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Gioco partita incontro: che fantastica storia, Jannik

La consacrazione è avvenuta. Abbiamo un campione. Un fuoriclasse nel quale riconoscerci. Talento e regolatezza. Genio e affidabilità. Estro e concretezza. Sembrano binomi inconciliabili. Ma quando si coniugano, danno effetti speciali. C’entrano i geni altoatesini, la disponibilità al sacrificio, la passione per lo sport che si pratica. L’umiltà con cui lo si fa. «Grazie alla mia famiglia, vorrei che tutti avessero i genitori che ho avuto io. Non mi hanno mai messo sotto pressione e mi hanno sempre dato la possibilità di scegliere», ha detto Jannik Sinner da Sesto Pusteria, di anni 22, con il trofeo dell’Australian Open in mano. La consacrazione si compie al culmine di un torneo fantastico in cui, prima della finale (3-6 3-6 6-4 6-4 6-3), aveva perso un solo set e demolito il numero uno, sua maestà Novak Djokovic, il maestro (ha vinto l’ultimo Master proprio battendo Jannik). Dopo l’autunno vincente, la conquista della Coppa Davis ancora con lo storico successo su Nole, annullandogli tre match point consecutivi, si è detto e scritto che mancava la vittoria in uno slam. Eccola, 48 anni dopo quella di Adriano Panatta a Parigi, al termine di un crescendo iniziato con la vittoria a Pechino in settembre. Lì, dopo sei sconfitte consecutive, Sinner aveva battuto proprio Daniil Medvedev, poi regolato altre due volte, prima di ieri. È un successo storico per il tennis e per lo sport italiano. Non a caso, archiviate le critiche per la mancata partecipazione alle semifinali della Davis per privilegiare la preparazione, oggi «siamo tutti peccatori». La «Sinnermania» è un fenomeno che ricorda la partecipazione che accompagnava un vincente guascone come Alberto Tomba. Mentre ora, davanti al Pel di Carota di Sesto Pusteria che Amadeus vorrebbe a tutti i costi all’Ariston, sono altre le doti nelle quali possiamo specchiarci.

Costruzione di un campione

Il lavoro giorno per giorno. L’applicazione feroce, ma serena. La dedizione del team composto da Simone Vagnozzi e Umberto Ferrara, ai quali si è aggiunta l’esperienza di Darren Cahill che ha portato Lleyton Hewitt, Andre Agassi e Simona Halep a svettare nel ranking. La cognizione del tennis del coach australiano. La consapevolezza che non sempre vince chi effettua i colpi più spettacolari. Certo, il talento è fondamentale, ma lo è altrettanto il lavoro. E soprattutto la testa, il tennis non mente. Ci possono persino essere giocatori in possesso di un estro maggiore, con una fantasia tennistica superiore, Carlos Alcaraz per esempio. Ma poi bisogna fare il punto. E l’estro bisogna governarlo. E finalizzarlo. È la concretezza del tennis. Nessuno oggi, anche grazie alla consulenza del dottor Riccardo Ceccarelli, ha la testa, il controllo emotivo e la forza mentale di Jannick Sinner. È con queste doti che, sotto due set a zero, con l’avversario che appariva più sicuro e intraprendente di lui, l’altoatesino si è tirato fuori dall’inferno. «Quando pensi che sia finita è proprio allora che comincia la salita», cantava Antonello Venditti in Che fantastica storia è la vita.

Vittoria epica

Gli ultimi tre match contro Sinner, il russo li aveva persi. Inoltre, lui era più stanco perché è stato in campo sei ore più dell’avversario, avendo disputato tre partite al quinto set. Dalla sua parte c’era invece l’esperienza, la maggior abitudine a disputare finali slam. Possibilmente, doveva cercare di vincere rapidamente. Così, attua una strategia precisa. Servizio e scambi abbreviati. Sinner invece è contratto, patisce l’emozione. Al terzo gioco non gli entra mai la prima e c’è subito il break, dopo che in tutto il torneo ne aveva subiti solo due. Al nono game serve ancora poche prime e perde il primo set. L’inizio del secondo è già delicatissimo e, per non andare subito sotto, Sinner deve fare miracoli. Invece, i turni del moscovita finiscono in un amen. In pochi minuti è avanti 5 a 1. Sembra l’inizio della fine, il sogno che s’infrange. Dopo che ha dominato il torneo e annichilito Djokovic, sta consegnandosi all’avversario. Jannik sembra un pugile che resta in piedi per orgoglio. Ma prima che il russo inizi a servire per conquistare il secondo set, Vagnozzi esorta Sinner: «Usa questo game per fare qualcosa di diverso». Con una buona risposta e due rovesci profondi strappa il servizio a Daniil e sale 2 a 5. Poi si aggiudica il suo. Qualcosa sembra che cominci a cambiare. Ma dopo aver annullato un’altra palla break, Medvedev incamera anche il secondo set.

 Parete di sesto grado

Il break conquistato e un altro sfiorato sono la scossa. Ora si combatte anche nei turni di Medvedev. È il gancio a cui aggrapparsi per iniziare la risalita a patto di mettere dentro più prime. Finora Sinner ha ceduto sulla diagonale del rovescio, ma nel terzo gioco riesce a spuntarla due volte di fila prima di chiudere il game con un ace. Piccoli segnali. Il russo è meno brillante, il lavoro ai fianchi comincia a pagare. Meno diagonale di rovescio, più variazioni e palle corte fanno il resto. Al decimo gioco c’è il break e si va al quarto set. Adesso è l’altoatesino a imporre il ritmo. Jannick colpisce meglio e ha più idee. Fa male anche con il dritto lungolinea. Nel settimo game il moscovita ha la possibilità di strappargli il servizio. Ma Sinner l’annulla con un ace e con un altro sale 4 a 3. È la svolta. Daniil è alle corde, mentre Jannik continua a martellare e si prende il quarto set. La situazione è completamente rovesciata. All’inizio del quinto, Sinner vince un braccio di ferro di 39 colpi e con un ace di seconda si aggiudica il primo gioco. S’intravvede il traguardo. Medvedev si tiene a galla con la battuta, ma nel sesto game Jannik gli toglie il servizio e poi tiene il suo alla fine di uno scambio interminabile. La resistenza del russo è domata. Al primo match point, con un dritto lungolinea, Pel di Carota conquista il primo slam della sua carriera. Il primo di tanti, verosimilmente. Anche se ancora numero 4 del ranking, in questo momento è il miglior tennista del mondo.

Che fantastica storia è quella di Jannik Sinner.

 

La Verità, 29 gennaio 2024

 

Sinner-Djokovic sulla scacchiera di Wimbledon

A volte il tennis sembra somigliare al gioco degli scacchi. Diventa una questione di testa, di pause e di mosse giuste, studiate a tavolino. Ce l’ha fatto pensare Jannik Sinner, nelle ultime due partite vinte, contro John Isner e Carlos Alcaraz. Due match splendidi, capolavori di tattica. Oggi, però, l’asticella sale ancora. E di parecchio. Di fronte a Sinner ci sarà Novak Djokovic, il campione in carica di Wimbledon che nel 2021 sconfisse Matteo Berrettini, quest’anno eliminato dal Covid. Sul campo centrale dell’All england tennis and croquet club si staglierà una montagna più alta di quelle, scalate finora. Stan Wawrinka, ex numero 3 del mondo, vincitore non più giovanissimo di tre slam, regolato in 4 set. Il più abbordabile Mikael Ymer (numero 88), superato piuttosto agevolmente. Isner, un big server secondo il verbo di Sky Sport, osso durissimo sui prati. Alcaraz, numero 6 del ranking e pronosticato presto in vetta da gran parte degli addetti ai lavori. Curiosamente, in questo momento Djokovic è solo numero 3 della classifica mondiale, dietro a Daniil Medvedev e Alexander Zverev, entrambi assenti a Wimbledon, il tedesco perché infortunato e il russo perché russo e vabbè (anzi no), ma è un’altra storia. Dopo la rumorosa esclusione agli Open australiani e la sconfitta patita da Rafa Nadal a Parigi, Nole non potrà partecipare ai prossimi Open degli Stati Uniti a causa del rifiuto a vaccinarsi, e pure questa è un’altra molto controversa storia. Sta di fatto che per lui Wimbledon ha il sapore della sfida per dimostrare di essere tuttora vincente, riavvicinando Nadal nel numero degli slam vinti: 22 a 20 per lo spagnolo. Assai difficile, dunque, che Sinner possa domarlo. Però, mai dire mai. Perché qualcosa dev’essere pur cambiato nella testa, nei muscoli e nell’autostima del ventenne campioncino di Sesto Pusteria.

Fino a una settimana fa non aveva mai vinto una partita sull’erba. Sempre spedito a casa all’esordio persino al primo turno dell’Atp di Eastbourne, propedeutico alla 135ª edizione dei Championships nella quale ora si trova ai quarti, davanti a quella montagna. Come abbia fatto, sono in tanti a chiederselo. Reduce da una stagione balbettante, privo di trofei, protagonista di ripetuti ritiri a causa di frequenti infortuni – l’ultimo al ginocchio al Roland Garros mentre stava dando una lezione ad Andry Rublev – nonostante in uno spot recitasse «Tu sei futuro», all’orizzonte del rosso altoatesino iniziavano ad addensarsi le nubi dell’incertezza. L’inatteso divorzio, in febbraio, da Riccardo Piatti, lo storico coach con cui lavorava da sette anni, e la scelta di un nuovo team capeggiato da Simone Vagnozzi, sembrava non dare i frutti sperati. Con lui «sto di più in campo, privilegiamo la qualità sulla quantità… Ho sperimentato cose diverse, che prima non sentivo», aveva spiegato a Gaia Piccardi del Corriere della Sera, ribadendo la gratitudine verso Piatti e i meriti del lavoro con lui, ma anche sottolineando «che dopo un giorno con Simone mi sembrava di conoscerlo da vent’anni». Eppure, per l’altoatesino il salto di qualità non s’intravedeva.

Abituato a imparare anche dai campioni di altri sport, pronto ad andare a sciare con Lindsey Vonn, a incontrare Ibrahimovic a Milanello («la sua voce mi è rimasta stampata in testa»), a leggere la biografia di LeBron James, Jannik ha continuato a crederci e a lavorare. Dopo il ritiro a Parigi, ha annunciato l’inizio della collaborazione con Darren Cahill, già ottimo doppista australiano, che da allenatore ha portato Lleyton Hewitt a essere il più giovane sul primo gradino del mondo e, al contrario, nel 2003 ha aiutato André Agassi a diventare il più anziano giocatore in vetta al ranking. Stesso risultato raggiunto con Simona Halep, in vetta alla classifica femminile tra il 2016 e il 2017. Certo, neanche lui possiede la bacchetta magica, il tennis è il più complesso e sfaccettato degli sport individuali.

Però nei match contro Isner e Alcaraz, qualche novità tattica si è iniziata a vedere. Contro il gigante americano (208 cm), reduce da una convincente vittoria sull’idolo di casa Andy Murray, Sinner ha attuato un piano di bombardamento al corpo. Chi ha braccia e gambe lunghe si destreggia bene se può attivare gli arti nella loro ampiezza, mentre patisce le palle che arrivano addosso perché è più macchinoso nel coprire la figura. Per tutto il match Jannik gli ha servito in pancia, costringendo Isner a sbagliare spesso o a rimandare risposte innocue. La sfida contro Alcaraz, meglio posizionato di Sinner in classifica, era stata presentata come la sfida tra i due candidati al primato futuro. Considerato l’erede di Nadal, lo spagnolo è giocatore dagli enormi mezzi tecnici e atletici, che si galvanizza quando sale la temperatura agonistica e nei duelli prolungati con rincorse ai quattro angoli del campo. Contro di lui, Sinner ha accorciato gli scambi, puntato sui colpi d’inizio gioco, servizio e soprattutto risposta, sfruttato il tempo a disposizione tra uno scambio e l’altro. Così è riuscito a raffreddare la partita, conservando sempre un ottimo grado di lucidità, senza farsi condizionare dal fatto che l’avversario lo attendeva impaziente per avviare il gioco.

Se il tennis è uno sport globale, fatto anche di testa e di tempi, in certi momenti, sul rettangolo verde di Wimbledon è sembrato profilarsi il quadrato bianconero di una scacchiera, dove ognuno dei giocatori cercava di portare la sfida sul terreno preferito. Così, con la sua freddezza e la sua flemma, il rosso Sinner, ha vinto un grande match contro pronostico.

Oggi, davanti a una parete di nome Djokovic, quale strategia riuscirà ad allestire?

 

La Verità, 5 luglio 2022