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Vespa avvisa i vertici Rai: se non mi trattate bene…

Felpato, felpatissimo, guardingo, circospetto, sensibile a ogni refolo che soffi nel triangolo Viale Mazzini, Saxa Rubra, Via Teulada dove ha sede lo studio di Porta a Porta. Bruno Vespa centellina le dichiarazioni, dosa le sillabe. Una parola è poca e due sono troppe. Non si resta per 25 anni titolari della cattedra Rai più seguita, dopo aver scalato la redazione del Tg1 fino ad arrivare a dirigerlo, se non si possiedono spiccate doti diplomatiche. In totale fanno sessant’anni nella tv pubblica. Di cui è «il padre nobile», ha scritto ieri il Messaggero, dando notizia che ci sarebbero contatti in corso con Mediaset per un suo trasferimento nelle televisioni del Biscione. Trattativa clamorosa e riservatissima che si starebbe svolgendo ai livelli più alti, Silvio Berlusconi, Gianni Letta, Fedele Confalonieri, riferisce sempre il quotidiano romano. Che aggiunge tiepide, anzi, tiepidissime conferme dell’entourage delle tv berlusconiane – «contatti ci sono stati», non si sa quando, però – e una misuratissima esternazione del conduttore giornalista scrittore: «Finché mi trattano bene in Rai, resto». Quanto a Mediaset «sono molto gentili». Un capolavoro di diplomazia, quello dell’anchorman. Un messaggio a chi di dovere, scolpito in quel «finché mi trattano bene».

Sia in Viale Mazzini che a Cologno Monzese il settore dell’informazione è fluido. Carlo Fuortes, il nuovo amministratore delegato della tv pubblica, ha deciso di applicare la riforma per aree produttive ideata dal suo predecessore Fabrizio Salini. Alla direzione degli Approfondimenti, da cui dipende anche Porta a Porta, si è appena insediato quel Mario Orfeo che nel 2017, direttore generale Rai con Matteo Renzi a Palazzo Chigi, deliberò una revisione al ribasso del contratto di Vespa: 300.000 euro in meno e durata di due anni con opzione per il terzo al posto dell’abituale quadriennale. Visti i precedenti, appare molto verosimile che il titolare della Terza camera del Paese abbia voluto far sapere che, finché lo trattano correttamente, dalla Rai non si muove. Di sicuro a Mediaset lo tratterebbero bene perché sono «molto gentili». Parlando di informazione, anche a Cologno si registrano assestamenti. Pur mantenendo testate e loghi ma razionalizzando le redazioni, Tg4 e Studio aperto passeranno sotto la gestione di TgCom24 di Andrea Pucci e Paolo Liguori. E non è escluso che qualche cambiamento avverrà anche sul fronte dei talk show. Da ultimo, ma tutt’altro che ultimo, Berlusconi ambisce al Quirinale e la vicinanza di un conoscitore delle stanze romane come Vespa, che il Cav stesso paventò di candidare al Colle, potrebbe rivelarsi utile.

 

La Verità, 23 novembre 2021

«Tra i due Matteo il Cav scelga Giovanni (Toti)»

Il giornalista richiamato dalla pensione per creare un sistema di comunicazione integrato e d’avanguardia non si era ancora visto. Invece esiste e lavora insieme a noi. Si chiama Paolo Liguori, ha 68 anni, dirige Tgcom24 e i nuovi media di Mediaset. Come certi poliziotti del cinema americano, ha combattuto parecchie battaglie senza diventare cinico e ora è di nuovo in prima linea. Il suo film potrebbe intitolarsi Ritorno al futuro.

Perché un telespettatore dovrebbe scegliere Tgcom24 anziché le reti all news della concorrenza?

«Non è il telespettatore che sceglie Tgcom24, siamo noi che lo seguiamo ovunque. Il telespettatore statico davanti alla tv ha ceduto il posto a un uomo dinamico, cacciatore di notizie, che continua a informarsi mentre è in metrò o in sala d’attesa dal medico».

È per questo che sei tornato, come in un film?

«Questo è un lavoro, ma anche una passione e un sogno. La passione consiste nel realizzare qualcosa che non esisteva: un sistema integrato tra tutti i media e con un unico marchio. Fino a ieri tv, radio e internet erano considerati alternativi. Invece, sono convergenti».

Il sogno?

«È chiudere il cerchio. Completare una carriera in cui ho lavorato come cronista politico, giornalista d’inchiesta, direttore di settimanali e quotidiani e in tv ho fatto programmi e diretto telegiornali. Sapendo che il nostro è un mestiere, non una professione».

Spiega.

«I professionisti studiano per salvare vite umane o costruire città, il giornalismo è un mestiere che s’impara facendolo. I migliori di noi sono bravi artigiani. L’idea di considerarsi professionisti è il primo equivoco dal quale metto in guardia i ragazzi in università. Poi ce n’è un altro».

Sentiamo.

«Considerarsi intellettuali, mentre siamo osservatori. I migliori sono buoni analisti».

Sei anche responsabile dei New media di Mediaset: formula altisonante.

«Quando, oltre i cinquanta, mi sono messo a studiare il sistema digitale ho scoperto che non riguardava internet, ma conteneva un cambiamento di ritmo dell’intera società. Ma ero isolato. Anche dentro Mediaset si pensava che tv e internet fossero alternativi. Se si parte dal fattore tempo, internet lo toglie alla tv. Ma se si parte dalla persona che lavora, viaggia o va a scuola, il digitale è un modo più potente per seguirla».

Tornando alla domanda iniziale: in cosa Tgcom24 è diverso dalle altre reti all news?

«Noi facciamo informazione a flusso. Che è diversa dall’informazione a rullo, confezionata e ripetuta. Se c’è un avvenimento, tipo l’incendio di Castel Fusano o uno sbarco di migranti, ci fermiamo e approfondiamo. Se ho le immagini, le metto nei social, attivo le dirette su Facebook, attendo i commenti della gente, che riporto in tv. Abbiamo un bacino totale di pubblico di 27 milioni di persone, una platea che la Rai ha per Sanremo o per un match della Nazionale. Gli esperti lo chiamano sistema della convergenza».

Risultato?

«Quest’anno l’incremento di ascolti è stato del 24%. Il canale esplode quando ci sono gli eventi, fino a un milione di spettatori».

Il gruppo degli Uccelli: Liguori detto «Straccio» è il secondo da destra

Gli Uccelli: Liguori detto «Straccio» è il secondo da destra

Ricominciamo da capo. Come «Straccio», appartenente agli Uccelli della facoltà di Architettura di Valle Giulia è diventato un dirigente Mediaset?

«Allo stesso modo in cui Marco Polo imparò il cinese: viaggiando. Durante il viaggio dalla contestazione situazionista all’impegno nella società dello spettacolo mi sono ritrovato nella scena che Guy Debord, Marshall McLuhan e Herbert Marcuse avevano preconizzato negli anni Sessanta. Mi spiace per chi non ha letto quegli autori al momento giusto, scoprirli adesso è come accorgersi del genere femminile da vecchi».

Lotta continua è stata un luogo esistenziale, uno strumento della lotta di classe, un capitolo del passato?

«È stata un capitolo preceduto da quello della contestazione, che ha lasciato il passo ad altri capitoli. Ma quello di Lc non è stato conseguenza di quello degli Uccelli».

Definisci Adriano Sofri.

«Una persona molto intelligente, che ha grande bisogno di affetto ed è capace di darne molto. Anche per leader così il ’68 è riuscito a trasformare la persona da oggetto a soggetto della comunicazione».

È il mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi?

«Assolutamente no. È una sciocchezza, voluta e costruita».

Ci sono stati parecchi processi.

«I tanti gradi di giudizio non m’impressionano né per Contrada, né per Bossetti e nemmeno per Sofri. Quando non c’è una storia ricostruita con chiarezza, i processi sono la quantità di chiodi che servono a crocifiggere una persona. Non serve dire che è una storia cominciata duemila anni fa».

Nei processi si verificano prove e testimonianze.

«Sono l’equivalente della scelta del metallo con cui sono costruiti i chiodi».

Dopo un po’ di gavetta sei stato assunto al Giornale a Roma. Un giornale conservatore…

«Era il Giornale di Indro Montanelli».

Indro Montanelli: «Il genio per un giorno»

Indro Montanelli: «Il genio per un giorno»

Come nacque l’inchiesta sui fondi per la ricostruzione dell’Irpinia?

«Montanelli aveva scritto un editoriale su De Mita intitolato Il padrino. De Mita querelò, Montanelli s’infurentì e mi chiamò: “Devi partire per le zone del terremoto, investigare su tutto e dimostrarmi che in quella situazione De Mita si è comportato da padrino”. Finì con una commissione d’inchiesta parlamentare presieduta da Scalfaro che non arrivò a conclusioni certe, anche se conteneva severissime critiche a chi aveva amministrato i fondi del terremoto traendone potere. De Mita era contemporaneamente Presidente del consiglio e segretario della Dc e nella Prima repubblica era proibito».

Chi era Indro Montanelli?

«Il genio per un giorno. Genio del quotidiano, insuperabile a cogliere il fatto principale, scriverlo e descriverlo con una lingua chiara ed efficace, mai vista né prima né dopo».

Ti avvicinasti ai socialisti. Cosa ti piaceva del Psi?

«L’impostazione solidarista e Bettino Craxi. Se non l’avessi conosciuto mi sarei dimenticato del socialismo. Come partito preferivo la Dc».

Definisci Bettino Craxi.

«Un politico un passo avanti rispetto a tutti gli altri. Oggi nessuno ricorda più che D’Alema e Occhetto andarono a parlare con lui perché erano disperati per l’ottusità del loro partito».

Hai diretto Il Sabato, vicino a Comunione e liberazione, dove ci siamo conosciuti.

«Altro capitolo molto importante. Imparai due cose distanti tra loro: la centralità della persona e la grandezza del mondo. Il Sabato fu la mia prima direzione. Da cane sciolto a direttore: ho fatto i conti con il principio di responsabilità».

Lc e Cl invertono le iniziali: avevano qualcosa in comune?

«Erano due mondi in movimento. Al Sabato prevaleva un movimentismo con dei valori, ma senza schemi bloccati».

Definisci don Luigi Giussani.

«Frequentandolo ho capito cos’è il carisma. Montanelli era carismatico come giornalista, Giussani con poche parole ti fulminava».

Don Luigi Giussani: «Con una frase ti fulminava»

Don Luigi Giussani: «Con una frase ti fulminava»

 

Negli anni di Mani pulite hai diretto Il Giorno tenendo una linea garantista. È stato il momento più duro della tua carriera?

«È stato un momento duro, c’erano minacce. Ma lo rifarei. Erano pochi quelli che guardavano Di Pietro negli occhi. Molte di quelle inchieste sono finite nel nulla, le persone venivano incarcerate per farle confessare. C’era qualcosa di bestiale in quel trattamento. Mi colpirono i casi di Franco Nobili, presidente dell’Iri, che aveva nulla a suo carico, e di Clelio Darida, sindaco di Roma. Quella del Giorno fu una bella esperienza. Conclusa quando l’Eni decise di cedere il giornale perché infilata nelle inchieste, per uscire dalle quali fece degli accordi».

Poi sei entrato in Mediaset.

«Ho fatto l’apprendistato nella tv studiando da Mentana, in un ufficio accanto al suo. Poi mi chiamarono per Studio aperto. Ricordo alla riunione di Arcore Gianni Letta ed Emilio Fede concordi con la decisione di Berlusconi di affidarmi quell’incarico. Credo che mai più si siano trovati d’accordo su qualcosa».

Definisci Silvio Berlusconi.

«Un’altra persona di immenso carisma. Berlusconi aveva e ha tuttora un fascino e una vitalità superiori a tutti quelli che ho conosciuto. È unico, lo dico senza piaggeria».

Ha sprecato delle occasioni?

«Quelle che ha avute le ha sfruttate, quelle che non ha usato non lo erano. Ha patito una quantità di odio da vivo che Mussolini ha avuto da morto. Ha costruito tante occasioni dov’erano impensabili, compresa la strada riaperta ora per il centrodestra».

Sei tifoso della Roma, vedi Francesco Totti dirigente?

«Temo farà una fatica enorme, come se io dovessi fare il politico».

Cosa guardi in tv?

«Gli eventi. Credo che alla fine ci sia quasi sempre una manipolazione, magari ben fatta. Mi piacciono gli eventi in diretta, a prescindere dal genere: una partita, il Festival di Sanremo, un attentato. Il giornalismo in diretta è l’unica possibile verità nell’era della post-verità».

Libro della vita?

«La montagna incantata di Thomas Mann. Poi ho letto molto i russi».

Film della vita?

«Forse Il cacciatore di Michael Cimino. O Il padrino».

Berlusconi quale Matteo dovrebbe scegliere?

«Dovrebbe cambiare vangelo e passare a quello secondo Giovanni, più tosto e severo».

Puntare su Giovanni Toti?

«Toti ha vinto tutte le elezioni in Liguria, regione tradizionalmente di sinistra. È uno fedele ma con una sua personalità. Ricorda il Renzi, sindaco di Firenze. Se invece sceglierà un garante esterno a Forza Italia, Maroni o Zaia vanno benissimo».

Chi sono i tuoi amici?

«Ne ho tanti. Ma cito Mauro Crippa, il suo vice Andrea Delogu, e Niccolò Querci, vicepresidente Rti».

Definisci Paolo Liguori.

«Un ragazzo ancora intellettualmente vivace e in movimento».

 

La Verità, 23 luglio 2017

 

Maurizio Costanzo e il prestigio da proteggere

Questo è un post difficile da scrivere, roba delicata. Però, ragazzi… Intanto c’è la notizia. E poi, le difficoltà arrapano. Dunque, la notizia. Dal 14 marzo, salvo improbabili cambiamenti dell’ultim’ora, Maurizio Costanzo condurrà una striscia quotidiana su Rai Premium (decisione del precedente direttore, Roberto Nepote). Dal lunedì al venerdì, alle 13,30, dialogherà per una mezz’oretta con qualche ospite su un fatto o un personaggio di giornata. Ennesima rubrica dopo Tutte le mattine e Buon Pomeriggio su Canale 5, Stella su SkyVivo e altre varie, tra le quali il gioiello intimista S’è fatta notte con Enrico Vaime, su Raiuno. Titolo della nuova quotidiana: Parliamone. Niente d’impegnativo, ma molto di confidenziale, com’è nel suo stile. Un modo per entrare in famiglia, per stabilire quella complicità del buon senso che è da sempre la cifra di gran parte della sua televisione. Rai Premium è la rete di fiction della tv pubblica, dove già nell’autunno Costanzo aveva proposto Memory, sei puntate sui grandi sceneggiati dagli anni ’50 a oggi. La striscia quotidiana, però, è un’altra cosa. Soprattutto per l’impegno e l’energia che richiede. E che all’età di 77 anni Costanzo mostra ancora di avere. Soprattutto, mostra di avere ancora fame di visibilità. Lui stesso si è sempre dichiarato “bulimico”, quasi famelico di presenza in video.

Vedremo come sarà questo Parliamone. Ma le ultime apparizioni del grande giornalista non sempre sono state all’altezza del suo blasone. Le serate autunnali su Retequattro del Maurizio Costanzo Show sono andate così così (3,5-4,5 per cento, con chiusura al 5,6 per la puntata finale) e per la nuova serie bisognerà attendere aprile-maggio, forse non di domenica sera, come lui preferirebbe. Anche perché, va ricordato, proprio nel giorno festivo, Costanzo firma Domenica in, il programma di punta della concorrenza, come capo degli autori. Tornando alla striscia, l’inventore del talk show italiano ne firma anche un’altra su TgCom24, tutte le mattine verso le 10,30. S’intitola Sussurri e grida durante la quale legge e commenta tre dati di ascolto dei programmi della sera prima che l’Auditel ha appena diffuso (oggi per esempio ha letto gli ascolti di The Voice, di Chi l’ha visto? e de La Gabbia di “Gianluca Paragone”, che in realtà si chiama Gianluigi, a chi non capita di sbagliare un nome…). Si tratta di una cosa molto breve, una pillola, poco più. Di sicuro insufficiente a saziare la dipendenza dalla luce rossa della telecamera che colpisce molti mostri sacri (da Baudo alla Carrà), tanto più trattandosi di un collegamento telefonico.

E qui viene la parte difficile del discorso che, con affetto e senza presunzione, mi limito a porre in forma interrogativa. È sicuro Costanzo, padre storico della televisione italiana, che tutte queste apparizioni siano all’altezza del suo prestigio? Non gli converrebbe rispettare maggiormente la sua autorevolezza, privilegiando la qualità sulla quantità?