Perché la streaming tv stenta a decollare

Insomma, la streaming tv in Italia non decolla. Stenta. Vivacchia. Pilucca qualche centinaia di migliaia di abbonati ai margini della platea. Qualche giorno fa Repubblica ha parlato di circa 700mila spettatori tra Sky Online, Infinity di Mediaset e Netflix. Nicchie, piccole tribù di impallinati… Ci si attendeva molto dallo sbarco in Italia del colosso di Los Gatos (quasi 75 milioni di abbonati nel mondo), ma nell’ottobre scorso, in sede di lancio, il guru Reed Hastings aveva subito placato l’euforia che agitava i fan della visione sequenziale. Puntiamo ad arrivare ad un terzo delle famiglie italiane in sette anni, aveva detto pronosticando l’andamento lento. Dopo i primi tre mesi di rodaggio, il grafico appare più piatto del previsto.

Avevano, dunque, visto giusto gli analisti e i dirigenti di Sky e Mediaset quando dicevano che l’arrivo di Netflix non li spaventava perché c’era già la loro offerta a saturare la domanda? Un po’ sì e un po’ no. Sì perché, tre soggetti di streaming tv in un mercato debole come il nostro, che peraltro attraversa una fase di crisi, sono oggettivamente tanti. No perché, a ben guardare, nemmeno loro se la passano bene. In quella fetta di 700mila fruitori di streaming tv, 280mila sono quelli connessi a Netflix (110mila i veri abbonati, gli altri ancora nel mese di prova gratuito). Dunque, sempre secondo i dati diffusi da Repubblica, tra Sky Online e Infinity restano circa 400mila abbonati.

Oltre all’eccesso di concorrenza all’interno di un mercato piccolo, un’altra delle ragioni del mancato decollo di Netflix, secondo alcuni osservatori va attribuita alla modestia dell’offerta. Pochi i contenuti esclusivi davvero imprescindibili per un servizio che si propone come un gadget d’élite. La critica ha qualche motivazione, ma non ne sono completamente convinto. Serie come Narcos o Making a Murderer o film come Shame o Spring Breakers sono prodotti di qualità. Esclusivi ed elitari quanto basta. Piuttosto, forse, mischiando nell’homepage serie e film, la loro presentazione può risultare un tantino confusa.

Allora, forse, il punto può essere un altro. Qualche settimana fa, quando raccontavo a una persona informata e di buona cultura che, con una certa fatica, mi ero finalmente collegato a Netflix, mi sono sentito rispondere “che cos’è?”. Più di recente, invece, un amico al quale ho regalato un abbonamento semestrale mi ha detto, in tutta franchezza, che i film li aveva già visti quasi tutti. Franchezza per franchezza, ho risposto che ne dubitavo. Ma ciò che dicono queste risposte, per quanto bizzarre, è che, forse, non è ancora stato ben mirato il target di riferimento. E che anche il passaparola ha bisogno di tempi lunghi se non lunghissimi. Perché, a differenza delle normali pay tv per le quali, dopo un po’, si forma la community dei fans di Gomorra piuttosto che di The Orange is the New Black, lo streaming difetta nella possibilità di condivisione. Cioè, ne ha pochissima e solo in frange decimali di spettatori. Perché, croce e delizia di questo servizio, ognuno guarda ciò che vuole, in modi e tempi assolutamente individuali se non individualisti.

Nonostante l’ottima recensione di Davide Piacenza su RivistaStudio.com, chi parla a cena con gli amici di quella tal scena di Making a Murderer?