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Bianca, Lilli e Marco: 50 sfumature antimeloniane

Alla faccia dell’egemonia culturale delle destre (quante mai saranno?). E anche alla faccia di TeleMeloni.

Da quando, una decina di giorni fa su Rete 4 c’è stato il passaggio di testimone da Nicola Porro a Bianca Berlinguer, i due principali talk show del cosiddetto access primetime, sono diventati entrambi antigovernativi. A Otto e mezzo su La7, che lo è sempre smaccatamente stato, si è aggiunto Prima di domani, questo il titolo al posto di Stasera Italia, che invece lo è moderatamente. Ci sta, si dice in questi casi, con espressione abusata. La maggioranza comanda ed è giusto ci sia chi le fa il contropelo. È il compito dell’informazione cane da guardia del potere, e avanti con il resto della retorica in argomento. Perfetto. Però, poi, fermiamo i piagnistei sull’occupazione dei media, sull’egemonia meloniana e bavagli vari. Anche perché, facendo zapping sempre in quella fascia oraria, su Rai 3 troviamo Il cavallo e la torre di Marco Damilano che non si lascia scappare un oppositore-che-è-uno al governo in carica, convocandolo da ogni parte del globo, si chiami Carola Rackete o Richard Gere. Tanto per (sgra)dire. A «riequilibrare» lo sbilanciamento sinistro del palinsesto post tg non bastano certo i Cinque minuti di Bruno Vespa. Togli due piatti dal tavolo e il programma è già finito.

Insomma, a quell’ora è difficile trovare un racconto alternativo a quello dei giornaloni. Anzi, adesso anche su Rete 4 si vedono i soliti noti: Stefano Cappellini e la new entry Concita De Gregorio di Repubblica, Peter Gomez e Gad Lerner (altri neo-acquisti) del Fatto quotidiano, Veronica Gentili, iena e blogger del Fatto, Oscar Farinetti, imprenditore dichiaratamente progressista, senza citare gli ospiti politici molto bipartisan, da Giovanni Donzelli e Carlo Fidanza di Fdi, a Carlo Calenda di Azione, Matteo Renzi di Italia viva e Debora Serracchiani del Pd. Insomma, lo spostamento del baricentro è evidente e voluto. Bianca Berlinguer fa bene a non snaturarsi, nonostante il passaggio con autori e Mauro Corona al seguito sul canale Mediaset. Ma gli ascolti non le danno completamente ragione, assestandosi fra il 3 e il 4% di share. Perché il pubblico della rete dove Mario Giordano e Paolo Del Debbio superano abitualmente e agevolmente il 6% comincia a mostrarsi tiepido. Per ascoltare il contropelo alla Meloni, a quel punto, tanto vale spostarsi direttamente su La7. Sarà per questo che, negli ultimi giorni, Bianchina sta cavalcando i casi della crisi dell’impero Ferragni e della morte della ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano, promossi dalle campagne del Fatto e poi deflagrati sui social?

 

La Verità, 19 gennaio 2024

Fini, De Gregorio, Fedez: tre media per dirsi malati

Una parola come un colpo di fucile. S’intitola Cieco l’ultimo libro di Massimo Fini, pubblicato da Marsilio. È una di quelle parole che si appiccicano addosso e t’inseguono anche dopo che hai divorato in un’ora le ottanta pagine della storia. Perché continui a chiederti come avresti reagito se ti fosse capitato quello che è capitato all’autore. Fini è scrittore e giornalista prolifico, irregolare, anticonformista e anarcoide non per posa. Uno che ha accettato senza vittimismi le conseguenze del disallineamento rispetto al pensiero unico che pervade il sistema della comunicazione. La sua casa è stipata di libri, saggi soprattutto, discreti compagni. E viene da chiedersi come ora conviva con quei fantasmi e come possa essere la vita di un autore che deve documentarsi prima di scrivere e mandare un pezzo al giornale con cui collabora, il Fatto quotidiano, l’unico rimasto, avendo smesso con Il Gazzettino perché in quella condizione due testate sono troppe. Avrebbe potuto anche intitolarsi Buio questo breve memoir, perché quella è la situazione che si prospetta con l’espandersi del glaucoma, la patologia dovuta all’aumento della pressione oculare che provoca, lenta ma inesorabile, la riduzione del campo visivo (ci sono terapie che, fino a qualche anno fa, riuscivano solo a rallentarne il processo). Ma un titolo così avrebbe avuto un carattere meno pragmatico, più esistenziale e cupo che Fini, indomito fin quasi allo stoicismo, non ha voluto dare al suo racconto.

Di fronte al male, alla malattia, all’insorgere di un limite, alla scoperta di non essere invulnerabili, ci riveliamo per quello che siamo. Di quale pasta siamo fatti. E condividere, to share, è il verbo di questi anni. Nella società della comunicazione dove, a dispetto del gran parlare di privacy, il privato è sempre più pubblico, anche lo stato di salute è tema dell’agorà. Un tempo attorno a questi argomenti c’erano più pudore e discrezione. Oggi no. Ecco allora il libro snello e dissimulante di Fini, la rivelazione del tumore di Concita De Gregorio davanti alle telecamere di Belve su Rai 2, i post su Instagram con foto della cicatrice dopo l’intervento allo stomaco di Fedez. Tre modi diversi d’impattare il destino. La tempra con cui lo si accetta, ci si confronta, si ingaggia la lotta. E, in rapporto alle diverse generazioni, anche tre media diversi con cui svelarlo: la parola scritta, la televisione, i social.

Nelle pagine di Cieco l’incombere del dramma è sciolto nella leggerezza e nelle digressioni della vita spericolata, della vita da viveur, della vita da studioso di cui è protagonista un uomo che ha fatto l’inviato, il reporter, lo sciupafemmine. Ed è abituato a gustarsi i giorni senza troppi tatticismi e pudori. Alternando le visite da titubanti oculisti a certe bravate da superuomo. Come quando, già con la malattia in corso da due anni, «l’occhio sinistro quasi completamente spento», si mise al volante per completare il valico dell’Appennino sull’Autosole dopo che l’allora moglie era stata assalita da un attacco di panico: «Cosa facciamo, Mariella? Chiamiamo il carro attrezzi?». Sì, avrebbero risposto i più assennati. O magari anche un paio di amici patentati. Invece, missione compiuta. E l’adrenalina riprende a scorrere anche ora, al ricordo e alla nostalgia di quello che non si può più fare. Come, appunto, salire in auto per andare a trovare «un amico a Firenze, Treviso, Venezia o dove diavolo sta». Fini detesta l’obbligo dell’orario da rispettare del treno. Vuol decidere in autonomia, senza dipendere. C’è da immaginare quanto patisca il doverlo fare, non poter aprire un giornale e buttarsi sui tasti del pc o della macchina per scrivere e invece ricorrere all’assistenza di qualcuno che legge per lui, gli segnala le curiosità, e gli ha fatto da sparring partner anche per la stesura di Cieco, arricchendolo forse della densità e della lucentezza che possono derivare dal confronto. Rara complicità vincente. Perché, mentre il campo visivo si restringe, cambia il modo di guardare e si espande il desiderio di vedere e trattenere un panorama, la vista del mare, l’incedere di una bella donna. E la privazione confina con l’impotenza e la solitudine. «Massimo, io potrei anche accompagnarti in giro e dirti ciò che vedo e tu magari scriverne. Ma quello che vedo io non è quello che vedresti tu», sintetizza Mariella, l’ex moglie. Siamo unici e irripetibili. Lo sono anche la nostra percezione e la nostra sensibilità. E l’ironia con cui nuotare al largo dai vittimismi, sempre in agguato.

In fondo, lo stesso rifiuto ha consigliato a De Gregorio di rivelare la sua patologia solo ora davanti alle domande di Francesca Fagnani che le chiedeva se avesse cambiato acconciatura per copiare il taglio di Giorgia Meloni, come aveva scritto un giornale. «Porto una parrucca, dopo che mi sono operata per un cancro… Ne parlo al passato perché ho tolto tutto quello che dovevo togliere, ma non si può mai parlare al passato in questi casi, anche se siamo sulla buona strada… La ragione per cui ne parlo solo con poche persone amiche, e questa è la prima volta che lo facciamo, è che quando ne parli in pubblico poi tutti tornano da te con aria un po’ contrita e dolente chiedendoti come stai… Ma quello è un pezzo della vita, non è tutta la vita». Il momento più difficile è stato dirlo al figlio più giovane che vive in Australia. «Volevo farlo di persona», ha continuato De Gregorio che è madre, giornalista e in tour a teatro. «Ma in quel tempo facevo una terapia molto fitta. Ho convinto i medici che mi avrebbe fatto meglio vedere mio figlio che fare la terapia senza vederlo». Un pizzico di stoicismo…

Se invece si vive sui social, se la comunicazione è l’habitat totale e totalizzante, bisogna dire tutto in tempo reale. Fare i video post operazione, mostrare la cicatrice appena suturata, spiegare perché a un certo punto si è cominciato improvvisamente a balbettare. È quello che ha fatto, forse ha dovuto fare, Fedez per dissolvere preoccupazioni e placare i followers inquieti. Sono i social, bellezza, e tu non ci puoi fare niente. Tutto è sotto i riflettori. Tutto è mostrato ed esibito. Con il dubbio collaterale dell’autocommiserazione e dell’autocompassione. Di certo c’è l’addio al pudore e alla condivisione della fragilità limitata a pochi amici. E anche al piccolo contributo terapeutico che può venire dall’ironia. Quella che faceva dire a Woody Allen che le due parole che più si spera di ascoltare non sono «ti amo», ma: «È benigno».

 

La Verità, 21 marzo 2023

 

A In Onda Parenzo fa da spalla a Concita

Qui dentro è tutto nuovo tranne…». Ha esordito così Concita De Gregorio alla conduzione della nuova stagione di In onda in condominio con David Parenzo, verso il quale ha rivolto il braccio indicando l’unico elemento di continuità con le annate precedenti. In effetti, attorno al tavolo a mezza luna del talk show di La7 tira un’aria nuova. Non più le pari opportunità tra i due conduttori (il partner di Parenzo era Luca Telese) che si dividevano spazi e interventi come due soci, due complici in missione per conto dell’informazione alla romana, de sinistra, ma pur sempre con un certo grado di scapigliatura. Ora no, con l’innesto dell’editorialista di Repubblica, già direttrice dell’Unità, sembra di essere nel salone di un parrucchiere d’alto bordo, tutto bon ton e seriosità. «Tradizione e innovazione», ha replicato Parenzo all’incipit della collega. La quale, nelle prime due serate, peraltro suffragate da ospiti di rilievo – Roberto Fico e Matteo Salvini – si è assunta onere e onore dell’introduzione.

Pur con l’aria furbetta da Topo Gigio, il simpatico Parenzo appare destinato a lunghe pause al cospetto di De Gregorio che, con la postura protesa e la frequente scossa alla chioma bionda ricorda vagamente Duchessa, la mamma degli Aristogatti. Anche la prolissità vagamente autoreferenziale delle domande e la scelta cromatica della conduttrice, l’altra sera uno sgargiante arancione nello studio bianco e grigio, assegnano a Parenzo il ruolo classico della spalla. Vedremo se, strada facendo, si adatterà al copione. Nel frattempo va riconosciuto che, a differenza di quanto avviene abitualmente a Otto e mezzo, De Gregorio e Parenzo hanno lasciato argomentare Salvini sul ddl Zan, sull’immigrazione, sul destino del governo Draghi dopo la rottura tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. Essendo, però, spesso costretti a «girare pagina» per non essere travolti, come sulle manifestazioni blasfeme dei militanti Lgbt dell’ultimo Gay pride. Ma riservandosi di scuotere la testa a mo’ di dissenso. E di accreditare una mutazione politico-estetica del leader leghista, in giacca e cravatta e, curiosamente, collegato da una sala con una bella biblioteca. Tutt’altra empatia si era registrata la sera prima con Fico. Oltre a quella sulle sorti del M5s, De Gregorio aveva voluto sapere l’opinione del presidente della Camera sullo ius soli e sulla Nazionale in ginocchio… E avrebbe voluto interrogarlo anche sul ddl Zan e molti altri argomenti, come si trattasse di un’intervista one to one. Ma non ce n’era stato il tempo. Mentre c’era anche Parenzo…

 

La Verità, 1 luglio 2021

Gruber, Fazio, Monti: il livore ha fatto autogol?

Gli antagonisti. Gli ossessionati. Gli avversari. Quelli che si sono più esposti contro Matteo Salvini. È un intero mondo a uscire sconfitto dalle elezioni di domenica. Oltre a partiti e schieramenti, persone precise. Ma anche un sistema di pensiero. Una mentalità. L’élite culturale.

Roberto Saviano, il capofila dell’opposizione. Opposizione culturale e antropologica. Opposizione insultante, anche. Al punto che, prima o poi, arriverà a sentenza nelle aule giudiziarie. Intanto, quella elettorale è arrivata dalle urne. La Lega primo partito a Riace e Lampedusa, roccaforti del savianismo sventolato dai testimonial doc Domenico Lucano e Pietro Bartolo, è una lapide sull’accoglienza indiscriminata. Ideologo in disarmo.

Fabio Fazio. Braccio armato, esecutore, assistente dell’ideologo, non a caso un habitué degli studi di via Mecenate. La lista degli ospiti parla da sola: volontari delle Ong, militanti dell’accoglienza h24, Mimmo Lucano, Gino Strada, Nicola Zingaretti, senza dimenticare il ruolo di Carlo Cottarelli. La trattativa per la riduzione dello stipendio e il trasloco a Rai 2 era iniziata prima del voto, ma è trapelata a spoglio elettorale terminato. Con emblematico tempismo. Dottor Watson di Saviano.

Lilli Gruber, condensato di stizza nel chiodo da giustiziera. Ha trasformato la sua postazione serale nella riserva dell’ossessione antisalviniana. Indicato il bersaglio, ci pensavano i cortesi ospiti a eseguire garbatamente la sentenza. Ogni puntata un’esecuzione, in assenza della vittima. Un incontro di wrestling con il fantasma. Che, quando si è palesato, ha reso epifanica la faziosità della signora. Centrifuga di livore.

Mario Monti. L’ex premier ed ex commissario europeo è stato richiamato in servizio dopo la pensione come certi poliziotti quando c’è da fare il lavoro sporco che i novellini non riescono a svolgere. Ha rimesso la divisa di Bruxelles ed è tornato in campo a menare fendenti sui sovranisti, ignoranti di economia e mercati. Magari carezzando la riedizione del governo tecnico. Ospite fisso di Corrado Formigli e saltuario di Gruber e Giovanni Floris, che ha una liason con Elsa Fornero. Sacerdote dei rigoristi, guru dell’austerity protetto dall’Agcom. Vanesio datato.

Salone del libro. Tempio del narcisismo e dell’autoreferenzialità. Sinergia di fondamentalisti, scrittori e politici volenterosi, da Christian Raimo a Nicola Lagioia a Chiara Appendino. Siamo informati e colti, impegnati e letterati. Chi non è con noi resta fuori. In nome della democrazia, ovviamente. L’inclusione vale solo per le minoranze acquiescenti. L’esclusione della casa editrice Altaforte vicina a Casapuond resterà una macchia nella storia del tempio. Intolleranti chi?

Gad Lerner. Estensore di liste di proscrizione. Denunciatore seriale di presunte censure. Cacciatore di fantasmi fascisti. Mediatore delle «classi subalterne». È andato chez Fazio a lamentare la poca libertà nella televisione italiana causa oppressione del governo gialloblu. In compenso, lunedì prossimo su Rai 3 comincia L’Approdo, il suo nuovo programma ispirato a una storica, ma non faziosa, trasmissione degli anni Sessanta. Rintronato.

Federico Fubini, portavoce degli apparati della Commissione europea. Per lui il ministro dell’Economia Giovanni Tria è sempre sull’orlo delle dimissioni perché ogni dichiarazione di Salvini viola un parametro o infrange un patto. Che è molto più di un dogma. Quanto alla notizia dei 700 bambini greci morti a causa dell’austerity imposta dalla Troika, quella si può ignorare anche se si fa parte del Gruppo di alto livello nominato dalla Ue per la lotta contro le fake news. Furbino.

Concita De Gregorio, volto di Repubblica in ascesa nella scala degli opinionisti da talk. Avvolta in una nuvola di degnazione, dispensa le sue conoscenze alla massa. Ma sempre mantenendo una certa distanza. Nel pieno del polverone per il caso Altaforte al Salone del libro ha proposto la creazione di un codice etico per vagliare il pedigree delle case editrici. Sempre in nome della correttezza democratica. Ridateci Daria Bignardi.

Fabrizio Salini, amministratore delegato Rai a due velocità. Prontissimo a intervenire al primo lamento di Fazio per la sostituzione di due puntate di Che fuori tempo che fa, il tavolo con Max Pezzali e il Mago Forest, con altrettanti speciali di Bruno Vespa, ha alzato la voce contro la direttrice di Rai 1 Teresa De Santis. Assai meno vigile sull’assenza di programmi nei giorni immediatamente precedenti il voto, ha lasciato campo libero a Enrico Mentana. Urge tagliando.

Agcom, Autorità garante per le comunicazioni presieduta da Angelo Marcello Cardani, già capo di gabinetto di Monti. Prima ha diffidato il Tg2 per un servizio critico nei confronti dell’ex premier bocconiano sulle sue previsioni nefaste in caso di vittoria dei sovranisti. Poi ha pensato bene di redigere un regolamento che persegua chi critica donne, migranti, gay e transessuali: minoranze più che intoccabili. Tribunale del politicamente corretto.

La Verità, 29 maggio 2019