«La surrogata altruistica è una trovata mainstream»

Aurelio Mancuso è uno dei leader, oltre che figura storica, del movimento arcobaleno italiano. Giornalista freelance, iscritto al Pd, fondatore e presidente di Equality Italia, associazione che vuole «rendere i diritti civili una proposta trasversale», ha scritto l’appello No Gpa (Gestazione per altri) sottoscritto da oltre 600 tra intellettuali, politici e amministratori locali soprattutto progressisti.

Mancuso, togliere il patrocinio ai pride vuol dire essere omofobi?

«Non significa tout court essere omofobi quanto, nel caso specifico, che la Regione Lazio avrebbe fatto bene a compiere le dovute e preventive verifiche. Ritirare il patrocinio perché non si è letto il documento di convocazione dell’iniziativa è un comportamento poco istituzionale. Ormai i pride sono manifestazioni tradizionali che travalicano chi li convoca e ai quali ragazzi e ragazze vanno come a una festa. Al presidente della Regione Lazio avrei consigliato di dare il patrocinio… Poi, certo, alcune cose contenute nel documento ha difficoltà a sostenerle anche un’istituzione governata dalla sinistra».

Dare il patrocinio vuol dire sostenere quella manifestazione, negarlo vuol dire essere omofobi e fascisti?

«Francesco Rocca è la stessa persona che da presidente della Croce rossa italiana ha cofinanziato una casa rifugio per ragazzi cacciati dalle famiglie perché omosessuali?».

Sì e lo rivendica e il pride si tiene anche senza patrocinio: la comunità arcobaleno non dovrebbe essere orgogliosa di non averlo?

«Esatto, il pride si fa lo stesso. Nelle democrazie europee e americane esponenti di destra e sinistra partecipano pur senza concordare con la totalità dei temi. Non è una manifestazione educata, ma per sua stessa natura maleducata. Mi auguro che oggi tanti ragazzi e ragazze partecipino. Altra cosa è ciò che pensano i suoi organizzatori».

Distinzione complicata: come si può dire viva il popolo del pride e abbasso i vertici?

«Io non dico abbasso i vertici. Chi organizza è colui che fa e, perciò, ha ragione. Non credo che le persone che ci vanno siano lì perché aderiscono integralmente al documento. Sarei curioso di sapere quanti tra i partecipanti l’hanno letto e sono consapevoli di ciò che contiene».

Lei oggi sfilerà?

«Da anni non lo faccio. Per non creare inutili tensioni con la mia presenza e preservare lo spirito di festa della manifestazione. Vorrei soprattutto che questi temi, che sono divisivi, fossero finalmente discussi nella comunità Lgbt».

Invece?

«C’è un rifiuto a confrontarsi. Chi non la pensa esattamente come i promotori viene etichettato come fascista e omofobo. E per me è davvero troppo».

C’è uno stigma anche tra voi?
«Se si eccettua Arcilesbica che è bersagliata tutti i giorni, sono l’unico omosessuale noto e che ha avuto un ruolo nel movimento a esprimere pubblicamente una posizione critica. Però non voglio fare uno contro tutti. Su molte delle questioni c’è accordo, mentre non c’è sull’autodeterminazione di genere, la Gpa e la prostituzione».

Che cosa pensa del linguaggio del documento del pride?

«Ne avrei usato un altro. Alcune questioni marginali venti o trent’anni fa ora sono diventate centrali. Chi un tempo non era protagonista oggi lo è».

Lei come l’avrebbe scritto?

«Mettendo in primo piano i diritti concreti e riconoscibili che vogliamo. Le unioni civili o il matrimonio egualitario, la riforma della legge sulle adozioni e della legge 164/82 sull’attribuzione del sesso, le norme di contrasto all’omofobia e all’omotransfobia. Temi presenti, ma talmente conditi di visioni e distinguo da risultare confusi».

Lo scontro è soprattutto sull’utero in affitto: la comunità Lgbt non vede la violenza di questa pratica?

«È un passo avanti che si evitino espressioni come maternità surrogata e utero in affitto. Forse si sta iniziando a riconoscere che sono pratiche disumane, che sfruttano le donne e trattano i bambini come oggetti. Tuttavia, anche parlare di Gpa altruistica e gratuita senza condannare queste pratiche è ultimamente ipocrita. La Gpa altruistica è un’invenzione del mainstream».

In che senso?

«Nel senso che non chiarisce che i bambini non si possono né comprare né vendere, ma nemmeno si possono donare o regalare. Anche la Gpa altruistica tratta il bambino come un oggetto a disposizione degli adulti, mentre è un soggetto».

La comunità Lgbt non si avvede della strumentalità di chiedere prima l’ovocita da una donna e poi di noleggiare l’utero di un’altra a pagamento?

«A me pare che non ci sia nessuna riflessione su questo tema. Prevale la volontà di dare una risposta al desiderio di adulti, trasformato erroneamente in diritto, di avere un bambino. Bisogna essere chiari: stiamo parlando al 90% di coppie etero e al 10% di coppie omosessuali. Ciò significa che parliamo di un tema molto marginale che solleva questioni etiche delicatissime ma che, riguardando persone con buone possibilità economiche per ricorrere a queste pratiche, coinvolge ristrettissime nicchie».

Molte sigle femministe internazionali approvano la proposta di legge italiana appena presentata di rendere l’utero in affitto reato universale.

«Il nostro appello No Gpa ha raccolto oltre 600 firme di intellettuali e personalità pubbliche contro la Gpa. È un reato che dovrebbe essere definito universale per ciò che avviene nel Terzo mondo, per la commercializzazione e lo sfruttamento sia del bambino che delle donne. Appellandoci alla risoluzione del 2015 del Parlamento europeo e ai pronunciamenti dell’Onu pensiamo si debba arrivare al bando internazionale di questa pratica. Molte persone che hanno firmato il nostro appello sostengono la legge in discussione in Parlamento, altre no. Abbiamo ricercato una sintesi, rispettando l’opinione di tutti. Probabilmente la legge sarà approvata, ma io rivolgo altre due richieste a Giorgia Meloni…».

Quali?

«La prima: eliminare le discriminazione dei bambini che non possono essere trattati come un pacco postale; cioè, se arrivano in Italia non si possono rispedire indietro. La seconda: se è d’accordo con la modifica della legge sulle adozioni allo scopo di accelerare i tempi. Qualcosa in questo senso è stato fatto con l’equiparazione delle adozioni speciali a quelle normali, ma si può fare ancora di più».

La prossima settimana l’utero in affitto sarà in discussione a Strasburgo. Visto che il Pd dice che la questione va risolta in Europa, perché questa discussione non l’hanno chiesta i democratici ma i conservatori?

«È evidente un certo imbarazzo da parte del Pd e non solo sul tema. Però quella discussione sarà un banco di prova evidente: la surrogata è una pratica da mettere al bando in tutto il mondo o no? Su questo si dovranno pronunciare. Vedremo come andrà a finire».

Perché su questi temi il Pd è in forte imbarazzo?

«Al netto di ciò che dicono i segretari di turno, non solo Elly Schlein, nel Pd ci sono posizioni differenti. Grazie al nostro documento è finalmente chiaro che tanta parte del Pd è contraria all’utero in affitto. Perciò, se non vuol essere il passacarte del movimento Lgbt, il partito deve aprire quella discussione che finora non ha voluto fare. Chi aveva posizioni critiche non riusciva a farsi ascoltare su questo tema. Negli ultimi anni non ho mai ricevuto un invito da una sezione del Pd, mentre ne ho ricevuti da associazioni esterne al partito».

Come giudica il fatto che nelle interviste Elly Schlein rifiuta le domande sulla surrogata e i diritti Lgbt?

«Una segretaria che si è esposta personalmente sbaglia a eludere le domande sull’argomento. Nel Pd esiste da anni un tavolo permanente di discussione con la comunità Lgbt. Purtroppo, da quando ho messo in discussione il ddl Zan non sono più stato invitato. Mi auguro che Schlein cambi questa pratica antidemocratica dentro un partito che si chiama democratico».

Che cosa indica il fatto che negli ultimi due anni l’acronimo arcobaleno è raddoppiato, da Lgbt+ è diventato Lgbtqiak+, da quattro lettere a otto?

«Il continuo allungarsi dell’acronimo è indice di confusione culturale e divisione. Non si possono declinare tutte le identità e aspirazioni, mettendole sullo stesso piano. Molte specificità non sono nemmeno rappresentabili in quelle otto lettere. Se si vogliono nominare tutte le identità si finisce per annullare tutte le identità».

Perdoni l’ignoranza, che identità rappresenta la lettera I?

«Le persone Intersex, che nascono con apparati genitali non del tutto definiti. La richiesta è di non essere soggetti già alla nascita alla scelta del sesso, ma aver tempo di decidere. Ovviamente, parliamo di una minuscola minoranza, tuttavia soggetta a grandi sofferenze».

E la lettera A?

«Dovrebbero essere gli asessuali o gli asessuati o gli aromantici, mi sono perso anch’io. Chiunque siano, mi domando quale diritto legislativo chiedano».

Nel documento del Roma pride si parla dei «comportamenti kinky» specificando il rifiuto della contestazione «degli scambi di potere consensuali»: cosa significa?

«Sebbene sia allenatissimo nell’interpretazione di queste formule, questa parte risulta criptica anche a me. Auspico che venga chiarita meglio. Il tema del rapporto di potere tra i sessi è delicatissimo».

È sbagliato pensare che l’espressione «scambi di potere consensuali» celi un’apertura ai rapporti pedofiliaci?

«In un passaggio si parla di bambini arcobaleno che sfilano vicino a coloro che usano strumenti sadomaso. Sono nettamente contrario alla pedofilia. È uno stigma che negli anni è stato erroneamente affibbiato all’omosessualità. Il documento è così nebuloso che attendo chiarimenti. Sono sicuro che nessuno voglia aprire il minimo spiraglio a questo tipo di crimini».

Un altro punto è l’insistenza sulle identità alias che si vorrebbero riconosciute nelle scuole, nei posti di lavoro, nell’esercizio del voto…

«L’autodefinizione di sé è un tema che non riguarda solo l’Italia. In tanti Stati dove si è liberalizzato, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ora si sta tornando indietro perché ci si è accorti dei tanti problemi che comporta, per esempio, nelle competizioni sportive. Mi spiace che anche questo tema venga affrontato con una certa brutalità. Il problema esiste, ma le soluzioni arrivano solo alla fine di un confronto sociale e culturale approfondito. Solo a questo punto si può giungere a una normativa corretta e rispettosa di tutte le componenti».

 

La Verità, 10 giugno 2023