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Il talk di Bianca si porta bene anche su Mediaset

In un mondo in cui tutto cambia qualcosa resta immutato. È Bianca Berlinguer in onda con il suo programma di approfondimento giornalistico al martedì sera. Uguali a loro stessi, lei e il talk show. Cambia il media che lo diffonde, Rete 4 della tv commerciale al posto di Rai 3 del servizio pubblico. Insomma, secondo il vecchio schema la scommessa è un talk di sinistra in una rete di destra. Evidentemente, BB ha pensato che per il suo pubblico si tratta solo di cliccare un altro tasto del telecomando e quindi struttura, ospiti e contenuti potevano restare invariati. Non a caso è traslocata anche l’intera squadra, a cominciare da Sancho Panza Mauro Corona. Anche lo studio è identico…

In realtà, qualche novità c’è. Il programma ora s’intitola È sempre Cartabianca, ma in quella sottolineatura temporale si coglie la volontà di mantenimento del format. Il secondo cambiamento è nella durata che si allunga di tre quarti d’ora, il che permette di affrontare gli argomenti con meno frenesia. Una parte di questo tempo supplementare va appannaggio del lungo duetto con l’uomo del monte. Il quale si toglie i macigni dalle pedule per replicare al «ragionier» Vincenzo De Luca e ad «Alessandro Cecchi Pa(v)one» prima di opinare sulla qualunque. Dopo l’intervista a Giuseppe Conte, la parte migliore della serata si è concentrata nei talk veri e propri. Azzeccata l’idea di mettere a confronto Flavio Briatore con Debora Serracchiani e Stefano Cappellini sulla forbice sociale sempre più divaricata tra super ricchi e super poveri e documentata in un paio di servizi sulle vacanze extra-lusso o extra-povere e sulla necessità del salario minimo. Alla fine, il più assennato e competente è risultato Mario Giordano, presente anche in veste di ambasciatore aziendale: schierarsi con i lavoratori o gli imprenditori è uno schema vecchio, ci sono piccoli imprenditori e artigiani che patiscono tanto quanto i lavoratori dipendenti… Altrettanto ricco il dibattito sugli stupri del branco, innescato da un focus sulla movida palermitana. Il parterre di ospiti era molto composito, ma proprio la gestione della complessità è il banco di prova dei conduttori dei talk. A dimostrarlo c’è l’accentuato interventismo di Berlinguer, portata a indirizzare il confronto in una direzione precisa.

I riscontri di audience della puntata d’esordio (1,2 milioni di telespettatori e il 9,6% di share) sembrano dar ragione al trasloco del format su Rete 4, ma per parlare di scommessa vinta bisogna attendere quando sulle reti concorrenti saranno in onda Giovanni Floris e Nunzia De Girolamo.

 

La Verità, 7 settembre 2023

Il Corriere della Sera vuole chiudere Cartabianca

Anche i grandi critici televisivi hanno le loro piccole (o grandi) fissazioni. Un po’ come certi docenti universitari hanno le loro piccole (o grandi) predilezioni. Se poi sono la stessa persona la faccenda è ancora più bizzarra. Prendete Aldo Grasso, titolare della lettissima rubrica «A fil di rete» sul Corriere della Sera. Che non ami Cartabianca è risaputo. Ma ieri, dopo un insistente lavoro ai fianchi, il principe dei critici ha rotto gli indugi e ne ha chiesto la chiusura definitiva. «È finita Cartabianca e, in tutta sincerità, spero non torni più». Inequivocabile. Tassativo. Inelegante, anche. È noto che in questa stagione il talk show di Rai 3 condotto da Bianca Berlinguer ha attraversato momenti difficili, finendo nel mirino dei censori del Pd (Valeria Fedeli, Andrea Romano eccetera) e di svariati altri commissari vigilanti. Il casus belli è stata la partecipazione del professor Alessandro Orsini, disallineato al verbo draghiano sulla guerra in Ucraina (in precedenza altri ostacoli erano stati accatastati a causa della collaborazione con Mauro Corona). Ne è scaturita una polemica durata settimane che, sebbene camuffata sotto l’esigenza di adeguare i talk show a dei toni più decorosi, aveva in realtà come obiettivo la normalizzazione dell’unico spazio che ospita opinioni dissonanti. A ben guardare è proprio il dissenso a fare obiezione al critico del Corriere: «Ogni volta che il reale appare nella sua drammaticità, dobbiamo registrare come i talk inquinino il dibattito pubblico, creino <mostri>, diffondano menzogne e malafede, favoriscano l’indistinguibilità. Per questo, l’ospite più ricercato è quello considerato <scomodo>, l’intellettuale dai toni wagneriani, costantemente in dissenso». Insomma, meglio la noia, il calo degli ascolti, preoccupazione che appartiene alle «logiche volgari del mezzo» e alle tv commerciali, e il monopensiero piuttosto che «la contrapposizione, il tafferuglio, il parapiglia»: elementi che giustificano la richiesta di soppressione del programma.

Ovviamente la replica di Berlinguer non poteva farsi attendere: «Vi sembra normale che il critico televisivo del gruppo editoriale al quale appartiene la trasmissione mia diretta concorrente, DiMartedì, si auguri la chiusura d’autorità di Cartabianca?», ha scritto la conduttrice sulla sua pagina Facebook. «E dico <d’autorità> dal momento che gli ascolti ci hanno costantemente premiato». Oltre l’ineleganza, Berlinguer adombra il conflitto d’interessi. E si chiede: «Chi altri dovrebbe giudicare se non quegli stessi cittadini che pagano il canone e gestiscono il telecomando, della qualità e del gradimento di una trasmissione? O a decidere del destino di un programma… devono essere, in singolare sintonia, il critico televisivo del gruppo editoriale concorrente e una parte della classe politica?».

Per dissimulare una presunta ossessione per la conduttrice ed ex direttrice del Tg3 Grasso scrive che «per me Bianca Berlinguer potrebbe anche presentare Sanremo». In realtà, nel pieno della polemica di qualche settimana fa, intervistato dal Foglio – altra testata convinta della necessità di spianare le residue asperità dell’informazione tv – aveva detto: «Bianca Berlinguer segue uno schema fisso: vede uno strambo nelle trasmissioni altrui e subito lo paga. Corona, Scanzi e adesso Orsini».

Fortunatamente i palinsesti Rai della prossima stagione sono già stati decisi. In ogni caso non c’è da preoccuparsi: di solito gli interventi censori ottengono l’effetto opposto a quello che si prefiggono.

 

La Verità, 25 giugno 2022

Aboliamo la Vigilanza, residuato dell’era sovietica

Un angolo di Unione sovietica in Italia. Un retaggio della vecchia Urss. Oppure una scheggia di regime putiniano. Ce l’abbiamo oggi nel nostro Paese: è la Commissione di Vigilanza sulla Rai. Denominazione ufficiale: Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. Emblematico, no? Propaggine di un’epoca che s’immaginava finita con la caduta del Muro di Berlino. Avrebbe dovuto essere asfaltata nel secolo scorso, invece continua a vigilare. Già la stessa esistenza di un organismo composto da politici che sorvegliano l’operato di un’azienda che si occupa d’informazione e intrattenimento è significativa. Se poi aveste assistito a una sua seduta nell’austero Palazzo San Macuto avreste di che sorridere. San Macuto è un palazzo nel cuore della Roma politica, specializzato nell’ospitare commissioni dal fascino sinistro come quella per l’antimafia e quella per la sicurezza della Repubblica, il famigerato Copasir. Seguire un’audizione è un’esperienza memorabile. Come guardare una docufiction brezneviana, uno show distopico, viaggiare con la macchina del tempo. Banchi d’aula in teak, microfoni snodabili, riprese con telecamera fissa. Mentre a livello planetario la comunicazione viaggia sul web e gli esperti studiano come liberarsi dalla cappa degli algoritmi, nel nostro pittoresco Paese sopravvive un posto dove l’amministratore delegato della più importante azienda culturale deve giustificare come un esaminando perché promuove Tizio, rimuove Caio o pensa di affidare un programma a Sempronio. Non a caso è in questa commissione dove la politica ridimensiona, rimonta ed esautora i manager che, puntualmente, a ogni cambio di governo annunciano l’attesa rivoluzione in Rai. Nelle riunioni della Vigilanza a San Macuto sono state affossate la riforma delle newsroom di Luigi Gubitosi, quella della media company di Antonio Campo Dell’Orto e ora sta subendo violenti colpi di maglio il piano editoriale per generi di Carlo Fuortes.

L’audizione del 15 giugno era stata convocata perché l’amministratore delegato «fornisca chiarimenti» a proposito della rimozione di Mario Orfeo dalla direzione dell’area Approfondimenti e del suo ritorno al Tg3, il trasferimento di Antonio Di Bella nella casella degli Approfondimenti e il passaggio di Simona Sala al daytime. C’era poco tempo, ma Fuortes doveva spiegare oltre il domino di nomine, l’ipotesi di vendita della sede di Viale Mazzini ed eventuali decisioni riguardo al Piano editoriale, con particolare riferimento ai talk show. In queste audizioni l’ad siede tra un dirigente Rai che lo accompagna per solidarietà e il presidente della Commissione, che in questa legislatura è Alberto Barachini di Forza Italia. Al termine della comunicazione dell’amministratore convocato, dopo aver dondolato il capo in segno di disapprovazione, sono intervenuti i vari commissari. L’altro giorno gli autori dei niet più inappellabili sono stati Valeria Fedeli e Andrea Romano del Pd e Michele Anzaldi di Italia viva, per l’occasione allineatissimo alle dure critiche dei colleghi vigilanti del suo ex partito.

Il tema che sta davvero a cuore ai commissari dem e pure di Forza Italia sono comunque i talk show. Dopo le polemiche di qualche settimana fa, in coda alla partecipazione remunerata, poi trasformata in gratuita, del professor Alessandro Orsini a Cartabianca di Bianca Berlinguer, sembrava che la questione degli ospiti e dei loro contratti fosse stata archiviata per sempre. Invece no. Non potendo più contestare la decisione di spostare Orfeo al vertice del Tg3, ormai approvata dal Cda, Barachini ha rispolverato la grana esercitando il suo potere di «indirizzo e vigilanza» su come vengono scelti ospiti, esperti e opinionisti e se costoro debbano essere contrattualizzati. L’idea è commissionare un sondaggio a un istituto demoscopico per chiedere lumi ai telespettatori. Non è difficile immaginare che la demagogia avrebbe facile presa: un idraulico o un elettricista che prestino la loro opera hanno diritto alla sacrosanta mercede; un docente universitario che abbia studiato decenni o un giornalista che abbia conquistato autorevolezza in qualche materia e spendano una serata in tv invece di farsi i fatti propri o di andare in un canale concorrente, no.

In un’informazione pubblica che di fatto risponde a un governo di unità nazionale, con tutti e tre i telegiornali appiattiti sulla linea di Palazzo Chigi, i talk show politici – cioè la sola Cartabianca, perché anche Porta a Porta è filogovernativa – sono l’unico spazio che ospita punti di vista dissonanti. Stabilire criteri di approvazione degli ospiti significa espropriare conduttori e autori dell’autonomia produttiva. E puzza di intenzione normalizzatrice. Come si sa, la campagna anti-talk occupa da settimane le testate governative, dal Foglio al Corriere della Sera, quest’ultimo di proprietà dello stesso editore di La7, rete lastricata di programmi concorrenti della Rai. La proposta del sondaggio di Barachini ha trovato l’opposizione di Fdi e 5 stelle e l’approvazione di Pd, Italia viva e Forza Italia.

Personalmente e assai più modestamente propongo un sondaggio sull’abolizione della commissione di Vigilanza, ultimo pezzo di Unione sovietica attivo in Italia. Sarebbe il modo per avviare il riassetto del servizio pubblico, iniziando a sganciarlo dalla politica. Chissà se il Pd, che ha più sedi in Rai che nel resto del Paese (copyright Michele Santoro), lo appoggerebbe.

 

La Verità, 17 giugno 2022

 

Il caso Orsini e il regime soft dei migliori

La censura dei migliori. Operata dai migliori. I buoni, quelli che stanno dalla parte giusta della Storia. La vittima è il professor Alessandro Orsini, docente di Sociologia del terrorismo internazionale presso la Luiss (Libera università internazionale di studi sociali). Colpevole di avere posizioni non allineate al pensiero unico atlantico. E per di più colpevole di percepire 2.000 euro a puntata per sei puntate di #Cartabianca alle quali l’aveva invitato Bianca Berlinguer. È un filputiniano, così è stato marchiato, lo si può colpire. Dopo la prima ospitata e la levata di scudi, preventiva ma unanime, dal Pd a Italia viva, la Rai ha stracciato il suo contratto. Il direttore di Rai 3, Franco Di Mare, «d’intesa con l’amministratore delegato della Rai» ha deciso di non dar seguito all’accordo «originato dal programma #Cartabianca che prevedeva un compenso per la presenza del professor Orsini». È la Rai al tempo di Mario Draghi e di Carlo Fuortes. Eccezioni e dissonanze non sono tollerate. Almeno Silvio Berlusconi aveva il coraggio di diramare un editto. Ora si censura con un comunicato, in sordina. Con i modi del regime soft. «Mamma Dem comanda e la Rai ubbidisce», ha twittato Marcello Veneziani. Corradino Mineo ha parlato di maccartismo.

Lo scandalo è doppio. Innanzitutto che Orsini esponga critiche alla Nato e all’Unione europea a proposito della situazione che ha portato all’invasione di Putin dell’Ucraina. E poi che lo faccia essendo retribuito. Da Paola Picierno a Stefano Bonaccini, da Andrea Romano a Michele Anzaldi il senso del ragionamento è questo: se vuole dire le sue opinioni lo faccia gratis. Domanda: per essere pagati, come lo sono tutti gli opinionisti da Mauro Corona ad Andrea Scanzi, da Giampiero Mughini a Beppe Severgnini per citare i primi nomi che vengono, bisogna dire cose gradite al padrone del vapore? Berlinguer ha replicato che se si vuole approfondire il dibattito (i talk non si chiamavano programmi di approfondimento?) il contraddittorio è necessario. Escludere una voce rappresentativa di un’opinione presente nella società italiana lo mortificherebbe. «Serve la più ampia pluralità di idee. Non è forse questa la missione del servizio pubblico?», ha chiesto Berlinguer. Orsini si è detto pronto a partecipare al programma anche gratuitamente. Vedremo se il problema sono gli euro o i contenuti del professore. O magari la Berlinguer stessa, che la Rai draghiana vuole accantonare.

La gran cassa del monopensiero lavora a tempo pieno fin dalla pandemia. E con l’invasione dell’Ucraina ha serrato ancora di più le file. In pochi giorni abbiamo letto la lista di proscrizione di indegni filoputiniani, sorta di scomunica civile, redatta da Gianni Riotta. Abbiamo visto Beppe Severgnini accaldarsi nel dire «che bisogna leggere solo i giornali giusti e guardare solo i programmi giusti». Abbiamo letto Massimo Gramellini randellare tutti coloro che deviano dal sentiero bellico per dire che con costoro non ci può essere alcun dibattito. Abbiamo letto Antonio Polito scrivere scandalizzato che «in ogni talk show ce n’è uno». Sarebbe questo lo scandalo. Invece, mi verrebbe da dire: grazie a Dio. Anche se non condividessi nulla di ciò che questo «uno» sostiene. È un fatto di pluralismo, bandiera ammainata dalla sinistra. Di salute della democrazia, principio che ormai i dem disconoscono. Tutti allineati e coperti, si diceva da militare. E chi sgarra, in punizione. O censurati. Dai migliori.

 

Il gioco di squadra non abita in Viale Mazzini

Stasera è una serata no, per me», ha cominciato a lagnarsi fin dall’anteprima Bianca Berlinguer, martedì scorso. A farle da spala, c’era, come al solito l’«alpinista scrittore» Mauro Corona. Pausa pubblicitaria e imbeccata studiata ad hoc. No, con la «Biancaneve» non si può scalare, non si può finché la neve non è ben assestata. «Lei è assestata, Bianchina?». «Questa sera non sono per niente assestata, tutt’altro!», ha replicato la conduttrice. «Sono molto arrabbiata, ma non posso dirlo ai nostri telespettatori, non sarebbe giusto. Ma troverò il modo di comunicarlo…». Si sussurra di una telefonata di protesta ai piani alti di Viale Mazzini.

Il motivo del lamento è come mai Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, abbia scelto di sconfinare su La7 chez Giovanni Floris per difendersi dalle accuse di tenere bordone ai no-vax. Figuriamoci. La questione è grave ma non seria, come sempre in Italia, tanto più nella Rai del servizio pubblico. Detto in due parole: oltre che conduttore di Report, Ranucci è anche vicedirettore di Rai 3. Lunedì sera, all’interno del suo programma, aveva mandato in onda un’inchiesta nella quale si ponevano alcuni interrogativi sull’obbligo della terza dose vaccinale. Apriti cielo: il Comitato di salute pubblica, il mix di politici e opinionisti gauchistes che governa l’infodemia emergenziale, ha gridato allo scandalo, signora mia! Con la sua erre blesa e la sua aria ingannevolmente pacioccona, Ranucci ha dovuto trovare il modo di difendersi. Ho fatto solo del giornalismo, ha detto, dubitando che i detrattori del servizio incriminato l’avessero visto davvero perché, nel dettaglio, era tutt’altro che funzionale alla mentalità no vax.

Il problema per la Rai targata Carlo Fuortes, improvvisamente divenuta nella narrazione mainstream un posto idilliaco, è che queste argomentazioni Ranucci è andato a rappresentarle a DiMartedì (share del 4,8%, un milione scarso di spettatori), programma concorrente di #cartabianca (4,2%, 852.000 spettatori) in onda sulla rete che vicedirige. Bizzarro, no? Dopo aver scoperto che era stato regolarmente autorizzato, ancor più bizzarramente si è scoperto che, invece, non era stato invitato nel salotto di B.B. Ovviamente, Floris non ha perso l’occasione di ospitare il giornalista al centro delle polemiche. Così, ai piani alti di Viale Mazzini, hanno facilmente potuto replicare alla Berlinguer che avrebbe dovuto giocare d’anticipo. Ma si sa, il gioco di squadra non è esattamente il punto di forza della Rai. Per Fuortes e Marinella Soldi c’è ancora parecchio da lavorare.

 

La Verità, 5 novembre 2021

La corte di Corona svela una Berlinguer inedita

A Bianca Berlinguer piacerebbe che Mauro Corona regalasse la scultura di una ballerina. La gradirebbe più di una maternità con bambino. La rivelazione è scaturita da uno dei dialoghi borderline che ormai fanno parte del copione di #cartabianca (Rai 3, martedì, ore 21.20, share del 5.80%, in crescita). Il duetto tra l’ex imbronciata direttora del Tg3 con il cognome che profuma austerità e il buon selvaggio – scultore alpinista scrittore sempre in tv – è l’incipit fisso della puntata. La coppia funziona e conviene piazzarla all’inizio per stimolare l’Auditel. Duettano, flirtano, giocano di fioretto con allusioni e ruvide galanterie che svelano il lato femminile di BB che nessuno sospettava. La principessa e il barbaro. La signora di Roma e il montanaro. La giornalista in total black e lo scultore con i bicipiti scoperti che dissemina il suo eloquio di citazioni più o meno precise. Il gioco dei contrasti diventa sinergia. Quanto le abbiamo giovato noi? E quanto le ho giovato io?, si sono rimbalzati a inizio collegamento. Dopo il servizio sulle valli del Veneto colpite dal maltempo Corona annuncia che andrà a prendersi qualche pino cembro per scultura. «Così ne farà qualcuna anche per noi». «Una per lei di sicuro». «Grazie. E che scultura mi farebbe? Voglio espormi…». «Non certo una ballerina». «Oddio, se mi voleva fare una ballerina non è che mi offendevo. Per me andava bene». «Per lei farei una maternità, una mamma col bambino. Poi ci metto san Giuseppe vicino…». «Beh, come la Madonna non mi ci vedo molto…». Scorre un breve filmato dal profilo Facebook in cui lo scultore modella un crocifisso con la motosega. «Noi con la motosega depiliamo le nostre donne senza ferirle, non abbiamo bisogno di corsi e patentini», butta lì Corona in polemica con le normative. Lei procede con la scaletta prestabilita, ma non resiste e chiosa: «Comunque, io con quella motosega non mi farei mai depilare. Non so le donne di là». «Se vuole provare io le garantisco l’immunità». «Solo l’immunità, perché per il resto non si sa come va a finire, potrebbe accadere di tutto». «Quando vengo a Roma porto la motosega». «Ma non speri nella depilazione». Questo è il tenore. Il consiglio dei ministri, l’assoluzione di Virginia Raggi, l’attacco dei grillini ai giornalisti sono incorniciati nel flirt. L’intervista dura quasi un terzo del programma. Quando arriva Maria Elena Boschi che assiste all’uscita di Luigi Di Maio da Palazzo Chigi il meglio c’è già stato. Con Albano Carrisi si parla ancora un po’ di politica, ma di più di vita privata del cantante, tra Romina Power e Loredana Lecciso.

BB ha imparato, BB è cambiata.

 

La Verità, 15 novembre 2018

Bianca come il nome, rossa come l’abito (e non solo)

Era piuttosto emozionata Bianca Berlinguer per l’esordio serale, in abito rosso fuoco, del suo #cartabianca (Rai 3, martedì ore 21.15, share del 5,40%, praticamente identico al 5,47 del concorrente DiMartedì su La7). Tanta attesa e tante polemiche alle spalle: la conduttrice non si è fatta scrupoli nel lasciar trasparire una certa trepidazione, cospargendo la serata di captatio benevolentiae: è la prima volta, abbiate pazienza, miglioreremo in corsa… E qualche miglioramento, è di certo atteso, soprattutto nella disinvoltura a gestire lo studio, i tempi delle interviste, i lanci dei break pubblicitari, la conquista di una maggior indipendenza dal blocco notes, compulsato di continuo. Detto questo, il nuovo programma di Rai 3 contiene alcune buone idee, la principale delle quali è il talk show emotivo, l’emotalk show, complice il fatto che a condurlo sia una donna. La novità più rilevante è il gradimento in tempo reale degli ospiti, misurato da Ipr Marketing, l’istituto diretto da Antonio Noto, che ha sottolineato di non confonderlo con un vero sondaggio. Trattasi di «sentiment», ovvero di condivisione emotiva dei contenuti proposti dai vari Luigi Di Maio, risultato il più efficace con il 57% dei consensi, Massimo D’Alema, che ha accolto con controllato disappunto il suo 41% finale, Maurizio Landini (53%) e Guido Martinetti, fondatore di Grom (47%). La misurazione del gradimento dà un perimetro alle interviste e costringe i politici all’autocontrollo. Altri spunti: l’imitazione non proprio soft della direttora di rete Daria Bignardi, proposta da Gabriella Germani, il servizio a Tor Bella Monaca, periferia di moda da Lo chiamavano Jeeg Robot, per vedere se anche oggi gli elettori rivoterebbero M5s e Virginia Raggi, Gabriele Corsi che gioca con i fake tweet, mettendo Michele Emiliano, rientrato all’ultimo nel Pd, nel mirino. Aggressiva più con Di Maio che con D’Alema, con il quale, sul finire dell’intervista, ha accusato un attimo di appannamento, Berlinguer ha aperto un ampio capitolo dedicato al lavoro, alle storie di disoccupazione e mobbing che affliggono soprattutto i giovani. La volontà di aggiungere tonalità leggere alla discussione politica si è vista nell’angolo concesso alle imitazioni di Gabriella Germani, non così efficaci se necessitano di essere corredate da didascaliche fotografie delle persone imitate. Chiusura tutta femminile con Fiorella Mannoia, reduce da Sanremo con Che sia benedetta, e disponibile a parlare, tra l’altro, del suo rapporto con la religione. In sintesi, con #cartabianca serale, si apre un importante spazio di approfondimento di sinistra e non renziano nelle reti Rai. Michele Anzaldi, da sempre detrattore dell’ex direttora del Tg3, già scalpita.

… E Bianca Berlinguer fa il pieno di ascolti

Un altro piccolo segnale contro Renzi. Un indizio, niente più. Ma fastidioso come un’ape nell’ascensore: la campagna referendaria è in salita, come documentano i sondaggi. #Cartabianca di Bianca Berlinguer, il programma meno amato dal premier e più contrastato dalla direzione di Rai 3, ha fatto il pieno di ascolti: 9,72 per cento di share con 1,4 milioni di telespettatori (e quasi tre milioni di contatti). È solo la prima puntata, presto per tirare conclusioni definitive. Però, se si vuol farsi un’idea al netto delle cautele avanzate qualche giorno fa su queste colonne da Antonello Piroso, si può dire che i buoni ascolti del programma inaugurato dall’ex direttrice del Tg3 non sono musica per le orecchie del premier. Cioè, sono musica stridente con l’ottimismo da vittoria referendaria. E sono pure una discreta stonatura nel palinsesto della Terza rete Rai. Dove le creature bignardiane come Gianluca Semprini (Politics – Tutto è politica) e Asia Argento (Amore criminale) floppeggiano, mentre Berlinguer vince e convince.

Daria Bignardi: le sue creature, Gianluca Semprini e Asia Argento «non tirano»

Daria Bignardi: le sue creature, Gianluca Semprini e Asia Argento «non tirano»

Qualche giorno fa, alla conferenza stampa di presentazione del programma, Daria Bignardi aveva recitato da direttrice convinta e motivante, elogiando la giornalista, «brava a mettersi in gioco», per questa nuova «sfida», «scommessa», «avventura». Son queste le parole più gettonate in simili circostanze. Anzi, la parolina magica di solito è «esperimento» (se va bene siamo stati bravi, se va male stiamo sperimentando…). Tanto che la stessa Berlinguer aveva dichiarato di «mettere le mani avanti», temendo il flop in agguato per un talk show piazzato nel tardo pomeriggio, prima del telegiornale dal quale, peraltro, la stessa Berlinguer era stata traumaticamente detronizzata.

Consapevolissima del rischio, e pure per esorcizzarlo, la giornalista ha invitato nella puntata d’esordio Renzo Arbore, uno dei padri fondatori, e soprattutto uno che cantava Vengo dopo il tiggi nella sigla finale del memorabile Indietro tutta!. Che cosa dobbiamo fare noi che invece veniamo prima del tg, per avere buoni ascolti?, gli ha chiesto la conduttrice. «Bisogna inseguire la doppia lettura, accontentare il gusto sia del pubblico colto che di quello meno esigente», ha rivelato Arbore nei panni del guru. Come che sia, il programma più osteggiato, rinviato e tollerato dall’intera filiera politico-mediatica renziana ha fatto il pieno. Smacco doppio o anche triplo, se si ricordano le quotidiane invettive scagliate da Michele Anzaldi sull’ex direttrice del Tg3, il successivo siluramento a causa della mancata acquiescenza alla linea del Nazareno e l’ostruzionismo di Viale Mazzini a concedere carta bianca alla giornalista. Ostruzionismo confermato dalla scomparsa del promesso programma di seconda serata sempre a conduzione Berlinguer. Detto ciò, alla fine, ci si può accontentare della buona audience della #Cartabianca tardopomeridiana. Un programma nelle cui vene scorre un senso di privazione («Vi sembrerà strano che sia io a dirlo ma mi ci abituerò: linea al tg»). E il peso della carriera di Berlinguer nel convocare ospiti importanti (Ezio Mauro, Arbore, Carlo Freccero) e connettersi con le firme della rete (la redazione di Blob). E un programma dal quale il premier si tiene alla larga, come s’è visto quando l’inviato Gabriele Corsi ha provato ad avvicinarlo alla Leopolda, ottenendo la promessa di un «dopo, dopo» che non è mai arrivato.

Un indizio fastidioso, dunque, la buona audience del programma meno renziano della Rai. Un indizio che va ad aggiungersi all’altro, di qualche giorno fa, quando il premier perse il confronto con il grillino Luigi Di Maio, contemporaneamente in onda a DiMartedì (La7) mentre lui imperversava nello studio di Politics. Certo, due indizi non fanno ancora una prova; pure Geo, predecessore di #Cartabianca, faceva buoni ascolti. Però, intanto, l’ape è lì. E ronza, molesta, nell’ascensore della lunga campagna referendaria…

 

La Verità, 9 novembre 2016