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Bergoglio, Fazio e quel feeling figlio di Repubblica

Il Fratacchione e il Papa. Fabio e Francesco. Fazio e Bergoglio. Storia di un riconoscimento. Di un comune sentire. Di predilezioni e affinità elettive. Maturate e benedette da Repubblica fin dagli albori della pandemia. Le somiglianze tra il grande conduttore televisivo e il grande condottiero della cristianità sono evidenti. Il Fratacchione catodico e il Papa cattolico. Il papa laico e il Papa religioso. Stasera il Pontefice sarà ospite per la seconda volta nel giro di un paio d’anni di Che tempo che fa, quasi che il conduttore ligure abbia raccolto il testimone da interlocutore privilegiato del Santo padre lasciato da Eugenio Scalfari. Complimenti a Fabio Fazio che, tra un dialogo con il Ct dell’Arabia saudita, Roberto Mancini, qualche gag di Leonardo Pieraccioni, gli immancabili sermoni di Roberto Burioni e Michele Serra, e la letterina di Luciana Littizzetto, lo intervisterà sul Nove in collegamento dal collegio Santa Marta. Un colpo giornalistico che, sebbene di recente anche il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci abbia dialogato con Bergoglio, contenderà il primato degli ascolti alla Rai. Tuttavia, nel video postato sugli account di X, Fazio lascia intendere che non è l’attualità a interessarlo.

Dopo una premessa emotiva in cui spiega che non vuole «sprecare l’occasione» perché le parole del Papa «non sono in funzione di una trasmissione televisiva, ma sono in funzione della nostra vita», il conduttore sottolinea che il suo tentativo sarà quello di mettersi «in ascolto e di non fare cronaca, ma riuscire a porre argomenti che possano andare un po’ più lontano». Insomma, par di capire che si parlerà di cose alte e profonde allo stesso tempo. E nessuno più di noi ne è contento. Ciò nonostante, non dispiacerebbe se si trovasse spazio anche per i temi all’ordine del giorno in Vaticano e nella cristianità universale. Tipo le benedizioni alle coppie dello stesso sesso che hanno agitato le conferenze episcopali e i fedeli di mezzo mondo. O la predilezione per la banda di Luca Casarini, l’ex disobbediente invitato al Sinodo e ora sotto indagine della Procura di Ragusa per favoreggiamento dell’emigrazione clandestina, ma che «salva gente in mare» con i soldi delle diocesi, facendo storcere il naso a tanti devoti che la domenica fanno l’elemosina in chiesa.

Vedremo. Fazio non è solito fare il contropelo agli ospiti. Figuriamoci al Papa, con il quale intrattiene un rapporto di grande empatia. La prima volta che lo ebbe ospite, grazie ai buoni uffici dell’associazione Nuovi orizzonti di Chiara Amirante e della Comunità di Sant’Egidio, fu il 6 febbraio 2022. Allora il programma andava in onda su Rai 3 (share del 25,4% e 6,7 milioni di telespettatori) e, per scaldare il pubblico, era stato invitato a dare una definizione del Pontefice un quartetto di giornalisti molto in voga, anche se non esattamente del ramo. Massimo Giannini aveva parlato di un «Papa vicino alla gente, inviso alle gerarchie». Fiorenza Sarzanini lo aveva descritto come «uno straordinario rivoluzionario». Roberto Saviano lo aveva identificato come «l’ultimo socialista». Mentre per Carlo Verdelli era «un grande uomo solo». Il tutto a conferma che Bergoglio piace molto ai non credenti. Il che andrebbe benissimo se, al contempo, non autorizzasse documenti come la Fiducia supplicans, redatta da Víctor Manuel Fernándes, il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede da lui nominato, che, come si diceva, ha gettato nello sconcerto le chiese africane, quelle dell’Est europeo e di parte del Sudamerica.

Del resto, se il feeling tra Fabio e Francesco è nato e cresciuto all’ombra di Repubblica, un motivo ci sarà. All’epoca, 18 febbraio 2020, a dirigere il quotidiano di Largo Fochetti c’era Carlo Verdelli. Da poco era iniziata la prima quarantena per il coronavirus e Bergoglio era solito farsi intervistare (con virgolette approssimative se non arbitrarie) da Scalfari fin dal primo ottobre 2013. Ma quella volta fu il vaticanista a interrogare il Papa. In quei giorni di coprifuoco Verdelli aveva pensato di far scrivere alcuni volti noti su ciò che stava loro a cuore. A un certo punto era toccato a Fazio vergare una sorta di decalogo che invitava a «riconnettersi alla Terra e all’ecosistema» e «a stare vicini alle persone a cui vogliamo bene». Il giorno dopo, papa Bergoglio aveva rivelato a Paolo Rodari che l’aveva «molto colpito l’articolo scritto su Repubblica da Fabio Fazio». Proprio così. Chissà se l’aveva letto spontaneamente… E cosa, in particolare, l’aveva colpito? «Tanti passaggi, ma in generale il fatto che i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri». E poi, ancora, il fatto che chi evadeva le tasse toglieva denaro alla sanità pubblica. Insomma, davanti alla situazione planetaria altamente drammatica, con la morte che imperversava, mentre i filosofi e gli intellettuali laici ricorrevano a Sant’Agostino, diversamente Francesco era «colpito» da Fazio. La citazione aveva «aperto» l’edizione meridiana del Tg1, il conduttore era pur sempre, ancora, un volto Rai (mentre gli altri tg l’avevano ignorata). Non poteva che nascere quel grande rapporto mediatico di cui, oggi, tutti godiamo.

Stasera a preparare il terreno all’evento ci sarà un altro terzetto di giornalisti: Annalisa Cuzzocrea, vicedirettrice della Stampa, Nello Scavo, inviato di Avvenire, e l’irrinunciabile Massimo Giannini, editorialista di Repubblica. Chissà se loro riusciranno a convincere l’amico Fabio a non trascurare troppo la cronaca.

 

 

La Verità, 14 gennaio 2024

Senza Ratzinger, Bergoglio insegue il mainstream

Fra tre giorni la cristianità universale celebrerà il mistero di Dio che s’incarna nel Bambino Gesù. Contemporaneamente, gran parte del resto del mondo, che pure vuole farci augurare correttamente «Buone feste» anziché «Buon Natale», festeggerà, appunto, non si sa bene cosa. Chi, dunque, con una buona ragione, chi senza, saremo quasi tutti impegnati in pranzi di famiglia, apertura di regali, visite ai parenti. Tra poco più di una settimana, invece, si attenderà l’arrivo del nuovo anno che si spera diverso dall’attuale, e ricorrerà il primo anniversario della morte di Benedetto XVI, avvenuta il 31 dicembre scorso. Così, mentre si celebra la Natività, viene spontaneo chiedersi sommessamente che cosa stia succedendo nel cuore stesso della cristianità, la Santa Sede guidata da Francesco, vicario di Cristo in terra. Quali siano, insieme alla predicazione del tempo di Avvento, le insistenze e le curiose priorità che animano il Capo della Chiesa universale.

Saranno le condizioni di salute non più eccellenti a renderlo più incalzante, oppure la volontà di riguadagnare quel centro della scena invece clamorosamente mancata dal Sinodo sulla sinodalità, fatto sta che negli ultimi tempi papa Francesco ha molto intensificato pronunciamenti ed esortazioni sui temi più vari. Ovvero su quei temi che, a ben vedere, compongono l’agenda dei grandi enti internazionali, dall’Unione europea alle Nazioni unite, dalla Cop28 al Forum economico mondiale. Sembra quasi che, ed è forse la ragione più profonda, venuto a mancare Benedetto XVI, la cui presenza silenziosa nel monastero Mater Ecclesiae costituiva un deterrente a certe fughe in avanti, alleggerito da una certa soggezione teologica, Bergoglio abbia perso certi freni inibitori e, quasi ad accreditare la tesi secondo cui il vero magister fosse il Papa emerito, ora si senta più libero di pronunciarsi, puntualmente e puntigliosamente secondo una linea di apertura e innovazione. In sostanza, confezionando quasi un magistero parallelo, contrappuntato dai sacrosanti inviti alla pace e a deporre le armi, e da una serie di documenti e interventi, più o meno ufficiali, improntati alle tematiche ecologiste e arcobaleno, giustificati dal «cambiamento d’epoca» su cui insiste spesso Francesco.

Il 4 ottobre scorso, giorno di apertura del Sinodo sulla sinodalità, il Pontefice ha promulgato la Laudate Deum, esortazione apostolica rivolta «a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica», sposando univocamente le tesi dell’ecologismo radicale e, in qualche passaggio, legittimando le manifestazioni dei militanti più estremi che «occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta a ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli». L’esortazione doveva servire da testo base per la partecipazione alla Cop28 di Dubai tra i grandi della Terra, poi disertata da Joe Biden e Xi Jinping e rivelatasi un fallimento. E solo una provvidenziale bronchite ha convinto Francesco, dietro parere medico, a consegnare l’intervento al Segretario di Stato Pietro Parolin.

L’8 novembre, rispondendo ai dubia di monsignor José Negri, vescovo di Santo Amaro in Brasile, una Nota preparata dal Dicastero per la dottrina della fede retto dal cardinale argentino Victor Manuel Fernandez (da poco chiamato in quel ruolo da Bergoglio) e dal Papa sottoscritta, concede, se non c’è pericolo di pubblico scandalo, l’accesso al battesimo alle persone transessuali, ai figli di coppie omoaffettive adottati o anche nati con l’utero in affitto, nonché la possibilità alle persone transessuali o omosessuali di essere padrini di battesimo.

Il 18 dicembre papa Francesco controfirma la Fiducia supplicans, altro testo redatto dal cardinal Victor Manuel Fernandez che dispone la possibilità, in determinate situazioni (durante un pellegrinaggio, la visita a un santuario, l’incontro con un sacerdote) di benedire coppie formate da persone appartenenti allo stesso sesso. Nel testo si precisa che la benedizione non equipara l’unione al matrimonio, ma allora non si capisce perché la stessa non possa essere impartita singolarmente. Non sarà, chiediamo umilmente, perché si tratta di una forma d’indulgenza anche verso la natura della relazione della coppia? Complessivamente, non siamo di fronte a rivoluzioni dottrinali, ma a piccole e ambigue erosioni, dettate da preoccupazioni pastorali.

Due giorni dopo, il 20 dicembre, nel corso dell’udienza generale del mercoledì, al momento dei saluti, papa Francesco si ferma per incoraggiare Luca Casarini e il gruppo di Mediterranea Saving Humans che salva coloro che «fuggono dalla schiavitù dell’Africa» (testuale), prima di intrattenersi con i militanti della stessa Ong, esortandoli a tornare in mare. Così mostrando totale disinteresse per l’inchiesta aperta dalla Procura di Ragusa nei confronti di Mediterranea per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per il discutibile uso fatto dei fondi versati da alcune diocesi alla società dell’ex capo delle Tute bianche nonché discepolo di Toni Negri. Avendolo nominato padre sinodale e portavoce per un giorno del Sinodo, lo stupore è minimo.

A fronte di questi documenti e di queste esternazioni, nello stesso periodo si registra l’inflessibilità della Santa Sede a riguardo di vescovi e cardinali che, pur sollecitati a esprimere pubblicamente il loro dissenso, non si sono allineati al dettato papale. L’11 novembre Francesco ha sollevato senza processo dalla guida della diocesi di Tyler (Texas) monsignor Joseph Strickland per aver espresso critiche al Sinodo e per il mancato rispetto della Traditionis Custodes, il motu proprio con cui Bergoglio ha ristretto la possibilità di celebrare la messa in latino (consentita da Benedetto XVI). Il 28 novembre il Pontefice ha deciso di licenziare il cardinale Raymond Leo Burke (già nominato da Ratzinger prefetto del tribunale della Segnatura apostolica), togliendogli casa e stipendio per aver firmato nel 2016 i dubia sull’Amoris Laetitia e, più di recente, quelli sul Sinodo. Due provvedimenti che forse si potrebbero definire poco sinodali. E che, raffrontati alle aperture in tema di morale sessuale e tutela dell’ambiente, sottolineano ulteriormente il profilo politico di un pontificato che piace sempre di più ai non cristiani.

Intanto, a inizio 2024, si attende la nuova ospitata di Jorge Mario Bergoglio nel salotto tv di Fabio Fazio.

 

La Verità, 22 dicembre 2023

«L’Expo lo fanno in Arabia, qui c’è il patriarcato»

Il quarto libro di Federico Palmaroli, in arte #lepiubellefrasidiosho, s’intitola «Er pugno se fa co la destra o co la sinistra?» (Rizzoli). A chiederlo in copertina è un’amletica Elly Schlein, segretaria del Partito democratico. Sottotitolo: splendori (e miserie) di un anno italiano.

Insomma, lei proprio non lo vuole capire.

«Che cosa?».

Che in Italia c’è il patriarcato.

«Ero convinto di no, ma pian piano ci sto arrivando».

Alla buon’ora.

«Ero rimasto alla resilienza».

Non avrà qualcosa contro la resilienza?

«Io ho qualche problema solo con l’alcol» (ride).

Dopo quello con Giorgia Meloni, questo con la Schelin è il secondo libro consecutivo con una donna in copertina: è ora di finirla.

«Mi rendo conto. Ma questo dovrebbe dimostrare che non c’è il patriarcato. Oppure è la conferma che c’è? Ditemelo voi quello che devo fa’».

Si vede anche dalla pubblicità che in Italia comandano sempre gli uomini.

«I miei amici sposati dicono che in casa decide sempre la moglie».

Balle. Negli spot gli uomini scelgono l’anticalcare per la lavatrice, la merendina della colazione, il patriarcato è inarrestabile.

«La famiglia si è evoluta, in parte si è disgregata e i separati sono la maggioranza. Così gli uomini devono occuparsi di tutto. C’è l’interscambio di ruoli e pure l’indipendenza della donna».

È qui che la volevo. Le piace Elodie militante contro l’oggettificazione della donna?

«Non voglio certo fare il bacchettone. Ma se vuole battersi contro l’oggettificazione della donna, l’esibizione di Elodie ne è un gran bell’esempio. Ha duettato anche con trapper che cantano proprio quello che si vorrebbe condannare».

Con Elly Schlein in copertina la inviterà anche Fabio Fazio?

«Sicuramente. Forse mi ha già chiamato, ma non ho sentito lo squillo».

Perché ha scelto la vignetta in cui chiede se «er pugno se fa co la destra o co la sinistra»?

«Nei precedenti libri c’erano Giuseppe Conte, Mario Draghi e Giorgia Meloni, tutti premier, diversi ogni anno a dimostrazione di quanto poco durano i governi. Ora non mi sembrava il caso di rimettere la Meloni. Perciò ho scelto la Schlein, primo segretario pd donna».

Ma la domanda della vignetta?

«Per ricordare che, come retaggio, la Schlein non viene dal mondo operaio e ha qualche difficoltà a ricordare le basi di un partito di sinistra. Non a caso, i circoli non avevano scelto lei».

E anche per segnalare che è più interessata alla forma che alla sostanza?

«Che sia molto interessata all’estetica l’abbiamo visto con la faccenda dell’armocromista».

Il fatto di non essere una segretaria di apparato le sta giovando?

«Teoricamente potrebbe essere un vantaggio e portare nuove idee. In realtà, usando le sue parole, possiamo dire che non l’abbiamo ancora vista arrivare».

Non sta riuscendo ad aprire il partito alla società civile?

«Stando ai sondaggi, non mi sembra che abbia catturato quell’elettorato che la sinistra ha perso. Mentre Fdi continua a crescere e la luna di miele con il premier non è ancora finita, secondo i sondaggi il Pd è in discesa. Non fa presa sull’area che vuole riconquistare».

Che cosa pensa del casting in vista delle europee? Si parla di Chiara Valerio, Patrick Zaki…

«Persone che hanno una storia delicata alle spalle e che meritano rispetto come Zaki vengono usate come ariete per le elezioni».

Poi c’è la corte serrata, finora respinta, a Roberto Saviano.

«Da Saviano me l’aspetterei di più perché si contrappone sempre al governo. Però, insomma… Come quando hanno messo in giro la voce che mi sarei candidato anch’io con Fdi… Il motivo per cui personalmente non ci penso è lo stesso per cui critico questo tipo di candidature».

Candidare scrittori e intellettuali vuol dire essere sempre in modalità armocromista?

«Nel senso della prevalenza dell’immagine sulla sostanza? Un po’ sì. Magari funzionano come calamita di voti, hanno un loro seguito…».

Gli elettori abboccano ancora?

«È un meccanismo che c’è sempre stato. La notorietà e la visibilità possono pagare anche alle urne. Io contesto l’opportunità delle scelte individuali, soprattutto se si è consapevoli di finire in un territorio estraneo».

La rivelazione di avere l’armocromista è la gaffe più clamorosa dell’anno o ce ne sono state di peggiori?

«È stata un’imprudenza. La gaffe è concedere un’intervista a Vogue, rivolgendosi a un pubblico lontano dal proprio mondo di riferimento. Non sono tra quelli che credono che i comunisti debbano vestirsi da straccioni. Ma penso che la lacuna maggiore sia la mancanza di memoria, non ricordarsi delle cose dette. L’accusa sballata al governo Meloni di aver voluto il mercato libero delle bollette, mentre è un provvedimento deciso dal governo Draghi e votato dal Pd su invito dell’Europa, mi disturba più dell’armocromista».

Anche stare al telefono mezz’ora con due comici russi credendo di parlare con diplomatici africani non è male come infortunio.

«Altroché. Alla Meloni non è certo arrivata la chiamata sul cellulare con scritto “Sospetto Spam”. Avrà dato per scontato che sia stata filtrata prima dall’apparato della sicurezza. Però, certo, è un infortunio».

Il premier è troppo vittimista nel rapporto con i media?

«Vedo riflettori con lenti molto più sensibili rispetto a prima. Si aspetta solo che qualcuno sbagli, e il minimo errore ha un’eco enorme. Con Draghi c’era un altro ossequio, non questa attenzione su come venivano condotte le conferenze stampa, per dire… Sul centrodestra c’è più pressione e quindi anche maggiore suscettibilità».

Giorgia Meloni ha gestito bene la vicenda di Giambruno o, come dice Nichi Vendola, doveva esprimere solidarietà alle colleghe che il suo ex compagno ha importunato?

«Sono state pronunciate frasi infelici, certamente. Ma non credo fossero il preludio di chissà quali azioni malvagie. Il ruolo determina il clamore. Scusarsi lei? Non sappiamo nemmeno le dinamiche interne, magari erano battute che facevano parte del cameratismo della redazione… Per chiedere scusa bisogna conoscere le dinamiche relazionali, al di là del fatto che potessero essere espressioni fuori luogo».

Quanto a gaffe, anche il cognato Francesco Lollobrigida non si risparmia.

«In Italia l’etica non gode di buona salute. Era immaginabile quello che sarebbe successo: “Lollo, la prossima volta vacci col Falcon”».

Invece, dopo la scelta di Riad per l’Expo 2030, in una sua vignetta il sindaco Roberto Gualtieri è a colloquio con Bergoglio.

«Il Papa lo ha convocato per comunicargli di aver ricevuto un’offerta irrinunciabile per fare anche il prossimo Giubileo a Riad».

A proposito di Francesco, la Provvidenza sotto forma di una bronchite, gli ha evitato un viaggetto fino a Dubai per la Cop28.

«Fosse andato avrebbe potuto definire i dettagli del Giubileo arabo».

Ma secondo lei Roma non farà l’Expo a causa della spazzatura, dei cinghiali o di un altro motivo?

«Forse perché da noi c’è il patriarcato. Sarà per questo che l’hanno spuntata gli arabi…».

Il più furbo di tutti è Luca Casarini, l’ex leader delle Tute bianche che fa accoglienza con i soldi dei vescovi?

«Se confermate, sono situazioni che lasciano stupefatti. Tanto più dopo il caso di Soumahoro… fai il paladino dell’accoglienza e poi i migranti stanno in situazioni penose. Una cosa “troppo regalata”, come si dice a Roma. A sinistra nessuno si è sentito in dovere di condannare l’assalto alla sede di Pro Vita, un’associazione lontana dal mio sentire. Quando accadde per la Cgil la condanna fu bipartisan».

Speriamo che il caso Casarini non sia simile al caso Soumahoro.

«Non credo che i cattolici siano felici di vedere i loro soldi finire in mano a Casarini».

È contento che ci sia un grande ritorno di politici?

«Rientrano Nichi Vendola, Gianni Alemanno e Alessandro Di Battista. Spero che ci pensi anche Luigi Di Maio. Era il mio prediletto, la mia guest star».

Che cosa si potrebbe fare per convincere al gran (ri)passo anche gli incerti come Roberto Formigoni e Michele Santoro?

«Forse garantire loro di essere protagonisti delle mie vignette».

Basterà?

«Temo di no, ma potrebbe essere un piccolo incentivo».

Il generale Roberto Vannacci ha scritto anche cose buone?

«Non ho letto il suo libro, ma al di là di quello che ha scritto, se si rimane nella legalità ognuno dev’essere libero di esprimere ciò che pensa. Basta doversi allineare a un unico pensiero».

Se persino Mussolini ha fatto cose buone come si dice ironicamente, anche Vannacci…

«Al di là delle sue esagerazioni, mi disturba che ci sia un controllo delle opinioni per cui si cammina come elefanti in cristalleria. O la pensi come la maggioranza oppure, anche se fai un ragionamento strutturato e senza slogan, ma personale, passi per un estremista e vieni additato. Come sul cambiamento climatico, partono subito le accuse di negazionismo».

Ce la farà Giorgia a ribbartare l’eggemonia de sinistra?

«Non sono per l’egemonia né di sinistra né di destra, ma per l’integrazione e il dialogo. Se è vero che, in passato, in tanti ambiti è stata di sinistra, sarebbe un bene se si riequilibrasse un po’, portando competenze di segno diverso. Non è solo una questione di numeri, come se fossero quote rosa, posti assegnati per rappresentanza, ma di contenuti».

Intanto con Lorella Cuccarini co-conduttrice la destra si è già presa mezzo Festival di Sanremo.

«Beh sì… Ma poi chi la conosce ’sta Cuccarini? Vedrà che sarà un’amica della Meloni».

Dopo la Schlein, al Nazareno vede meglio Maurizio Landini, Filippo Gentiloni o Dario Franceschini?

«Stimo personalmente Gentiloni che, per altro, apprezzava la mia satira senza offendersi. Ma penso anche al beneficio politico del Pd perché lo ritengo una persona per bene».

E il fatto che le darebbe molte soddisfazioni non guasta…

«Me ne ha già date tante, è stato il mio primo amore vignettistico».

 

 

La Verità, 2 dicembre 2023