Butterfly, identità sessuale come opzione infantile
Un dramma con lo smalto per le unghie, il rossetto e la calzamaglia. Max è un ragazzino undicenne che vuole diventare Maxine. E lo vuole a costo di mettere a repentaglio l’amore fra mamma e papà – si chiamano ancora così – e l’unità della famiglia alla quale appartiene anche la trascuratissima sorella Lilly. È la storia di Butterfly, miniserie inglese in tre episodi sulla transizione di genere, ideata da Tony Marchant e diretta da Anthony Byrne (Peaky Blinders), trasmessa da Fox Life tra gli hurrà della colorita tifoseria gender.
Dunque, Max (Callum Booth-Ford) ha 11 anni e il primo giorno di scuola media si fa la pipì addosso perché non riesce a entrare nella toilette femminile mentre in quella maschile si sente a disagio. Già a otto anni, però, indossava abiti rosa e prediligeva le bambole al pallone, tanto che una volta, esasperato, il padre (Emmett J. Scanlan) aveva lasciato partire un ceffone, scandalizzando la madre (Anna Friel), più propensa ad assecondare le inclinazioni del ragazzino. Il contrasto sfocia nella separazione dei genitori mentre, con l’incoraggiamento della sorella maggiore («Per me tu sei mia sorella»), la tendenza di Max si accentua. Quando il padre torna a vivere in casa la situazione rimane complicata. A scuola i bulli non perdono occasione per mortificare Max e le differenze tra i genitori sui metodi educativi aumentano. Ma siccome la decisione di Max di operarsi prima possibile è prioritaria, non resta che iniziare la terapia che ritarda la pubertà. Gli scontri familiari richiamano l’intervento del tribunale dei minori, ma la fermezza di Max-Maxine, più degna di un venticinquenne che di un preadolescente, finisce per spuntarla su qualsiasi ripensamento.
La volontà di cambiare genere è il punto di partenza, incontrovertibile come un dogma. Un assioma basato su un’inclinazione emotiva. Se Max minaccia di evirarsi, il genere – non l’identità sessuale che è un fatto di natura – è un’opzione, qualcosa che si può cambiare in base a come ci si sente. Nessuno s’interroga realmente sui motivi del disagio del bambino, salvo un fugace accenno della madre all’auspicio che il nascituro fosse femmina.
Con Butterfly l’asticella dell’ideologia gender si alza. Non riguarda più solo certe nicchie del mondo adulto, ma coinvolge e contagia l’infanzia.