Sanremo impazza ovunque bravo Sinner a evitarlo

Sanremo si odia. Verrebbe quasi da dir così, in direzione uguale e contraria al claim che ci porta tutte le sere Amadeus in casa, subito dopo il Tg1. E a causa del bombardamento quotidiano cui siamo sottoposti da mane a sera. Rischia di provocare il rigetto. Mancano ancora cinque giorni all’inizio della kermesse e già ne abbiamo le tasche piene. Uno stillicidio di annunci, spot, polemicuzze e politiche di marketing estenuanti. L’ultima in ordine di tempo riguarda la presenza di Jannik Sinner sul palco del Festival. «Vieni a prenderti la standing ovation dell’Ariston», lo ha vellicato il conduttore, manco fosse quella del campo centrale di Wimbledon, l’unica che davvero motiva Jannik. Fosse per me non ci andrei, aveva anticipato il campione di Sesto Pusteria qualche giorno fa. Vista la titubanza dell’invitato, era arrivata la retromarcia del direttore artistico, un video sempre nell’orario di massimo ascolto del telegiornalone: «Vieni se vuoi, ma sentiti libero, noi tiferemo sempre e comunque per te». Fino al «preferirei di no» finale di Sinner.

Beato lui che può permetterselo. Nel frattempo, l’Italia si era già divisa. Giorgia Meloni era per il sì, il presidente della Federtennis Angelo Binaghi per il no. E chissà se oggi, ricevendo la squadra di Coppa Davis, Sergio Mattarella, un anno fa primo presidente repubblicano a presiedere la serata inaugurale, tenterà il convincimento in extremis.

Insomma, l’Italia si è divisa sulla pinzillacchera di Sinner al Festival perché, appunto, checché ne dica il suo conduttore-direttore – «deve includere e non dividere» – Sanremo è divisivo. E lo sta diventando sempre di più per il martellamento di cui sopra. Prendiamo il Tg1. Non c’è edizione serale che non abbia il suo bravo annuncio. I vincitori del concorso giovani. Gli ospiti della nave da crociera Costa Smeralda. Quelli di Piazza Colonna. I co-conduttori. Gli ospiti internazionali. La lista dei cantanti in gara. Qualche comico qua, qualche attore là. Le nuove regole di voto. La scenografia. I duetti. I sarti e le griffe… In compenso, appena finito il tg e dopo l’intermezzo di Bruno Vespa, sia mai che ce lo fossimo dimenticati, ecco il promo dell’evento con Amadeus che si prepara la colazione o va a letto con la tv sintonizzata sul techetechetè festivaliero e pronuncia l’imperativo «Sanremo si ama». Prima di autopassarsi la linea alla conduzione di Affari tuoi. Così, oltre al martellamento promozionale che da giorni finalizza allo scopo con citazioni e rimandi l’intero palinsesto Rai, si aggiunge la sovraesposizione del conduttore. Hai voglia a cambiare canale. Secondo voi, Rai 2 e Rai 3 di cosa parlano? A cominciare dal gioco di sponda, sempre fantasioso, va detto, che da mesi gli fa Viva Raidue di Fiorello, il vero agente di Amadeus. E i grandi giornali? Una raffica di interviste preparatorie ai cantanti in gara, a quelli scartati, ai conduttori che aiuteranno il conduttore, ai direttori d’orchestra, ai vincitori del passato, agli autori del presente.

Sanremo è l’evento, la manifestazione, il fenomeno più mainstream d’Italia. Persino più del Pd e della Juventus (non a caso, per la sua eccezionalità, il no di Sinner fa tornare alla mente lo storico rifiuto di Gigi Riva a trasferirsi alla Juve). Anzi, è l’archetipo stesso del mainstream. Una volta si diceva: nazionalpopolare. Adesso non basta più perché è anche elitario e progressista, visti i temi che cavalca. I diritti civili e l’inclusione. Le quote delle minoranze, puntualmente sovrarappresentate grazie allo zelo Lgbtq+ di certi dirigenti della tv pubblica. Le polemiche che fanno sempre e comunque il gioco di chi dà le carte (un po’ meno quello del bilancio della Rai finanziata dal canone, come nel caso della multa rifilatale dall’Agcom).

Tra i vari annunci, dopo aver interrotto la collaborazione con lo storico agente Lucio Presta, non amatissimo dalle parti del governo, Amadeus ha detto che la politica deve stare lontano dal Festival. Nelle intenzioni, sembrava un avvertimento a qualcuno. Chissà. In realtà, considerate le edizioni da lui artisticamente dirette, con l’overdose di predicozzi, di paole egonu e roberti saviani, di chiare ferragni e fedez, sarebbe molto più plausibile come pentimento. Vedremo (purtroppo).

Sanremo è talmente mainstream che volendo starne lontani ci si autocondanna al margine. Per chi poi fa questo nostro mestiere, è un obbligo. Un piccolo lockdown di cinque giorni. Un pop pass inappellabile. No Festival non ammessi. Mica possiamo declinare come Sinner. Si passa il badge il martedì e lo si ripassa all’uscita la domenica dopo, giusto per limitarsi all’essenziale. Altrimenti, se non ci fosse l’obbligo professionale, sai quante belle serie ci sono da vedere? E quanti bei film, persino al cinema? Anche solo per il gusto di dire no, come cantava Vasco Rossi. Una volta c’era la controprogrammazione di Mediaset, qualcosa che aveva la parvenza di un’alternativa. Invece, oggi è tutto un po’ più prevedibile e pedissequo.

Sanremo impazza e noi impazziamo. Verrebbe quasi da organizzare un sit-in. Davanti all’Ariston, però.

 

La Verità, 1 febbraio 2024