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Senza Ratzinger, Bergoglio insegue il mainstream

Fra tre giorni la cristianità universale celebrerà il mistero di Dio che s’incarna nel Bambino Gesù. Contemporaneamente, gran parte del resto del mondo, che pure vuole farci augurare correttamente «Buone feste» anziché «Buon Natale», festeggerà, appunto, non si sa bene cosa. Chi, dunque, con una buona ragione, chi senza, saremo quasi tutti impegnati in pranzi di famiglia, apertura di regali, visite ai parenti. Tra poco più di una settimana, invece, si attenderà l’arrivo del nuovo anno che si spera diverso dall’attuale, e ricorrerà il primo anniversario della morte di Benedetto XVI, avvenuta il 31 dicembre scorso. Così, mentre si celebra la Natività, viene spontaneo chiedersi sommessamente che cosa stia succedendo nel cuore stesso della cristianità, la Santa Sede guidata da Francesco, vicario di Cristo in terra. Quali siano, insieme alla predicazione del tempo di Avvento, le insistenze e le curiose priorità che animano il Capo della Chiesa universale.

Saranno le condizioni di salute non più eccellenti a renderlo più incalzante, oppure la volontà di riguadagnare quel centro della scena invece clamorosamente mancata dal Sinodo sulla sinodalità, fatto sta che negli ultimi tempi papa Francesco ha molto intensificato pronunciamenti ed esortazioni sui temi più vari. Ovvero su quei temi che, a ben vedere, compongono l’agenda dei grandi enti internazionali, dall’Unione europea alle Nazioni unite, dalla Cop28 al Forum economico mondiale. Sembra quasi che, ed è forse la ragione più profonda, venuto a mancare Benedetto XVI, la cui presenza silenziosa nel monastero Mater Ecclesiae costituiva un deterrente a certe fughe in avanti, alleggerito da una certa soggezione teologica, Bergoglio abbia perso certi freni inibitori e, quasi ad accreditare la tesi secondo cui il vero magister fosse il Papa emerito, ora si senta più libero di pronunciarsi, puntualmente e puntigliosamente secondo una linea di apertura e innovazione. In sostanza, confezionando quasi un magistero parallelo, contrappuntato dai sacrosanti inviti alla pace e a deporre le armi, e da una serie di documenti e interventi, più o meno ufficiali, improntati alle tematiche ecologiste e arcobaleno, giustificati dal «cambiamento d’epoca» su cui insiste spesso Francesco.

Il 4 ottobre scorso, giorno di apertura del Sinodo sulla sinodalità, il Pontefice ha promulgato la Laudate Deum, esortazione apostolica rivolta «a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica», sposando univocamente le tesi dell’ecologismo radicale e, in qualche passaggio, legittimando le manifestazioni dei militanti più estremi che «occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta a ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli». L’esortazione doveva servire da testo base per la partecipazione alla Cop28 di Dubai tra i grandi della Terra, poi disertata da Joe Biden e Xi Jinping e rivelatasi un fallimento. E solo una provvidenziale bronchite ha convinto Francesco, dietro parere medico, a consegnare l’intervento al Segretario di Stato Pietro Parolin.

L’8 novembre, rispondendo ai dubia di monsignor José Negri, vescovo di Santo Amaro in Brasile, una Nota preparata dal Dicastero per la dottrina della fede retto dal cardinale argentino Victor Manuel Fernandez (da poco chiamato in quel ruolo da Bergoglio) e dal Papa sottoscritta, concede, se non c’è pericolo di pubblico scandalo, l’accesso al battesimo alle persone transessuali, ai figli di coppie omoaffettive adottati o anche nati con l’utero in affitto, nonché la possibilità alle persone transessuali o omosessuali di essere padrini di battesimo.

Il 18 dicembre papa Francesco controfirma la Fiducia supplicans, altro testo redatto dal cardinal Victor Manuel Fernandez che dispone la possibilità, in determinate situazioni (durante un pellegrinaggio, la visita a un santuario, l’incontro con un sacerdote) di benedire coppie formate da persone appartenenti allo stesso sesso. Nel testo si precisa che la benedizione non equipara l’unione al matrimonio, ma allora non si capisce perché la stessa non possa essere impartita singolarmente. Non sarà, chiediamo umilmente, perché si tratta di una forma d’indulgenza anche verso la natura della relazione della coppia? Complessivamente, non siamo di fronte a rivoluzioni dottrinali, ma a piccole e ambigue erosioni, dettate da preoccupazioni pastorali.

Due giorni dopo, il 20 dicembre, nel corso dell’udienza generale del mercoledì, al momento dei saluti, papa Francesco si ferma per incoraggiare Luca Casarini e il gruppo di Mediterranea Saving Humans che salva coloro che «fuggono dalla schiavitù dell’Africa» (testuale), prima di intrattenersi con i militanti della stessa Ong, esortandoli a tornare in mare. Così mostrando totale disinteresse per l’inchiesta aperta dalla Procura di Ragusa nei confronti di Mediterranea per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per il discutibile uso fatto dei fondi versati da alcune diocesi alla società dell’ex capo delle Tute bianche nonché discepolo di Toni Negri. Avendolo nominato padre sinodale e portavoce per un giorno del Sinodo, lo stupore è minimo.

A fronte di questi documenti e di queste esternazioni, nello stesso periodo si registra l’inflessibilità della Santa Sede a riguardo di vescovi e cardinali che, pur sollecitati a esprimere pubblicamente il loro dissenso, non si sono allineati al dettato papale. L’11 novembre Francesco ha sollevato senza processo dalla guida della diocesi di Tyler (Texas) monsignor Joseph Strickland per aver espresso critiche al Sinodo e per il mancato rispetto della Traditionis Custodes, il motu proprio con cui Bergoglio ha ristretto la possibilità di celebrare la messa in latino (consentita da Benedetto XVI). Il 28 novembre il Pontefice ha deciso di licenziare il cardinale Raymond Leo Burke (già nominato da Ratzinger prefetto del tribunale della Segnatura apostolica), togliendogli casa e stipendio per aver firmato nel 2016 i dubia sull’Amoris Laetitia e, più di recente, quelli sul Sinodo. Due provvedimenti che forse si potrebbero definire poco sinodali. E che, raffrontati alle aperture in tema di morale sessuale e tutela dell’ambiente, sottolineano ulteriormente il profilo politico di un pontificato che piace sempre di più ai non cristiani.

Intanto, a inizio 2024, si attende la nuova ospitata di Jorge Mario Bergoglio nel salotto tv di Fabio Fazio.

 

La Verità, 22 dicembre 2023

«Il comunismo è morto e la proprietà privata quasi»

Discepolo e biografo del giurista e politologo Bruno Leoni e fondatore dell’istituto a lui intitolato, Carlo Lottieri è uno dei maggiori filosofi italiani. Teorico del pensiero liberista e liberale, è tra i più raffinati critici dell’intervento dello Stato in economia e delle sinergie tra burocrazie pubbliche e grandi corporation del mondo digitale che vediamo in azione, di emergenza in emergenza, dall’avvento della pandemia a oggi. L’ultimo suo libro, pubblicato da LiberiLibri, s’intitola La proprietà sotto attacco.

Professore, perché oggi la proprietà è sotto attacco?

«Alcune ragioni sono ideologiche e altre, invece, discendono dal rapporto tra politici ed elettori. Nelle democrazie contemporanee, infatti, quanti governano “comprano” voti distribuendo favori, ma per farlo devono calpestare il diritto e in particolare il diritto di proprietà».

Lo è più di ieri?

«Non c’è dubbio. Durante il ventesimo secolo tassazione e spesa pubblica sono cresciute grosso modo di 5 volte. Oltre a ciò, abbiamo una fitta regolazione in virtù della quale anche ciò che formalmente resta nelle nostre mani, in realtà, non è più sotto il nostro controllo. Come nel caso di un’abitazione che non posso affittare per un solo giorno…».

Quali sono le cause che hanno portato a questa situazione?

«Dobbiamo tenere presente che l’interesse dei politici e dei loro complici è che noi si sia spogliati di ogni cosa e di conseguenza bisognosi di tutto. Una società di gente senza nulla è più governabile. Per giunta, le classi dirigenti sono dominate dalla presunzione di chi si ritiene chiamato ad amministrare l’intera società, e per farlo deve svuotare ogni titolo di proprietà».

Pierre-Joseph Proudhon considerava la proprietà privata un furto, un danno per la collettività. Ma il marxismo, che ha predicato la collettivizzazione dei mezzi di produzione, con la caduta del muro di Berlino ha esaurito la sua spinta propulsiva. O no?

«Il marxismo ortodosso è ormai marginale, ma molti suoi temi restano influenti: a partire dall’idea che il capitalismo sarebbe il male assoluto e che nei rapporti di mercato il borghese sfrutterebbe il proletario. La legislazione contemporanea, su lavoro, affitti e via dicendo, poggia su queste tesi».

La proprietà oggi è in crisi perché è in auge l’idea che se qualcuno guadagna, qualcun altro deve perdere?

«In parte è così, dato che molti ignorano che negli scambi volontari tutti ci guadagnano. Oltre a questo, va detto che i favoreggiatori intellettuali della classe politica hanno diffuso la convinzione che avere qualcosa o conoscere la realtà significherebbe disporre di “potere” sugli altri. Di conseguenza, il vero dominio di chi ci aggredisce viene legittimato».

È per questo che l’imprenditore, il capitalista, genericamente il benestante viene guardato con sospetto?

«L’odio per il libero mercato è una costante della cultura egemone degli ultimi due secoli: a destra e a sinistra. Va anche aggiunto che oggi la maggior parte dei capitalisti chiede privilegi. Il sospetto è dunque più che giustificato».

Perché lei considera la proprietà un diritto inalienabile? Qual è il suo fondamento?

«La proprietà è innanzi tutto la proprietà altrui, che non posso violare. Se riconosco la dignità del prossimo, non posso alzare la mano su di lui. L’altro mi trascende e questo altro è incarnato: ha una storia e possiede beni. Entrare in casa sua senza autorizzazione è una violenza inaccettabile. Tutto ciò, però, è incompatibile con il potere sovrano, che ci considera pedine a sua disposizione».

Non è comunque indispensabile una regolazione della proprietà a tutela dei ceti più deboli? Diversamente non vige la legge della giungla, la legge del più forte?

«L’arbitrario potere nelle mani dei legislatori è esattamente la legge del più forte. Per giunta, in un regime statalista quanti hanno di più sono in grado di influenzare a loro favore il ceto politico ed espropriare chi ha poco… Basti pensare alla “transizione verde”, che è un regalo fatto a gruppi finanziari senza scrupoli. Invece, la migliore tutela dei più deboli è una granitica difesa della proprietà e quindi anche della libertà di contratto».

Il welfare a cosa serve, allora?

«Creato dal cancelliere Otto von Bismarck e poi rafforzato da logiche socialdemocratiche, il welfare è lo strumento che politici e gruppi parassitari sono riusciti a escogitare per contrabbandare come aiuto ai deboli quello che, nei fatti, è solo uno strumento di dominio e controllo sociale. In Italia, basti pensare agli innumerevoli scandali nella previdenza di Stato, ma anche ai molti business legati ad assistenza e immigrazione, dovremmo averlo capito».

Tassazione e redistribuzione sono funzionali a questo?

«Servono a consegnare il potere a pochi. E come già avveniva con Giuda (Giovanni 12,6) quanti hanno la cassa tendono a essere disonesti e a usarla a proprio vantaggio».

Oggi il pericolo maggiore per la libertà della persona deriva dalla saldatura tra potere politico ed economia, tra Washington e Wall Street?

«L’espansione dello Stato ha corrotto tutto e soprattutto le imprese. Realizzare profitti servendo i consumatori non è facile; ottenere aiuti da amici legislatori e banchieri centrali, invece, può essere un gioco da ragazzi. Per questo la cultura ispirata dal grande business è tanto conformista».

Che funzione hanno in questo scenario le corporation dell’economia digitale?

«Da un lato dispongono di enormi risorse e dall’altro possono condizionare pesantemente l’opinione pubblica. Lo scandalo dei Twitter files la dice lunga in merito al fatto che oggi proprio quelle realtà saldano potere, interessi e ideologie».

Perché secondo lei la pandemia è stata la prova generale del nuovo ordine mondiale?

«Qualche anno fa era inimmaginabile che qualcuno potesse imporci di non uscire dopo le 10 di sera, che avremmo subito trattamenti sanitari obbligatori e non ci saremmo potuti spostare da Peschiera a Desenzano. Il potere ora sa quanto la società sia fragile e com’è facile dominarci secondo logiche cinesi».

Anche la nuova emergenza climatica riduce l’autonomia dell’individuo basata sulla proprietà?

«Il dogmatismo para-religioso di chi pretende di disporre di una conoscenza assoluta in tema di clima sta permettendo di commissariare l’intera umanità. Passando di emergenza in emergenza i nostri diritti stanno svanendo nel nulla».

Dalla proprietà immobiliare a quella dei mezzi di trasporto, su che poteri fa leva il controllo dei comportamenti dei cittadini che appare sempre più pervasivo?

«Una regolazione tanto minuziosa – così che la camera deve essere alta almeno 270 cm, mentre il bagno 240 cm… – ci educa alla passività: a quel punto siamo pronti a farci derubare da chi decide le priorità e, ad esempio, stabilisce che ridurre la CO2 è più importante che contrastare i terremoti, oppure che è meglio combattere l’inquinamento invece che la povertà».

Un tempo queste istanze avverse alla proprietà sembravano prerogativa dei movimenti di sinistra, dal socialismo ottocentesco alla Fabian society. Oggi chi sono i soggetti propugnatori di questi comportamenti?

«Il progressismo unisce gli ideologi dell’anticapitalismo, gli ecologisti, i tecnocrati alla Klaus Schwab e i grandi interessi finanziari – basti leggere i “codici etici” di Black rock -. È la sinistra arcobaleno delle aree Ztl».

Si va verso una trasformazione della proprietà individuale dei beni a una condivisione sempre maggiore di servizi?

«Ci dicono che invece di possedere una casa o una vettura potremo usarle. In questo modo, però, qualcuno stabilirà chi avrà quel diritto e chi no. Saranno gli interpreti di questo nuovo potere a possedere tutto e a gestire la nostra vita».

Va letto in questa cornice anche l’ostruzionismo verso gli affitti brevi?

«In una società caratterizza da stili di vita che portano a spostarsi sempre di più avremmo bisogno di una micro-imprenditorialità duttile e innovativa. Ma se le abitazioni diventano una possibilità per “fare impresa”, il progetto di una società integralmente amministrata incontra difficoltà. L’avversione agli affitti brevi esprime questo odio per la libertà del proprietario».

Come cambieranno le nostre città in questa prospettiva?

«Il rischio è che vi accedano solo i più ricchi, che avranno le risorse per comprare costose auto elettriche e abitazioni in classe A. Per giunta le città sono sempre meno luoghi di mercato, e sempre più centri di potere e burocrazia».

È un cambiamento che in alcune metropoli è già tristemente visibile?

«Senza dubbio. Il progressismo sta conducendo una guerra ai poveri che è sotto gli occhi di tutti. Le norme urbanistiche penalizzano chi vorrebbe trasformare in un loft un seminterrato, senza però dover spendere capitali e produrre montagne di carta».

Intravede qualche rallentamento in atto in questo processo di attacco alla proprietà e di controllo sui cittadini?

«No. I giovani sono educati a considerare un male tutto ciò che è privato, mentre il pubblico, cioè il potere di pochi, sarebbe al servizio della collettività. Chi comanda sta dotandosi di servitori ubbidienti».

Quanto la preoccupa che anche la Chiesa rischi di allinearsi su questi temi all’ecologismo politicamente corretto?

«Specialmente con questo pontefice, la Chiesa pare desiderare i facili applausi di chi è sempre allineato. Così, però, si finisce per avallare il peggior luogocomunismo. Lo s’è visto durante la pandemia e lo si vede ora che ci stanno predisponendo un’altra emergenza, quella climatica».

Invece, non le sembra che qualche segnale di ravvedimento stia giungendo dallo svolgimento più problematico dei lavori della Cop28, dove si sta iniziando a considerare il ruolo dell’energia nucleare?

«Queste kermesse prefigurano una sorta di “governance” globale sulla base di assunti pericolosi: dirigisti e statalisti. Fortunatamente gli interessi degli uomini di potere talora sono divergenti e quindi c’è la speranza che il progressismo occidentale non vinca la resistenza di quanti, specie in quello che era il Terzo mondo, sono indisposti a sacrificare le prospettive di vita dei loro concittadini. Purtroppo, difficilmente avremo in tempi ragionevoli un vero mercato dell’energia».

In Europa una possibile novità potrebbe venire dal mancato successo della cosiddetta maggioranza Ursula alle prossime elezioni europee a vantaggio di coalizioni alternative? Si sente di fare delle previsioni?

«Le politiche elitarie e liberticide dell’Unione europea e della Bce suscitano reazioni, interpretate soprattutto dalle forze di destra. Senza una seria svolta culturale, però, non succederà proprio nulla».

 

La Verità, 9 dicembre 2023

 

 

 

 

 

Il verbo green sale sul pulpito con l’ok dei preti

Lo sapevamo già che l’ecologismo estremo è una nuova religione. Ora ne abbiamo un’ulteriore tangibile prova. L’escalation è il verbo green che conquista gli altari, i pulpiti, si sostituisce alle omelie. Non più e non solo l’interruzione della vita civile con i blocchi estemporanei del traffico nelle vie del centro o nelle tangenziali all’ora di punta, come ormai avviene con una frequenza che non può non istigare le brusche reazioni dei comuni cittadini. Non più e non solo l’imbrattamento di monumenti storici e luoghi sacri come avvenuto tre giorni fa, solo per citare il caso più recente, con getti di fango e cacao sulle facciate del Duomo di San Marco a Venezia. Ora siamo all’interruzione della celebrazione della messa solenne durante la quale alcuni giovanotti manifestano e argomentano contro «la crisi climatica». Il salto di qualità è palese. È l’usurpazione del pulpito, l’esproprio ecologista. È l’onda dell’ambientalismo corretto che inizia a scendere dalla scalinata di Piazza San Pietro. Dalle encicliche e dalle esortazioni papali alle chiese sul territorio il passo è breve.

Ora, il fatto desolante è che, anziché fermare la brillante trovata giovanilistica, sacerdoti e celebranti cedono di buon grado il proscenio ai manifestanti nell’unica ora settimanale dedicata al rito. Prego, accomodatevi. E gli attivisti dei gruppi ambientalisti, confusi tra i fedeli, si alzano per inscenare i loro sit-in per la «Casa che brucia», come ammonisce Greta Thunberg. Nell’ultima settimana è già successo due volte e, secondo l’antica legge, non tarderà ad aggiungersi la terza. E poi?

L’altro ieri, festa dell’Immacolata dedicata alla Madonna, durante la funzione religiosa curata dai Vigili del fuoco nella chiesa del Pantheon di Roma, dopo il segno della pace tre militanti di Ultima generazione si sono piazzati davanti all’altare esponendo manifesti con lo slogan: «Soldi per la vita, non alla guerra». Facendo seguire la rivendicazione per il clima: «Alluvioni incendi siccità uccidono». Lo stupore si è insinuato tra i presenti allorché, invece di mettere a tacere i militanti, dicendo loro che l’attenzione verso l’emergenza climatica è già molto diffusa e avvolgente tutti i giorni della settimana, il celebrante, monsignor Alberto Frigerio, li ha accolti di buon grado consentendo loro di sostare presso l’altare con gli striscioni anche durante la distribuzione dell’Eucaristia: «Ringrazio anche i nostri amici con i cartelli. Siamo dalla stessa parte. Forse siamo meno irrequieti, ma anche noi preghiamo per la pace», ha detto il sacerdote al termine della messa, dopo aver effettuato la benedizione e la premiazione dei Vigili del fuoco. Non pochi dei quali si sono allontanati perplessi.

Domenica scorsa qualcosa di simile era avvenuto nel Duomo di Torino, durante la messa celebrata da monsignor Roberto Repole. Qui la dimostrazione ha avuto caratteri diversi. La sigla protagonista era Extintion rebellion. Al termine della proclamazione del vangelo, prima dell’inizio dell’omelia dell’arcivescovo, una ragazza si è alzata in piedi iniziando a leggere brani dall’enciclica Laudato si’, seguita da altre due lettrici che hanno attinto all’esortazione Laudate Deum diffusa da papa Francesco in apertura del Sinodo sulla sinodalità. La performance si è conclusa con altri brani tratti dall’intervento scritto da Bergoglio per la Cop28 e letto dal segretario di Stato, cardinale Paolo Parolin, appositamente inviato a Dubai, nei quali il pontefice invita i governi a interrompere i finanziamenti alle guerre e le devastazioni ambientali e a prendere accordi «efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili». Anche in questo caso, tra lo sconcerto dei presenti, i militanti hanno potuto inscenare la loro esibizione, solamente sollecitati a concludere da monsignor Repole per far terminare la messa, un momento che «dev’essere rispettato soprattutto da chi fa professione di voler operare nel rispetto di tutti». Solo a cose avvenute, il cardinale ha precisato di avere «grande stima per chi si mobilita a difesa del creato e accoglie gli appelli di papa Francesco. Apprezzo l’impegno delle attiviste di Extintion rebellion, ma mi è dispiaciuto che abbiano ritenuto di prendere la parola in Duomo senza prima volermene parlare». Fortunatamente, l’arcivescovo ha almeno sottolineato che «a messa si prega spesso per la salvaguardia della pace e del creato, ma la celebrazione eucaristica non è un momento idoneo a ospitare interventi pubblici». Tuttavia, l’arrendevolezza con cui si consentono questi sit-in rimane scoraggiante. Forse in ossequio all’inclusione e a un falso concetto di dialogo, non c’è nessuno che si alzi e inviti i militanti ad attendere i fedeli al termine della celebrazione per sensibilizzarli alla loro causa sul sagrato della chiesa. Del resto, se, come si legge nella Laudate Deum, a certe azioni provocatorie dei movimenti ambientalisti viene concessa una certa legittimità perché «occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta a ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli», c’è poco da meravigliarsi.

La nuova religione dell’ecologismo corretto scala i gradini e conquista i luoghi sacri.