciano da soli. Conte l’abbiamo scelto perché non potevo andare avanti sempre con il vaffanculo. È un bell’uomo, laureato, curriculum prestigioso, sapeva l’inglese, quando parlava si capiva poco perciò era perfetto per la politica, poi è migliorato. Adesso ci mette un po’ più di cuore, siamo stati un movimento evangelico, siamo nati il 4 ottobre, San Francesco. Questo governo fa quello che può. Non è tutta colpa di questo governo… Avete visto i giovani? Sono depressi, demotivati, non credono più a niente, neanche in Dio. La scomparsa di Dio è un fatto grave, io non sono credente, ma senza Dio è un problema, non ci sarebbe niente, non ci sarebbe più l’arte, c’è un algoritmo. Il cristianesimo ha fatto la nostra storia, la nostra cultura. Siete sorpresi? Lo capisco…».

 

La Verità, 13 novembre 2023