«Troppi interessi in gioco, il Papa resta inascoltato»
Fluente barba bianca e sguardo vivace, monsignor Francesco Braschi incarna i tratti del mistico orientale e dello studioso latino. Nato a Monza nel 1967, ordinato prete a 25 anni, è docente di teologia all’università Cattolica di Milano, dottore della Biblioteca ambrosiana e presidente della Fondazione Russia cristiana. Giovedì sera, invitato dall’Associazione Rosmini di Padova, ha dialogato con Mario Mauro, già ministro della Difesa, sul tema «Ucraina: quale pace per il mondo», occasione per presentare il libro di papa Francesco Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace (Solferino – Libreria Editrice Vaticana).
Monsignor Braschi, qual è lo sguardo dei cristiani russi sull’invasione dell’Ucraina?
«È variegato quanto i cristiani russi – soprattutto ortodossi, con minoranze di cattolici e protestanti – che hanno un accesso limitato alle informazioni. Non pochi esprimono, e ciò può comportare dei rischi, profondo disagio per la situazione che si è creata. Non va poi sottovalutata l’esistenza anche tra i credenti di persone convinte che l’esercito russo stia difendendo la verità della fede cristiana. È una posizione per noi difficile da immaginare, ma negare che esista o liquidarla semplicemente come follia non aiuta a cogliere la profondità e la drammaticità del problema che manifesta».
Che possibilità hanno i cristiani russi di far sentire la loro voce a proposito di ciò che sta accadendo?
«In Russia ci sono leggi che colpiscono quelli che noi consideriamo cardini irrinunciabili della libertà di espressione. C’è una concezione dello Stato assai diversa dalla nostra. Tra i cristiani, ciò che rimane sono soprattutto le iniziative di preghiera per la pace, peraltro in crescita».
Quanto le posizioni del patriarca Kirill possono inasprire il contrasto tra la Russia e i Paesi occidentali?
«Credo che le parole del patriarca Kirill, sebbene pongano una questione estremamente seria, non costituiscano il fattore principale del conflitto. Il governo russo non procede a partire dalle omelie del Patriarca».
È corretto dire come fanno alcuni osservatori che quella tra Russia e Ucraina è anche una guerra di civiltà e tra chiese diverse?
«Bollare quanto sta avvenendo come “guerra di religione” è superficiale, ma alcuni elementi della complessa situazione religiosa di Ucraina e Russia sono rilevanti per comprendere la genesi dell’invasione. Tuttavia, prima di parlare di uno “scontro di civiltà” tra Occidente e Oriente, sul versante politico e/o religioso, dobbiamo comprendere che per le Chiese ortodosse, organizzate per lo più su base nazionale, il legame con il potere civile è storicamente essenziale per la loro autocomprensione. Poi c’è un altro fattore…».
Quale?
«L’atto d’indipendenza dell’Ucraina del 1991, è necessario ricordarlo, non fu un atto unilaterale ma fu negoziato con il governo russo di allora e comportò la restituzione di tutto l’arsenale nucleare presente in Ucraina in cambio dell’ottenimento di garanzie dalla stessa Russia per la sua integrità territoriale. Questo avvenimento è poi stato riletto nell’alveo dell’ideologia del “mondo russo”, un concetto che – dal riconoscimento di una radice culturale comune tra i Paesi dell’ex Unione sovietica – è stato allargato e irrigidito fino a postulare l’unità religiosa, civile e militare di tutta l’area comprendente la Bielorussia, l’Ucraina, i Paesi Baltici e financo, per alcuni, il Kazakistan. In virtù di questa rielaborazione ideologica, l’indipendenza dell’Ucraina è stata vista e presentata sempre più come una secessione favorita da forze ostili a Mosca. Ristabilire l’unità del “mondo russo” non è quindi un obiettivo nato il 24 febbraio, ma ha radici più lontane, delle quali forse non ci siamo sufficientemente resi conto».
Dalle quali derivano anche la presa della Crimea e la guerra del Donbass?
«Sono la risposta al tentativo dell’Ucraina di uscire dall’orbita di Mosca e cercare una propria collocazione come paese indipendente. Se questa volontà viene interpretata come un inaccettabile e proditorio atto di secessione, allora si invade l’Ucraina per ristabilire l’ordine precedente. Il problema è che questa lettura non può essere condivisa, poiché non corrisponde alla realtà dei fatti: negli anni ‘90 l’indipendenza dell’Ucraina avvenne mediante trattative che la stessa Russia aveva accettato e perfino favorito, poiché non aveva le risorse economiche per farsi carico di tutta l’ex Unione Sovietica».
Esiste a suo avviso un atteggiamento russofobico in alcuni settori dell’intellighenzia europea?
«Se esiste, squalifica prima di tutto chi ce l’ha. Il contributo alla cultura mondiale della Russia è innegabile. Agire attraverso censure ed esclusioni indiscriminate e generalizzate significa alimentare processi che fanno riferimento alla cosiddetta cancel culture, che di culturale ha ben poco. La mancanza di apertura al dialogo con chi ha posizioni diverse è una malattia vecchia di secoli e diffusa a tutte le latitudini. Papa Francesco non si stanca di ripetere che rifiutare pregiudizialmente il dialogo vuol dire impedirsi di riconoscere la parte di verità che c’è nell’altro».
Perché secondo lei alcuni intellettuali ex comunisti si scoprono improvvisamente atlantisti e molto critici verso la Russia di oggi? Non ne tollerano una certa rinascita religiosa?
«La domanda lega due fenomeni che hanno radici diverse. La rinascita religiosa nella Russia della fine del secolo scorso è smentita dalle statistiche attuali per quanto riguarda, ad esempio, la frequenza alle celebrazioni. Oggi la religione spesso è un sostegno dell’identità nazionale che non ha molto a che fare con la fede personale, e l’ortodossia diviene più una identificazione culturale e patriottica che non un personale cammino di fede e di conversione. L’idea che alcuni intellettuali contestino la Russia attuale per una sua presunta svolta religiosa mi pare artificiosa. Ritengo piuttosto che un simile atteggiamento si possa spiegare meglio con la psicologia, cioè con la ricerca malsicura, all’interno di un mainstream ideologico, di “nuovi padri” che sostituiscano quelli precedenti, ora non più presentabili».
Il suo predecessore nella Fondazione, padre Romano Scalfi, diceva che «la Russia non puoi capirla ma puoi amarla». Che cosa intendeva dire esattamente?
«Questa citazione a memoria riprendeva quanto affermato dal poeta Fëdor Ivanovič Tjutčev: “La Russia non si intende con il senno, né la misura col comune metro: la Russia è fatta a modo suo, in essa si può credere soltanto”. Nel suo testamento Padre Scalfi ha lasciato scritto: “Amate la Russia, nonostante tutto”. Questo “nonostante tutto” dice che non è facile avere un rapporto con la Russia, una terra dalla personalità così imponente che richiede sempre un lavoro di comprensione. Ma padre Romano credeva che comunque vi è un guadagno nel mantenere questo rapporto, piuttosto che nel reciderlo».
Che cosa significa la necessità di avere un rapporto con la Russia nel contesto attuale?
«Per esempio ricordare che le scelte di un governo non sono mai automaticamente una colpa di tutti i suoi cittadini. In secondo luogo, l’approfondimento di questo rapporto porta a vedere che nella storia della Russia accanto a epoche di grande chiusura e isolamento vi sono anche momenti ed episodi di apertura, d’incontro e persino di contaminazione tra la Russia e le altre culture. Parlando del popolo russo, padre Scalfi diceva che la sua cultura e la sua fede ci hanno aiutato a ritrovare aspetti della nostra cultura e della nostra fede che avevamo dimenticato».
Russia cristiana edita la rivista La nuova Europa: la Russia va considerata parte integrante dell’Europa?
«Certamente, innanzitutto per una ragione geografica. Con l’immagine dei due polmoni san Giovanni Paolo II esortava ad allargare l’orizzonte a un’Europa che egli concepiva “dall’Atlantico agli Urali”, e cioè comprendente anche la Russia. Limitarsi al polmone occidentale vuol dire perdere il contributo alla storia europea offerto da quelli che oggi si chiamano Paesi di Visegrad. Respirare con un solo polmone significa debilitare tutto l’organismo».
Quell’immagine è ancora più rivoluzionaria ora che la Russia ha innescato una guerra dentro l’Europa?
«Non possiamo identificare semplicisticamente l’Europa con l’Ue. La Gran Bretagna è uscita dall’Ue, ma non possiamo dire che non faccia più parte dell’Europa».
Secondo lei il magistero di papa Francesco che esorta a essere artigiani di pace ha avuto l’attenzione che meritava presso le diplomazie internazionali?
«Il Papa vuole sollecitare ciascuno a interrogarsi su ciò che accade, senza limitarsi alle logiche della geopolitica, e dice che non possiamo aspettarci dall’incremento della potenza militare la soluzione dei conflitti. Il dialogo è dunque la scelta più ragionevole, oltre che la più eticamente apprezzabile, ma viene procrastinato. La scarsa attenzione delle diplomazie occidentali e orientali al magistero papale è forse segno del fatto che ci sono logiche e interessi ai quali non si vuole rinunciare. Nella diagnosi sull’aggravarsi della situazione mondiale contenuta nei primi capitoli della Fratelli tutti si possono rintracciare tutti i fattori in gioco dell’attuale crisi in Ucraina».
La Fratelli tutti preconizzava una prospettiva multipolare, mentre questa guerra ci riporta verso un mondo bipolare.
«L’idea di un ritorno a un mondo bipolare è effimera e illusoria. Ci sono alcuni attori che sarebbe miope non considerare protagonisti solo perché nascosti o dietro le quinte».
La Cina?
«Anche l’India, il Sud-est asiatico e la Turchia. È semplicistico immaginare che ciò che avviene in Ucraina riguardi solo due attori».
Da parte delle autorità italiane c’è stato sufficiente ascolto delle parole del Papa?
«Francesco ha detto che è assurdo pensare di ristabilire la pace con la guerra è pura follia. Allo stesso tempo non ha negato la legittimità della difesa. Secondo il catechismo la valutazione sulla proporzionalità dei mezzi per la legittima difesa spetta a chi detiene la responsabilità del potere nella nazione aggredita. Che il mondo politico non abbia colto la distinzione dei due giudizi mi fa pensare che non ci fosse una grande volontà di confrontarsi con il pensiero dal Papa».
La Verità, 28 maggio 2022