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«La surrogata sdogana il nuovo schiavismo»

Femminista storica sebbene abbia frequentato le scuole delle suore Orsoline, già regista nella casa di produzione del Pci e fondatrice del collettivo Studio Ripetta di Roma, scrittrice e autrice di Basta lacrime. Storia politica di una femminista 1995-2020 (Vanda edizioni), Alessandra Bocchetti, esponente del «femminismo della differenza» è delusa dalla sinistra, Pd compreso, per l’ambiguità in tema di maternità surrogata e diritti civili: «Il mercato dei corpi», dice, «un tempo si chiamava schiavismo».

Alessandra Bocchetti, che cos’è il femminismo della differenza?

«È un femminismo che crede profondamente che una donna sia differente da un uomo per il corpo, per la sua esperienza e per la sua storia, di uguale uomini e donne hanno solo la dignità che spetta a tutti coloro che condividono la vita su questa terra, compresi gli animali. Con la coscienza della propria differenza la donna non è più a fianco dell’uomo ma di fronte. Uomini e donne si guardano finalmente, da questo si dovrà lavorare per un modo nuovo di stare insieme per governare i beni comuni. A questo cambiamento lavora il femminismo della differenza».

In che cosa si diversifica da altre correnti femministe?

«Adesso si dice che ci sono tanti femminismi… che vuole che le dica… Senza l’idea di differenza, per me, non è dato femminismo. Comunque si, c’è il femminismo della parità, quello che io chiamo femminismo di Stato. Il cui punto di arrivo è fare avere alle donne quello che hanno già gli uomini. Questo femminismo vuole riparare un’ingiustizia ma là si ferma. È un progetto corto. Sinceramente, io voglio di più e meglio di quanto ha un uomo oggi e non do affatto valore ai privilegi di cui ancora gode, anzi. E poi ci sono i femminismi delle giovani donne con uomini accanto, e questi mi sembra che prendano energia e senso soprattutto dall’essere antagonisti, essere contro. Manca, a mio avviso l’idea di governo, manca un progetto. E poi c’è il transfemminismo, che guardo con stupore, dove quello che le donne possono fare non si deve nominare. Non si può parlare di partorire, di mestruazioni, di allattamento perché se no sei discriminante e poco accogliente. Fatto sta che il risultato è non nominare quello che un uomo non può fare. E l’uomo, con il suo corpo chiuso, resta la misura. Questo trovo sia il patriarcato peggiore, quello che buttato fuori dalla porta rientra dalla finestra, perché la sua verità è che le donne, quelle biologiche, le vorrebbe cancellare dalla faccia della terra, definitivamente».

Molte sigle del femminismo internazionale hanno accolto con favore la proposta di legge di Fratelli d’Italia di proclamare il ricorso all’utero in affitto reato universale, lei che cosa ne pensa?

«Ho poca dimestichezza con le leggi. Su questa proposta se ne dicono tante: che non si può fare, che è anticostituzionale, che è ridicola… Per quanto mi riguarda mettiamola così: non vorrei che in nessuna parte del mondo una donna fosse costretta a fare del suo corpo un contenitore di figli altrui. E quando mi si dice che una donna è libera di fare del proprio corpo ciò che vuole, comincio a pensare che l’idea di libertà abbia iniziato a partorire mostri».

Come valuta il fatto che i partiti di sinistra e il Pd in particolare con una segretaria donna abbiano una posizione poco chiara su questi temi?

«Sinceramente non me lo spiego. Non riconosco la mia sinistra e non mi spiego come possa una femminista essere favorevole alla maternità surrogata. Senta, io sono stata comunista e ancora oggi penso che il comunismo abbia fallito non perché fosse una cattiva idea, ma perché era un’idea troppo alta, troppo nobile per il cuore umano, che nobile non è. Non siamo stati capaci di costruire una società dove tutti abbiano ciò di cui hanno bisogno senza sfruttare nessuno, ne credo lo saremo mai e me ne rammarico. Ero una ragazza borghese, educata dalle orsoline fino a diciotto anni. Mi sono iscritta alla cellula della facoltà di lettere, perché mi era insopportabile l’idea dello sfruttamento dei corpi, del lavoro alla catena di montaggio. Sono scesa in piazza per il corpo dei metalmeccanici contro il lavoro alienante della fabbrica. Vuole che io possa essere favorevole all’utero in affitto? Esiste lavoro più alienato? Una donna che per bisogno mette a disposizione di coppie danarose il suo corpo, che convive per nove mesi, sentendolo crescere dentro di sé, con un perfetto sconosciuto – e guai se non fosse così – uno sconosciuto che non ha di suo neanche mezzo gamete e per questo lei deve essere imbottita di ormoni, per scongiurarne il rigetto, per tutto il tempo della gravidanza, ormoni, si sa, altamente cancerogeni. A lei mi dicono, arriveranno tra i 15 e i 20.000 euro, per i più cinici basta fare i conti, per nove mesi, 24 ore su 24: una miseria. Tutta l’impresa invece costerà circa duecentomila euro se non di più, soldi che finiranno in altre tasche. Ma non è questo il punto. Si fa mercato. C’è un contratto. Che invenzione il contratto, una vera magica potenza che può rendere lecito ciò che lecito non è. Ma quando si fa mercato di corpi, di cosa si tratta? Un tempo si chiamava schiavismo».

La soluzione potrebbe essere la Gpa solidale e altruistica ora promossa dalle famiglie arcobaleno? Si eliminerebbe il mercato…

«Non c’è che da leggere questa proposta con animo sereno. Il pagamento diventa “congruo compenso” e la povera donna rischia una mancia. Il mercato entra sempre, non si fa mettere da parte tanto facilmente. Di questi tempi l’interesse ha la meglio sui buoni sentimenti, ahimè, quasi sempre. Mi meraviglia che la Cgil caldeggi questa proposta, o forse no, non più di tanto, in fin dei conti la Cgil caldeggia anche la regolamentazione della prostituzione, altro bel lavoro alienato. È un lavoro come un altro, dicono. Ma allora è meglio farne un altro, dico io».

Perché ha suscitato scandalo l’impugnazione della Procura di Padova delle trascrizioni dei bambini figli di coppie composte da due mamme?

«L’impugnazione della Procura di Padova ha fatto scandalo perché se questo gesto non fosse tragico sarebbe ridicolo. Un risveglio improvviso della Procura, perfettamente a tempo con la discussione sulla gravidanza per altri come reato universale. Ai sindaci non era dato per legge trascrivere quegli atti di nascita con due genitori dello stesso sesso, lo hanno fatto lo stesso, chissà come gesto provocatorio, esemplare, coraggioso, gesto di sfida… Fatto sta che ne risulta un pasticcio che può provocare molto dolore. Personalmente, quando si fa politica sulla pelle della gente la politica mi fa orrore. La temo».

Di fronte alla decisione della Procura di Padova, facendo leva su un certo sentimentalismo, si è detto che si creano orfani per legge.

«Per far passare la maternità surrogata si mettono avanti i bambini e il loro già esserci, anche questo è puro cinismo. Ma questa strategia non riesce a farmi dimenticare chi questi bambini ha messo al mondo e in quali condizioni e perché. Si raccontano falsità su falsità, si tenta la via del patetismo. Non è vero che l’aspirante genitore non possa andare a prendere i bambini a scuola, basta un permesso e così per le visite in ospedale. È falso che i bambini con un genitore non abbiano diritto al pediatra, al rimborso delle medicine, alla scuola. Ma di una cosa questi bambini avranno sicuramente bisogno forse più degli altri, avranno bisogno di un amore speciale, che dia loro la certezza di essere ben accolti. Sarà duro per loro il racconto della nascita, racconto che spesso i bambini chiedono, una nascita “scomposta” fra due o tre soggetti attivi e diversi: ovulo, seme, utero, impossibili riunirli in una prossimità e la prossimità per un bambino è un grande valore».

La sentenza della Cassazione del dicembre scorso prevede in questi casi l’adozione in casi particolari: perché non va bene?

«La strada c’è ed è quella dell’adozione. Il genitore non biologico deve adottare, solo che la procedura per farlo è troppo lenta, come sempre e come tutto in questo Paese, e anche poliziesca per di più. L’aspirante genitore viene trattato come un indiziato e questo non va bene. Tutto questo deve essere semplificato, velocizzato e fatto con serenità».

Perché i genitori arcobaleno non accettano di percorrere questa strada e provano a mettere sotto accusa l’ordinamento italiano strappando dalla Corte europea, che per altro lo ha negato, il consenso alle trascrizioni e la liberatoria per la surrogazione?

«Perché il movimento ha scelto un confronto duro».

Ideologico, quindi?

«Assolutamente sì, non c’è nulla di nuovo. Arrivano a rifiutare l’adozione perché hanno scelto una linea dura. Non c’è altro da dire».

Ma così non si va da nessuna parte.

«Esatto».

La proposta della ministra Eugenia Roccella di applicare una sanatoria per i bambini nati con la maternità surrogata rischia di indebolire la proclamazione dell’utero in affitto reato universale?

«È una possibile mediazione, ma sono perplessa anch’io. L’iniziativa della sanatoria non mi convince, ma d’altra parte è necessario trovare una soluzione. Non so se lo sia la sanatoria. Ci troviamo in una situazione nella quale il movimento arcobaleno ha scelto una posizione rigida, non accettando nemmeno la stepchild adoption».

Come, a suo avviso, si potrà arrivare a una sintesi accettata dalla maggioranza dell’opinione pubblica su questi temi?

«La madre è una sola, è quella che ti ha fatto nascere, è quella che ha pronunciato quel sì necessario ad aprirti le porte del mondo. È quella da cui sempre ti aspetti il bene, anche se la odi, e se il bene non arriva, perché può succedere, allora sono guai per te e per la società dove vivi, probabilmente porterai la tua ferita per tutta la vita. Un tempo le donne facevano figli anche quando non volevano. Ma adesso, che le donne sono libere, per entrare nel mondo ci vuole il loro “sì”. Difficile cancellare la madre, essere due in un corpo solo lascia tracce indelebili. Due donne che vogliono essere madri dei figli che solo una di loro ha partorito, non mi spaventa, perché le donne sanno amare. Solo auguro loro che il loro amore reciproco sia durevole. Mi spaventa invece quando due uomini vogliono essere padri dei loro figli senza madre. Sono sincera. Temo che non basti entrare in sala parto e farsi mettere il bambino sul petto. Non basta rubare la scena per cancellare la madre. Che potrà succedere quando verrai a sapere che quel suo “sì” è stato pagato?».

 

La Verità, 24 giugno 2023

«La surrogata altruistica è una trovata mainstream»

Aurelio Mancuso è uno dei leader, oltre che figura storica, del movimento arcobaleno italiano. Giornalista freelance, iscritto al Pd, fondatore e presidente di Equality Italia, associazione che vuole «rendere i diritti civili una proposta trasversale», ha scritto l’appello No Gpa (Gestazione per altri) sottoscritto da oltre 600 tra intellettuali, politici e amministratori locali soprattutto progressisti.

Mancuso, togliere il patrocinio ai pride vuol dire essere omofobi?

«Non significa tout court essere omofobi quanto, nel caso specifico, che la Regione Lazio avrebbe fatto bene a compiere le dovute e preventive verifiche. Ritirare il patrocinio perché non si è letto il documento di convocazione dell’iniziativa è un comportamento poco istituzionale. Ormai i pride sono manifestazioni tradizionali che travalicano chi li convoca e ai quali ragazzi e ragazze vanno come a una festa. Al presidente della Regione Lazio avrei consigliato di dare il patrocinio… Poi, certo, alcune cose contenute nel documento ha difficoltà a sostenerle anche un’istituzione governata dalla sinistra».

Dare il patrocinio vuol dire sostenere quella manifestazione, negarlo vuol dire essere omofobi e fascisti?

«Francesco Rocca è la stessa persona che da presidente della Croce rossa italiana ha cofinanziato una casa rifugio per ragazzi cacciati dalle famiglie perché omosessuali?».

Sì e lo rivendica e il pride si tiene anche senza patrocinio: la comunità arcobaleno non dovrebbe essere orgogliosa di non averlo?

«Esatto, il pride si fa lo stesso. Nelle democrazie europee e americane esponenti di destra e sinistra partecipano pur senza concordare con la totalità dei temi. Non è una manifestazione educata, ma per sua stessa natura maleducata. Mi auguro che oggi tanti ragazzi e ragazze partecipino. Altra cosa è ciò che pensano i suoi organizzatori».

Distinzione complicata: come si può dire viva il popolo del pride e abbasso i vertici?

«Io non dico abbasso i vertici. Chi organizza è colui che fa e, perciò, ha ragione. Non credo che le persone che ci vanno siano lì perché aderiscono integralmente al documento. Sarei curioso di sapere quanti tra i partecipanti l’hanno letto e sono consapevoli di ciò che contiene».

Lei oggi sfilerà?

«Da anni non lo faccio. Per non creare inutili tensioni con la mia presenza e preservare lo spirito di festa della manifestazione. Vorrei soprattutto che questi temi, che sono divisivi, fossero finalmente discussi nella comunità Lgbt».

Invece?

«C’è un rifiuto a confrontarsi. Chi non la pensa esattamente come i promotori viene etichettato come fascista e omofobo. E per me è davvero troppo».

C’è uno stigma anche tra voi?
«Se si eccettua Arcilesbica che è bersagliata tutti i giorni, sono l’unico omosessuale noto e che ha avuto un ruolo nel movimento a esprimere pubblicamente una posizione critica. Però non voglio fare uno contro tutti. Su molte delle questioni c’è accordo, mentre non c’è sull’autodeterminazione di genere, la Gpa e la prostituzione».

Che cosa pensa del linguaggio del documento del pride?

«Ne avrei usato un altro. Alcune questioni marginali venti o trent’anni fa ora sono diventate centrali. Chi un tempo non era protagonista oggi lo è».

Lei come l’avrebbe scritto?

«Mettendo in primo piano i diritti concreti e riconoscibili che vogliamo. Le unioni civili o il matrimonio egualitario, la riforma della legge sulle adozioni e della legge 164/82 sull’attribuzione del sesso, le norme di contrasto all’omofobia e all’omotransfobia. Temi presenti, ma talmente conditi di visioni e distinguo da risultare confusi».

Lo scontro è soprattutto sull’utero in affitto: la comunità Lgbt non vede la violenza di questa pratica?

«È un passo avanti che si evitino espressioni come maternità surrogata e utero in affitto. Forse si sta iniziando a riconoscere che sono pratiche disumane, che sfruttano le donne e trattano i bambini come oggetti. Tuttavia, anche parlare di Gpa altruistica e gratuita senza condannare queste pratiche è ultimamente ipocrita. La Gpa altruistica è un’invenzione del mainstream».

In che senso?

«Nel senso che non chiarisce che i bambini non si possono né comprare né vendere, ma nemmeno si possono donare o regalare. Anche la Gpa altruistica tratta il bambino come un oggetto a disposizione degli adulti, mentre è un soggetto».

La comunità Lgbt non si avvede della strumentalità di chiedere prima l’ovocita da una donna e poi di noleggiare l’utero di un’altra a pagamento?

«A me pare che non ci sia nessuna riflessione su questo tema. Prevale la volontà di dare una risposta al desiderio di adulti, trasformato erroneamente in diritto, di avere un bambino. Bisogna essere chiari: stiamo parlando al 90% di coppie etero e al 10% di coppie omosessuali. Ciò significa che parliamo di un tema molto marginale che solleva questioni etiche delicatissime ma che, riguardando persone con buone possibilità economiche per ricorrere a queste pratiche, coinvolge ristrettissime nicchie».

Molte sigle femministe internazionali approvano la proposta di legge italiana appena presentata di rendere l’utero in affitto reato universale.

«Il nostro appello No Gpa ha raccolto oltre 600 firme di intellettuali e personalità pubbliche contro la Gpa. È un reato che dovrebbe essere definito universale per ciò che avviene nel Terzo mondo, per la commercializzazione e lo sfruttamento sia del bambino che delle donne. Appellandoci alla risoluzione del 2015 del Parlamento europeo e ai pronunciamenti dell’Onu pensiamo si debba arrivare al bando internazionale di questa pratica. Molte persone che hanno firmato il nostro appello sostengono la legge in discussione in Parlamento, altre no. Abbiamo ricercato una sintesi, rispettando l’opinione di tutti. Probabilmente la legge sarà approvata, ma io rivolgo altre due richieste a Giorgia Meloni…».

Quali?

«La prima: eliminare le discriminazione dei bambini che non possono essere trattati come un pacco postale; cioè, se arrivano in Italia non si possono rispedire indietro. La seconda: se è d’accordo con la modifica della legge sulle adozioni allo scopo di accelerare i tempi. Qualcosa in questo senso è stato fatto con l’equiparazione delle adozioni speciali a quelle normali, ma si può fare ancora di più».

La prossima settimana l’utero in affitto sarà in discussione a Strasburgo. Visto che il Pd dice che la questione va risolta in Europa, perché questa discussione non l’hanno chiesta i democratici ma i conservatori?

«È evidente un certo imbarazzo da parte del Pd e non solo sul tema. Però quella discussione sarà un banco di prova evidente: la surrogata è una pratica da mettere al bando in tutto il mondo o no? Su questo si dovranno pronunciare. Vedremo come andrà a finire».

Perché su questi temi il Pd è in forte imbarazzo?

«Al netto di ciò che dicono i segretari di turno, non solo Elly Schlein, nel Pd ci sono posizioni differenti. Grazie al nostro documento è finalmente chiaro che tanta parte del Pd è contraria all’utero in affitto. Perciò, se non vuol essere il passacarte del movimento Lgbt, il partito deve aprire quella discussione che finora non ha voluto fare. Chi aveva posizioni critiche non riusciva a farsi ascoltare su questo tema. Negli ultimi anni non ho mai ricevuto un invito da una sezione del Pd, mentre ne ho ricevuti da associazioni esterne al partito».

Come giudica il fatto che nelle interviste Elly Schlein rifiuta le domande sulla surrogata e i diritti Lgbt?

«Una segretaria che si è esposta personalmente sbaglia a eludere le domande sull’argomento. Nel Pd esiste da anni un tavolo permanente di discussione con la comunità Lgbt. Purtroppo, da quando ho messo in discussione il ddl Zan non sono più stato invitato. Mi auguro che Schlein cambi questa pratica antidemocratica dentro un partito che si chiama democratico».

Che cosa indica il fatto che negli ultimi due anni l’acronimo arcobaleno è raddoppiato, da Lgbt+ è diventato Lgbtqiak+, da quattro lettere a otto?

«Il continuo allungarsi dell’acronimo è indice di confusione culturale e divisione. Non si possono declinare tutte le identità e aspirazioni, mettendole sullo stesso piano. Molte specificità non sono nemmeno rappresentabili in quelle otto lettere. Se si vogliono nominare tutte le identità si finisce per annullare tutte le identità».

Perdoni l’ignoranza, che identità rappresenta la lettera I?

«Le persone Intersex, che nascono con apparati genitali non del tutto definiti. La richiesta è di non essere soggetti già alla nascita alla scelta del sesso, ma aver tempo di decidere. Ovviamente, parliamo di una minuscola minoranza, tuttavia soggetta a grandi sofferenze».

E la lettera A?

«Dovrebbero essere gli asessuali o gli asessuati o gli aromantici, mi sono perso anch’io. Chiunque siano, mi domando quale diritto legislativo chiedano».

Nel documento del Roma pride si parla dei «comportamenti kinky» specificando il rifiuto della contestazione «degli scambi di potere consensuali»: cosa significa?

«Sebbene sia allenatissimo nell’interpretazione di queste formule, questa parte risulta criptica anche a me. Auspico che venga chiarita meglio. Il tema del rapporto di potere tra i sessi è delicatissimo».

È sbagliato pensare che l’espressione «scambi di potere consensuali» celi un’apertura ai rapporti pedofiliaci?

«In un passaggio si parla di bambini arcobaleno che sfilano vicino a coloro che usano strumenti sadomaso. Sono nettamente contrario alla pedofilia. È uno stigma che negli anni è stato erroneamente affibbiato all’omosessualità. Il documento è così nebuloso che attendo chiarimenti. Sono sicuro che nessuno voglia aprire il minimo spiraglio a questo tipo di crimini».

Un altro punto è l’insistenza sulle identità alias che si vorrebbero riconosciute nelle scuole, nei posti di lavoro, nell’esercizio del voto…

«L’autodefinizione di sé è un tema che non riguarda solo l’Italia. In tanti Stati dove si è liberalizzato, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ora si sta tornando indietro perché ci si è accorti dei tanti problemi che comporta, per esempio, nelle competizioni sportive. Mi spiace che anche questo tema venga affrontato con una certa brutalità. Il problema esiste, ma le soluzioni arrivano solo alla fine di un confronto sociale e culturale approfondito. Solo a questo punto si può giungere a una normativa corretta e rispettosa di tutte le componenti».

 

La Verità, 10 giugno 2023