Leosini e Annibali, due donne contro?
L’attrazione fatale dei giornalisti di razza è, generalmente, tuffarsi nelle situazioni impervie. È qualcosa d’istintivo, di paragonabile alla tentazione di maneggiare la bomba a mano ancora inesplosa. Franca Leosini, la lady omicidi della televisione, ha fatto di questa attrazione la sua mission. Da quattordici anni il suo programma su Raitre s’intitola Storie maledette ed è tutto chiaro. Lei è diventata un’icona, un mito del popolo del web, un cult dell’intellighenzia come pure dello spettatore comune con la passionaccia per la cronaca nera. “Vado a incontrare persone che sono come me e come lei – ha detto a Silvia Fumarola di Repubblica – ma che sono cadute nel vuoto di una maledetta storia”. I buchi neri dell’anima. I gorghi della psiche. Un raptus improvviso che esplode dopo essersi coagulato nel profondo. Un atto violento che affiora da un’ossessione. Una vendetta causata da una lunga repressione. Niente professionisti del crimine, assassini seriali, capiclan. “Persone che non rifarebbero più quello che hanno fatto”, sottolinea.
In questo ciclo di incontri appena concluso e per la prima volta in prima serata, Leosini ha intervistato Rudy Guede, lo studente ivoriano condannato a sedici anni per la partecipazione all’omicidio di Meredith Kercher, accusa che rigetta in toto; Celeste Saieva, la “mantide religiosa siciliana” condannata a trent’anni per l’omicidio del marito, Michele Cangialosi, per il quale si proclama innocente; Luca Varani, che deve scontare vent’anni per aver fatto sfregiare con l’acido l’amante Lucia Annibali. Soprattutto quest’ultima intervista (titolo: Quando l’acido ti sfregia l’anima) ha suscitato parecchie polemiche, sulla scorta delle dichiarazioni del procuratore di Teramo Manfredi Palumbo, che ha giudicato inopportuna la sua messa in onda. Varani, in effetti, non aveva finora risposto alle domande dei magistrati, mentre lo ha fatto a quelle di Leosini, dando così la stura a interrogazioni parlamentari e reprimende varie.
Ovviamente, con sommo disappunto dei censori, l’intervista è andata regolarmente in onda, con tutta la sua carica evocativa e i suoi contenuti da acquisire agli atti processuali. Leosini è stata ipnotica e suadente, come al solito. Forse una certa gratificazione per la fama conquistata anche sui social traspare nella lunghezza di quelle che, più che domande, sono lunghi raccordi narrativi davanti ai quali l’intervistato riesce a dire poche cose. La conduttrice paragona il suo programma a una “seduta di analisi”, in cui “rubo l’anima per poi restituirla”. È la funzione psico-sociale di Storie maledette (“La lettura del Paese attraverso i delitti è interessante…”, ha spiegato sempre a Repubblica). Noi telespettatori seguiamo questa seduta per una certa attrazione morbosa e per l’abilità dell’analista. Ma anche, con un inevitabile effetto collaterale catartico, per sgravarci la coscienza dei nostri turbamenti, generalmente più soft di quelli rappresentati.
Al termine della lunga intervista, frutto come tutte di una preparazione maniacale, Varani ha detto che “se un giorno Lucia potrà perdonarmi, potrebbe fare bene anche a lei. E certamente la sua richiesta arriverà alla vittima. La quale in un articolo sul Corriere della Sera, ha spiegato le ragioni del suo rifiuto a vedere il programma: “Da tempo, ormai, le mie orecchie sono diventate sorde alle parole di quell’uomo… Io c’ero mentre vivevo nel terrore, ed ero lì le volte in cui sarei potuta morire… Non ho bisogno che qualcuno mi racconti com’è andata, o che mi spieghi che cosa ho provato in quei momenti”.
Difficile che la mission del giornalismo collimi con la sensibilità delle vittime, se vive. Però la richiesta di perdono di Varani c’è.