Viaggio nell’isola dove la messa è finita
«Se ne vada. La diffido da scattarmi anche una sola fotografia. Non vede che sta intralciando il mio lavoro. Se ne vada o chiamo i carabinieri». Don Mario Sgorlon è esasperato dal clamore sulla storia della messa «su prenotazione» di cui hanno parlato i media nei giorni scorsi. Una storia che avrebbe incuriosito Thomas Stearns Eliot: «È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?», scrisse nei Cori da «La Rocca» il drammaturgo americano Premio Nobel per la letteratura nel 1948 centrando la questione del secolo.
L’isola di Vignole dista da Venezia 18 minuti di vaporetto. Ma ne passa uno ogni ora e arrivarci è un mezzo viaggio. Anche perché, una volta a destinazione, la sorpresa è doppia. Intanto, perché si scopre che il famoso cartello davanti alla chiesa che annunciava la celebrazione della messa a gentile richiesta non c’è. E poi perché il prete non abita qui. La cappella di Santa Maria Assunta e Santa Eurosia, dove si arriva percorrendo un sentiero, è una chiesetta edificata attorno al 1500, contenente un dipinto dell’Assunzione della Vergine che motiva qualche visita. Per effettuare la quale, bisogna telefonare a un numero fisso, come avverte una targa metallica affissa sul portale. La stessa targa annuncia che la messa domenicale si celebra alle 9.20. Compongo il numero, ma don Sgorlon è un muro. «Basta, non voglio più parlare con giornalisti. Sono stufo». Non riesco nemmeno a dirgli che sono sul posto. Ben disposto. Troppo casino su quel cartello che, nelle intenzioni, voleva solo correggere l’orario della targa. E che, in realtà, è diventato l’annuncio che La messa è finita. Perché suonava troppo male: «La messa è sospesa per mancanza di fedeli. Don Mario è disponibile su richiesta». Sembrava un atto d’accusa alla comunità. L’espressione di un prete offeso: se volete la messa, chiamatemi.
Ma se il cartello di don Mario suonava male, anche tutta la vicenda è stata raccontata male. Parlando con le persone dell’isola capisco che sono in quella sbagliata e il parroco abita a Sant’Erasmo, altri venti minuti di vaporetto, al prossimo giro. La chiesa dove celebra tutti i giorni è lì. Insomma, altra isola, altra chiesa, altra storia. Qui ci veniva, ci viene, per non far mancare il rito domenicale. Ma poi i fedeli hanno cominciato a ridursi: «Per evitare di restare da solo sull’altare ho messo l’avviso», ha provato a giustificarsi parlando con i giornali.
«Macché ruggine col parroco», borbotta una signora sulla settantina. «I miei figli vanno a fare le pulizie nella chiesa. È successo che una delle donne che andavano di più a messa è rimasta in sedia a rotelle per un infortunio. Così, adesso ci mettiamo d’accordo: quando la vogliamo chiamiamo don Mario», chiude affrettandosi verso la bicicletta. Sarà: basta l’incidente di una donna e non si celebra più la domenica cristiana?
I dubbi sulla «messa on demand» restano. E non li fuga nemmeno Roberto Succoli, un signore sulla cinquantina che abita vicino all’imbarcadero. Il suo argomento è logistico: «È come se questa fosse la chiesa di un paesino di montagna. Per andare a messa ci si deve inerpicare. Magari d’inverno, soprattutto se si è anziani, si fa fatica ad andarci. Sono laico, laicissimo, e non frequento. Mia moglie invece sì. Però non butto la croce addosso al parroco. I fedeli praticanti si avvisano telefonicamente se la messa viene celebrata o no. Del resto, se uno vuole può andare a Murano, 9 minuti di vaporetto. In città, per esempio, chi non ha la chiesa sotto casa, cioè quasi tutti, prende l’auto e si sposta…». Già. Potrebbe essere solo una questione di distanze e di mezzi di trasporto, magari più complessi in laguna. Ma c’è quel cartello che denunciava la «mancanza di fedeli».
Se la sparuta popolazione di Vignole è composta in buona parte di anziani e contadini, ci si potrebbe aspettare una partecipazione più vivace. Invece, l’eclissi del sacro va oltre la civiltà industriale e contagia pure quella contadina-lagunare. E non si ferma nemmeno davanti alle persone di una certa età che sentono avvicinarsi l’ora del destino. La banalità della secolarizzazione si traveste di pigrizia e s’insinua anche in questo lembo di laguna, appartato e silenzioso, dove il progresso e la tecnologia lasciano il campo alla pace e alla tranquillità. Uno specchio di mare più in là, i Frati minori hanno eletto San Francesco del Deserto come posto dell’anima. A Sant’Erasmo, invece, l’attività principale è la produzione dei prelibati carciofi color viola. Ma non si sente il bisogno dell’amaro che ne deriva per contrastare «il logorio della vita moderna». Le poche strade sono percorse da minuscoli Apecar o da scooter guidati da donne e ragazzi serenamente sprovvisti di casco. «Don Mario era qui poco fa», ammette una donna che sta passando con la lucidatrice il pavimento della chiesa. «Provi in canonica».
Eccoci finalmente, di persona don Mario non può sottrarsi. «È parente dello scrittore Carlo Sgorlon?», la prendo alla larga, provando a metterlo a suo agio. «No, lui era friulano, io sono di San Donà di Piave. Sono parroco qui da 19 anni». «Abbiamo la stessa età e siamo veneti», insisto. Ma alla richiesta di cinque minuti di dialogo, me ne concede tre: «Stanno arrivando i bambini per il catechismo. Comunque, guardi, su questa storia è stato montato un gran polverone. Il cartello è stato affisso quest’inverno, col freddo. La gente faticava a venire. Io ho già le liturgie qui. L’abbiamo appeso d’accordo con i fedeli di Vignole. Quando vogliono la messa, mi chiamano e io vado». Avrei voluto chiedergli se questa tiepidezza di fede lo amareggia. O piuttosto lo fa riflettere. E che cosa pensa della secolarizzazione che ha contagiato anche le campagne della laguna. Ma «i tre minuti sono scaduti». Esco, nell’attesa di veder arrivare i bambini del catechismo. Non vedendoli, dopo un po’ rientro, per scattare una foto col cellulare…
«È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?».
Non si va in pace.
La Verità, 22 aprile 2017