Sinner-Djokovic sulla scacchiera di Wimbledon
A volte il tennis sembra somigliare al gioco degli scacchi. Diventa una questione di testa, di pause e di mosse giuste, studiate a tavolino. Ce l’ha fatto pensare Jannik Sinner, nelle ultime due partite vinte, contro John Isner e Carlos Alcaraz. Due match splendidi, capolavori di tattica. Oggi, però, l’asticella sale ancora. E di parecchio. Di fronte a Sinner ci sarà Novak Djokovic, il campione in carica di Wimbledon che nel 2021 sconfisse Matteo Berrettini, quest’anno eliminato dal Covid. Sul campo centrale dell’All england tennis and croquet club si staglierà una montagna più alta di quelle, scalate finora. Stan Wawrinka, ex numero 3 del mondo, vincitore non più giovanissimo di tre slam, regolato in 4 set. Il più abbordabile Mikael Ymer (numero 88), superato piuttosto agevolmente. Isner, un big server secondo il verbo di Sky Sport, osso durissimo sui prati. Alcaraz, numero 6 del ranking e pronosticato presto in vetta da gran parte degli addetti ai lavori. Curiosamente, in questo momento Djokovic è solo numero 3 della classifica mondiale, dietro a Daniil Medvedev e Alexander Zverev, entrambi assenti a Wimbledon, il tedesco perché infortunato e il russo perché russo e vabbè (anzi no), ma è un’altra storia. Dopo la rumorosa esclusione agli Open australiani e la sconfitta patita da Rafa Nadal a Parigi, Nole non potrà partecipare ai prossimi Open degli Stati Uniti a causa del rifiuto a vaccinarsi, e pure questa è un’altra molto controversa storia. Sta di fatto che per lui Wimbledon ha il sapore della sfida per dimostrare di essere tuttora vincente, riavvicinando Nadal nel numero degli slam vinti: 22 a 20 per lo spagnolo. Assai difficile, dunque, che Sinner possa domarlo. Però, mai dire mai. Perché qualcosa dev’essere pur cambiato nella testa, nei muscoli e nell’autostima del ventenne campioncino di Sesto Pusteria.
Fino a una settimana fa non aveva mai vinto una partita sull’erba. Sempre spedito a casa all’esordio persino al primo turno dell’Atp di Eastbourne, propedeutico alla 135ª edizione dei Championships nella quale ora si trova ai quarti, davanti a quella montagna. Come abbia fatto, sono in tanti a chiederselo. Reduce da una stagione balbettante, privo di trofei, protagonista di ripetuti ritiri a causa di frequenti infortuni – l’ultimo al ginocchio al Roland Garros mentre stava dando una lezione ad Andry Rublev – nonostante in uno spot recitasse «Tu sei futuro», all’orizzonte del rosso altoatesino iniziavano ad addensarsi le nubi dell’incertezza. L’inatteso divorzio, in febbraio, da Riccardo Piatti, lo storico coach con cui lavorava da sette anni, e la scelta di un nuovo team capeggiato da Simone Vagnozzi, sembrava non dare i frutti sperati. Con lui «sto di più in campo, privilegiamo la qualità sulla quantità… Ho sperimentato cose diverse, che prima non sentivo», aveva spiegato a Gaia Piccardi del Corriere della Sera, ribadendo la gratitudine verso Piatti e i meriti del lavoro con lui, ma anche sottolineando «che dopo un giorno con Simone mi sembrava di conoscerlo da vent’anni». Eppure, per l’altoatesino il salto di qualità non s’intravedeva.
Abituato a imparare anche dai campioni di altri sport, pronto ad andare a sciare con Lindsey Vonn, a incontrare Ibrahimovic a Milanello («la sua voce mi è rimasta stampata in testa»), a leggere la biografia di LeBron James, Jannik ha continuato a crederci e a lavorare. Dopo il ritiro a Parigi, ha annunciato l’inizio della collaborazione con Darren Cahill, già ottimo doppista australiano, che da allenatore ha portato Lleyton Hewitt a essere il più giovane sul primo gradino del mondo e, al contrario, nel 2003 ha aiutato André Agassi a diventare il più anziano giocatore in vetta al ranking. Stesso risultato raggiunto con Simona Halep, in vetta alla classifica femminile tra il 2016 e il 2017. Certo, neanche lui possiede la bacchetta magica, il tennis è il più complesso e sfaccettato degli sport individuali.
Però nei match contro Isner e Alcaraz, qualche novità tattica si è iniziata a vedere. Contro il gigante americano (208 cm), reduce da una convincente vittoria sull’idolo di casa Andy Murray, Sinner ha attuato un piano di bombardamento al corpo. Chi ha braccia e gambe lunghe si destreggia bene se può attivare gli arti nella loro ampiezza, mentre patisce le palle che arrivano addosso perché è più macchinoso nel coprire la figura. Per tutto il match Jannik gli ha servito in pancia, costringendo Isner a sbagliare spesso o a rimandare risposte innocue. La sfida contro Alcaraz, meglio posizionato di Sinner in classifica, era stata presentata come la sfida tra i due candidati al primato futuro. Considerato l’erede di Nadal, lo spagnolo è giocatore dagli enormi mezzi tecnici e atletici, che si galvanizza quando sale la temperatura agonistica e nei duelli prolungati con rincorse ai quattro angoli del campo. Contro di lui, Sinner ha accorciato gli scambi, puntato sui colpi d’inizio gioco, servizio e soprattutto risposta, sfruttato il tempo a disposizione tra uno scambio e l’altro. Così è riuscito a raffreddare la partita, conservando sempre un ottimo grado di lucidità, senza farsi condizionare dal fatto che l’avversario lo attendeva impaziente per avviare il gioco.
Se il tennis è uno sport globale, fatto anche di testa e di tempi, in certi momenti, sul rettangolo verde di Wimbledon è sembrato profilarsi il quadrato bianconero di una scacchiera, dove ognuno dei giocatori cercava di portare la sfida sul terreno preferito. Così, con la sua freddezza e la sua flemma, il rosso Sinner, ha vinto un grande match contro pronostico.
Oggi, davanti a una parete di nome Djokovic, quale strategia riuscirà ad allestire?
La Verità, 5 luglio 2022