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«Provo a restare umano, nonostante il virus»

Buongiorno Enrico Montesano, o devo chiamarla Monteinsano?

«Mi chiami come vuole (ride). Un po’ di follia non guasta. Com’era quella frase di Friedrich Nietzsche… “Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella che danza”».

Sì, ma la sostanza è che ha una nuova popolarità negativa.

«Non tanto negativa».

Se la chiamano Monteinsano…

«Quando Massimo Gramellini scrive certe cose, quel suo “Caffè” diventa una ciofeca».

Figurarsi se Er Pomata di Febbre da cavallo non ha la battuta pronta. È o non è un pezzo di storia della commedia italiana? E non solo al cinema, pure a teatro e in televisione. Il suo Fantastico del 1988, in coppia con Anna Oxa, detiene ancora il record di ascolti e di vendita dei biglietti della Lotteria Italia. Record ne ha mietuti anche al boxoffice e l’elenco dei titoli memorabili sarebbe lungo. Regista, autore, attore, comico, la politica ha sempre stuzzicato Montesano. Ultimamente si è espresso in modo critico sulla gestione dell’epidemia da coronavirus e ha appoggiato la Marcia per la liberazione di sabato scorso a Roma. L’altro giorno, invece, è stato fermato dalle forze dell’ordine perché non portava la mascherina.

Montesano no-mask?

«L’ho detto anche da ospite di Barbara D’Urso su Canale 5: prima di tutto tengo alla salute del prossimo. Se stanno bene familiari e parenti, sto bene anch’io. Sono una persona di buon senso e mi comporto in modo responsabile».

Cosa vuol dire?

«Che non vado agli aperitivi, non frequento le discoteche ed evito i posti dove c’è confusione. Per strada, se qualcuno mi viene incontro cambio marciapiede e scelgo percorsi alternativi, ci sono tante strade vuote. Stamattina sono uscito per comprare il pane e non ho incontrato nessuno».

E la mascherina?

«Non la porto, ma la tengo in tasca. Entrando dal panettiere l’ho indossata».

All’agente che l’ha fermata perché non la indossava prima ha detto che non riesce a respirare e poi che il Dpcm contraddice una legge dello Stato che prescrive di essere riconoscibili.

«Con il cappello e gli occhiali, se metto la mascherina chi mi riconosce? La legge e il decreto si contraddicono, ma la legge prevale. Poi, dopo 52 anni di polvere di palcoscenico, ho un certo affaticamento dei bronchi. Perciò la mascherina la metto il necessario. Come ha detto il professor Matteo Bassetti, se sono a cinque o dieci metri di distanza, chi posso infettare?».

Fa ostruzionismo da attaccabrighe?

«Assolutamente. Caso mai è questo Dpcm che confligge con la legge».

Perché non è andato alla Marcia per la liberazione di sabato scorso mentre ha partecipato a quella per la liberazione di Chico Forti?

«Perché quella in favore di Chico Forti non si prestava a interpretazioni errate com’è successo per la Marcia per la liberazione, dove si è detto di tutto tranne ciò che importava agli organizzatori. Io non ci sono andato perché a queste manifestazioni a volte spuntano gruppi strani. Avevo detto da subito che aderivo, ma che non avrei partecipato».

Lei rifiuta la definizione di negazionista, preferisce il termine minimizzatore?

«Mi definisco critico. Il negazionismo riguarda l’Olocausto e significa negare una cosa accaduta. Io non nego che esista questo curioso virus. Purtroppo c’è».

Cosa intende per curioso?

«Sorvoliamo se sia naturale, determinato dal salto di specie o sviluppato artificialmente. Esiste. Quello che non trovo giusto è terrorizzare, spaventare la popolazione. La prima parola che sento quando accendo la tv è Covid, l’ultima quando spengo è lockdown. Che è una parola americana, lo sa che nel vocabolario inglese non si trova? Lo usano nei penitenziari americani quando mettono un detenuto in isolamento. Allora parlano di lockdown».

E lei lo rifiuta?

«Non mi rassegno al confinamento».

Il consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi ha detto che è stata «una misura di cieca disperazione».

«Certamente molto rigida e senza che ne abbiamo avuto grandi risultati. Per contro, ora cominciamo a vederne le conseguenze economiche. Chi non l’ha adottata, come la Svezia, in percentuale sta più o meno come noi».

Forse se non avessimo chiuso staremmo peggio?

«Che ne sappiamo. Si potevano fare scelte diverse».

Per esempio?

«Lockdown localizzati. I nostri governanti sono in una situazione scomoda, non do loro addosso per partito preso. Però trovo strano che a Chiasso si debba indossare la mascherina e oltre il confine no. Paesi come la Svizzera stanno uscendo bene senza adottare misure così drastiche. D’accordo con il professor Giulio Tarro, la ricercatrice Antonietta Gatti, Alberto Zangrillo e Bassetti auspico che la seconda ondata abbia una carica virale più blanda e ci risparmi un’altra chiusura totale».

Si profila per il periodo natalizio.

«Manco potemo fa l’albero? Che palleee!».

Si fida di più dei virologi che ridimensionano il pericolo?

«Io non sono un esperto, ma leggo di tanti medici austriaci o inglesi che in alcuni documenti esprimono punti di vista meno allarmisti».

I dati non giustificano l’allarme?

«Non lo so… Parlare di casi mi sembra un’espressione generica. Molti medici dicono che una persona positiva asintomatica non è malata. Positivo a che cosa? Siamo pieni di virus, il nostro corpo reagisce… Perché tranne qualche medico di famiglia, nessuno dice: non vi intossicate, non fumate, mangiate sano, prendete le vitamine che aumentano le difese… Poi può capitare che una persona con altre malattie si contagi. Io credo che il virus esista eccome. Ma numerosi medici dicono che i pazienti che hanno la febbre e i primi sintomi si possono curare senza correre in ospedale. Questo mi conforta e non è invitare a fregarsene delle precauzioni. Gli italiani sono persone di buon senso».

Quando è nato il CanaleMontesano su YouTube dove legge brevi testi di Adolf Huxley, George Orwell, Michel Onfray?

«È nato durante il confinamento per fare compagnia a chi era chiuso in casa. Ho iniziato con i miei personaggi, Torquato il pensionato, Famo Blas, Il conte Tacchia, il Figlio di papà… Poi vedendo che queste letture avevano successo li ho lasciati un po’ in disparte».

Chi sono i suoi seguaci?

«Persone desiderose di aprire un po’ gli occhi. Mi suggeriscono letture, mi mandano i libri a casa… Questo rapporto col pubblico vuol dire che c’è bisogno di questi pensieri e che tanti sono stanchi delle urla dei talk show o dei reality».

È sempre stato un grande lettore?

«Abbastanza».

Ultimamente si è spostato su nuovi autori?

«Un po’ più mirati. Critici del pensiero unico. Poi un libro porta l’altro. Il filosofo Gunther Anders fa un riferimento a Hannah Arendt, un altro cita Elias Canetti… Non compro libri online perché voglio che i negozi del vicinato sopravvivano. Proviamo a rimanere umani, con i nostri pregi e difetti, e allontaniamo questo transumanesimo incombente».

Che cosa la preoccupa?

«Lo scienziato che vuole sostituirsi a Dio, vuole modificare la natura umana».

Cosa significa «Eretici e guerrieri», lo slogan con cui conclude i suoi video?

«È una frase di Carlos Castaneda che invita a mantenere una libertà di giudizio».

C’è troppo conformismo?

«Domina il politicamente corretto. Ne parlavo già nel mio spettacolo del 2007 intitolato È permesso? È permesso criticare il pensiero unico stimolandone uno alternativo?».

Legge La teoria della dittatura di Onfray, parla di terrorismo sanitario: estremismo?

«Forse per contrastare decisioni altrettanto estreme. La paura non è una buona compagna perché abbassa le difese immunitarie. Nella trasmissione della D’Urso ho citato una frase sul concetto di salute diffusa dall’Oms quando era un organismo affidabile: “La salute è uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia”».

Cosa c’è dietro?

«In rete gira una battuta in romanesco sui prodotti esportati dalla Cina: “Ao’… er coronavirus è l’unica cosa cinese che dura tanto”».

È merito del governo se rispetto alla Francia, alla Spagna, alla Gran Bretagna abbiamo una percentuale di contagi inferiore?

«A maggior ragione questa diffusione della paura non è giustificata. E tutte queste restrizioni sono una contraddizione. Se i risultati sono buoni perché dobbiamo stringere la vite ancora di più? Forse non siamo noi i complottisti, ma qualcun altro. Faccio sempre salvi i nostri uomini di governo… Magari c’è qualcosa che viaggia al di sopra della Merkel, di Macron, di Conte».

Cosa vuol dire?

«La quarta rivoluzione industriale, il Nuovo ordine mondiale».

La globalizzazione, il 5G.

«Non ne sento il bisogno, stavo bene pure con il 3G. Vorrei un referendum per capire se ci serve davvero».

Vede molti effetti nocivi?

«Perché questa corsa senza interpellare i popoli? Giustamente ci preoccupiamo del Covid-19, ma non conosciamo i danni collaterali che il 5G può provocare. Ci sono studi che documentano che le grandi epidemie si presentano sempre in corrispondenza di rivoluzioni tecniche e tecnologiche».

In televisione la chiamano ancora? Con i suoi spettacoli, intendo.

«Forse c’è un po’ di timore. Potremmo fare un programma che stimolasse domande negli spettatori, ma forse non si vuole proprio questo. Ricorda quella massima: Castigat ridendo mores (corregge i costumi ridendo ndr)».

In questa crisi i lavoratori dello spettacolo sono stati tra i più penalizzati.

«Dopo la bellissima manifestazione di Milano ce ne vorrebbe una anche a Roma. Forse queste norme trascurano le reali necessità del mondo dello spettacolo. Dietro un primo attore c’è un indotto enorme, la scenografia, il trucco, il facchinaggio, i trasporti, il personale, tutti i servizi. Il teatro è vita e cultura. Un teatro accende la vita della via dove si trova. La gente ha anche bisogno di distrarsi, invece è tutto fermo».

Sugli aerei si sta gomito a gomito, negli stadi all’aria aperta possono entrare solo mille persone.

«L’Olimpico può tenerne fino a 70.000, possiamo farne entrare 30.000? Io capisco che non dobbiamo mettere in ginocchio le compagnie di volo, ma gli aerei sono anche abitacoli angusti con circolazione della stessa aria. Durante il lockdown, avevano chiuso persino i parchi ai bambini…».

Beppe Grillo è partito da un blog e poi ha fondato un movimento: il suo obiettivo qual è?

«Vorrà dire che se un comico vi ha distrutto un altro comico vi salverà. Guardi che è solo una battuta, niente più. Non voglio fondare nulla».

 

La Verità, 17 ottobre 2020

«La radio libera davvero è quella dei vescovi»

Quando arrivo a InBlu Radio a Milano, lo studio dove Eugenio Finardi registra La musica è ribelle è inondato dalle note della Mahavishnu Orchestra. Si dà il caso che il vinile del live di Between the notinghness & eternity sia stato uno dei miei primi acquisti nel lontano 1973 e, quasi inascoltabile causa fruscio da usura, sia stato rimpiazzato dalla versione in cd, tratta dalla jam session fortunosamente ritrovata, di cui ora sta parlando Finardi. La lunga digressione è per dire l’affinità musicale che mi lega all’irregolare di oggi: milanese, classe 1952, tre figli di cui una affetta dalla sindrome di Down, autore ispirato di una serie di canzoni generazionali, alcune delle quali ripropone il sabato sera sull’emittente della Conferenza episcopale italiana.

«Se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace anche di più perché libera la mente»: se l’aspettava di fare il dj nella radio dei vescovi italiani?

«Assolutamente no. Ma il tempo ha una grande ironia e devo dire che questa è l’unica emittente che mi ha concesso totale libertà. La cosa non mi stupisce. La figura di papa Francesco è forse quella che oggi sento idealmente più vicina. Nel 2012, un anno prima della sua nomina, una mia canzone intitolata Nuovo umanesimo toccava i temi dell’etica del lavoro e del rispetto dell’uomo che ricorrono nel suo pontificato. Dico tutto questo da non credente».

Ma non da anticlericale.

«Non lo sono. Ho sempre cercato una dimensione spirituale, senza la quale credo che una vita non possa dirsi compiuta. In questo mi aiuta l’amore per la musica, compresa quella sacra. Dallo Stabat Mater di Pergolesi e da tutta l’opera di Bach promana un bisogno del divino che appartiene a tutti gli uomini».

Tuttavia, sorprende trovarla qui: si è proposto ad altre emittenti?

«La prima proposta mi era arrivata da Radio Italia, ma non è andata in porto. In passato ho lavorato per la Radio della Svizzera italiana, a Radio Milano centrale. Tuttora collaboro con Radio2 Rai a un programma che si chiama Me Anziano You TuberS dove scelgo due pezzi a trasmissione e stop. Con la dittatura della playlist, nessuno mi concede la libertà che ho trovato qui».

Eugenio Finardi nello studio di InBlu Radio, emittente della Conferenza episcopale italiana

Eugenio Finardi nello studio di InBlu Radio, emittente della Conferenza episcopale italiana

A proposito di Youtube, ha senso la radio nell’epoca di internet e dello streaming?

«La radio è il media più prezioso e, a suo modo, poetico. È la voce umana a fare la differenza. Oggi si va di playlist, ma è una formula autoreferenziale, narcisistica. Ogni mia scaletta ha un tema preciso e la musica serve per raccontare storie».

Esempio?

«Prima della puntata sulla fusion ne ho fatta una sui The Swampers, una band di studio di Muscle Shoals, cittadina dell’Alabama dove incidevano i grandi del soul: Aretha Franklin, Wilson Pickett, Etta James. La storia interessante è che erano bianchi, perciò, dopo la musica insieme pranzavano separati».

La radio aiuta la narrazione, si direbbe oggi.

«Libera la mente, innesca l’immaginazione. Il mio scopo è allargare gli orizzonti di chi ascolta. Far capire che la musica è un linguaggio assoluto, legato alla matematica, alla fonica newtoniana. Musicisti che non si capiscono a parole possono suonare facilmente insieme. La musica non ha barriere. Trump può erigere il muro tra America e Messico, ma il tex-mex e, più in generale, la musica latina, sono generi affermati e popolari».

Tra poco saranno cinquant’anni dal 1968. Che cosa si aspetta?

«Di fare molte interviste. Spero ci si ricordi di un’epoca in cui c’erano tante cose che valevano più del denaro. In realtà il Sessantotto è un ventennio, iniziato con le lotte contro la segregazione dei neri. “I have a dream” di Martin Luther King è del 1963. Poi ci sono stati i movimenti delle donne e per la liberazione dal colonialismo. Quell’epoca si è chiusa con Ronald Reagan, Margaret Tatcher e l’affermazione del liberismo. Che, come tutti gli ismi, è una perversione di un’idea giusta, in questo caso quella liberale».

Ideali che sono diventati ideologia, causa di violenza e distruzione.

«Al culmine di quei movimenti, nel ’76, l’anno di Musica ribelle, quando il cambiamento sembrava vicino, sono arrivate le P38 e l’eroina».

Come se lo spiega?

«Nell’uomo c’è qualcosa che tende a corrompere e inquinare. Spiritualità, rispetto, grazia hanno il loro contrario nell’egoismo e nella violenza. Tendiamo al bene, ma restiamo soggiogati dal male».

Come già diceva San Paolo. Voi cantautori dovete fare autocritica?

«Sì, per l’ingenuità, un limite non da poco. Tuttavia, con Extraterrestre sono stato tra i primi ad accorgermi di certe perversioni. Ricordo che mi vergognavo di guadagnare troppi soldi».

Come nacque Extraterrestre?

«Era il momento del riflusso. Molti se ne andavano in India, qualcuno in barca a vela, altri si rifugiavano nelle droghe. Extraterrestre era un’immagine per dire che puoi andare dovunque, ma se non cambi dentro non cresci. Anche il successo è un’illusione».

Tornando al Sessantotto, c’è qualcosa che non rifarebbe o non direbbe?

«In realtà, no. L’unica canzone che non ricanterei è Giai Phong, tratta da un testo di Tiziano Terzani, che inneggiava alla liberazione di Saigon. Qualche anno dopo scoprimmo che anche quella del Fronte di liberazione nazionale era diventata una dittatura militarista».

Musica ribelle si chiudeva con «se ci metteremo insieme a lottare per cambiare nessuno ci potrà fermare». Invece?

«Ci ha fermato la natura umana. Molti hanno scambiato la libertà con la possibilità di abbandonarsi alla violenza, alla prevaricazione, all’istinto. C’è stato il tradimento delle classi dirigenti. La borghesia ha perso il senso di responsabilità. Mio padre, dirigente d’azienda nato nel 1909, sentiva la responsabilità verso le classi più disagiate. L’altro giorno ho saputo di una grande agenzia che organizza vacanze opulente su uno yacht in compagnia di escort, professionisti del sesso, droga libera, cibo fino a scoppiare: il denaro può tutto, è la nuova idolatria».

Lei è anche autore di canzoni d’amore: Non è nel cuore, Patrizia, Un amore diverso… Ha capito da dove viene «la forza dell’amore»?

«È qualcosa che abbiamo dentro, la nostra parte migliore che troppe volte si corrompe. Più che canzoni d’amore ho scritto canzoni sull’amore. Patrizia è dedicata a una donna amata, Amore diverso alla mia prima figlia. L’amore per i figli è quasi doloroso tanto è forte e puro. Come lo è l’amore da vecchi, quando non lo si fa più. Ma lo si vive ugualmente, magari pensando che cosa sarà dell’altro quando tu non ci sarai più».

«Non può esistere l’affetto senza un minimo di rispetto»: è un pensiero più rivoluzionario per i ragazzi di trent’anni fa o per quelli contemporanei?

«È rivoluzionario per i ragazzi di tutte le epoche».

«L’amore è fatto di gioia ma anche di noia»: è non accettare questo che rende solubili tanti matrimoni?

«Anch’io ho divorziato, non per mia volontà. Non so se esiste l’amore eterno. Mi affascina l’idea di un sentimento che duri 50 o 60 anni, ma non è da tutti. Piuttosto, vedo che i ragazzi di oggi si sposano molto tardi. Non ci si impegna fino a 38 anni e poi non si riesce ad avere figli».

«Ti amo perché sei una donna, ma anche un vero uomo, un amico, un socio forte, un maggiordomo, ma ti piaci in uno solo: quello di donna con vicino il suo uomo»: che cosa pensa della confusione dei sessi di questi anni?

«Credo che le donne siano sempre più forti e gli uomini debbano accettare la propria fragilità. La mia compagna è una donna con un carattere deciso, economicamente indipendente. Ho tre figli e ho visto all’asilo bambini che erano già palesemente bambine e bambine che erano già maschi. Come padre di una ragazza disabile non credo esista una normalità astratta. Certo, si parla troppo di omosessualità. Per un anno non abbiamo fatto che parlare di stepchild adoption, dividendo il Paese con un dibattito che riguardava 40 bambini. Intanto la gente non ha lavoro, tanti bambini vivono nella povertà, nei campi ci sono gli schiavi».

Su Youtube dopo la sua Patrizia è spuntata Anna e Marco di Lucio Dalla. Tra i cantautori a chi vorrebbe rubare una canzone e quale?

«Anna e Marco ci sono anche in Musica ribelle, scritta due anni prima. Quando chiesi a Lucio se c’era un nesso mi rispose che erano “uno stereotipo, l’incarnazione di una generazione”. Un brano lo ruberei a Franco Battiato: Centro di gravità permanente o Gli uccelli».

Eugenio Finardi con Lucio Dalla: «Anna e Marco ci sono anche in Musica ribelle»

Eugenio Finardi con Lucio Dalla: «Anna e Marco ci sono anche in Musica ribelle»

Viene da sua madre, cantante lirica, la passione per tutta la musica?

«Sono nato dentro uno strumento musicale. Non so in che momento della gravidanza si sviluppi l’udito nel feto, ma la prima cosa che ho sentito è certamente la voce di mia madre cantare».

Che cosa vuol dire essere padre di una ragazza down?

«All’inizio è stato uno shock. Da astrazione poetica il “mettersi a lottare” di Musica ribelle è diventato impegno quotidiano».

Quanti anni ha e come vive Elettra?

«Ha 35 anni. Da quando ne ha 19 vive in una casa famiglia vicino a me. Percependo la fatica dell’essere “normale”, fu lei a chiedere di andare a stare con altre persone disabili. Elettra è stata una grande sofferenza, ma anche una responsabilità e uno stimolo. Mi ha portato a pensare all’essenza delle cose. Senza di lei forse avrei fatto una vita più superficiale. Pranziamo insieme ogni settimana, è un rito. È una donna piena di iniziative».

Svaniti i sogni di rivoluzione, oggi in che cosa spera?

«Pensando all’ambiente, al futuro del pianeta, al nostro egoismo, non sono ottimista. Inoltre, non sono religioso, non credo alla vita eterna e sto invecchiando. Spero che riusciamo a preservare la bellezza che abbiamo attorno. A vivere con grazia a carità. Lo so, sono concetti cristiani».

La Verità, 3 dicembre 2017

 

Sky Tg24 striglia Google sui video jihadisti

«Basterebbe che le società più grandi e più ricche del pianeta schiacciassero un tasto». Si conclude così la seconda puntata dell’inchiesta condotta da Sky Tg24 contro la pigrizia dei giganti del Web nei confronti dei video di propaganda dell’Isis visibili in rete. La denuncia è stata inaugurata da un editoriale del direttore Sarah Varetto che ha introdotto un lungo e documentato servizio nel quale si mostrava con quale facilità si possono visualizzare su Youtube filmati di esecuzioni di innocenti, di minacce e di campi di addestramento al terrorismo di minori, che si concludono con l’invito a cliccare like. «Una delle ribalte più note e controllabili del pianeta offre ampia visibilità alla propaganda dell’Isis», ha denunciato il direttore del canale all news di Sky. «Google, la seconda società più grande del mondo (proprietaria di Youtube), non è in grado di controllare e rimuovere con efficacia questi video dal contenuto realmente raccapricciante».

I filmati rimangono visibili mesi e anni, raggiungendo centinaia di migliaia di visualizzazioni. Mentre si proclama pronta ai controlli e alla rimozione dei contenuti inneggianti alla violenza e al terrorismo, nei fatti Youtube prevede che il vaglio per l’eventuale cancellazione debba essere sollecitato dagli utenti. Così, questi materiali restano online per anni. Nel caso della violazione della legge sul copyright musicale, invece, Google ha attivato un sistema di autocontrollo che rende la rimozione istantanea e definitiva. Anche per i contenuti pedopornografici, argomento sul quale la sensibilizzazione sociale è giustamente molto elevata, la rimozione risulta rapida ed efficace. Sui video jihadisti la reazione delle piattaforme del Web è molto più lenta e approssimativa. Spesso accade che, dopo il sollecito e la rimozione, lo stesso video ricompaia su altre pagine e su altri provider, continuando a sommare visualizzazioni. Nelle scorse settimane, una polemica per l’inserimento di pubblicità abbinate a questi filmati ha costretto Google a modificare la policy per la gestione dei banner pubblicitari. Ma se le pubblicità sono state rimosse, i video sono rimasti online. Nella seconda parte dell’inchiesta la responsabile della comunicazione di Google Italia si è difesa sostenendo che, prima di rimuovere i filmati, è necessario vagliare il contesto in cui vengono divulgati, verificando se si tratti di video «caricati a fini informativi o a fini educativi». In realtà, tenore e contesto di questi materiali appaiono assolutamente inequivocabili. La circospezione di Google risulta davvero eccessiva, mentre la campagna di Sky Tg24 è da sottoscrivere senza distinguo.

La Verità, 20 giugno 2017