Cara Paola, dopo le nonne sono arrivate le mamme
Un film italiano in vetta alla classifica dei più visti dell’anno. Non accadeva dai blockbuster di Checco Zalone (i primi due diretti da Gennaro Nunziante) nel 2014 (Sole a catinelle), nel 2016 (Quo vado) e nel 2020 (Tolo Tolo). Ma quelle erano commedie d’autore, potremmo dire, ed era il momento d’oro di Luca Pasquale Medici (vero nome dell’artista barese). Il caso di C’è ancora domani, il film del debutto alla regia di Paola Cortellesi che ha superato i campioni delle major Barbie e Oppenheimer, è assai diverso. Ed è, oggettivamente, qualcosa di inaspettato. Un piccolo grande miracolo cinematografico. Un film che è diventato fenomeno di costume e che bisogna assolutamente vedere. Un film che, secondo il pensiero corrente, connette il retroterra patriarcale di parecchi decenni fa ai tanti femminicidi che affliggono il nostro tragico presente. Quasi che, in mezzo, tra il dopoguerra e il terzo millennio non ci fossero state le vittorie dei movimenti di liberazione della donna che altri film hanno ben raccontato. Mostrando che dopo il «domani» della Cortellesi c’è anche il dopodomani del femminismo.
Sulle ragioni del sorprendente successo del suo film si è esercitato qualche giorno fa sul Corriere della Sera il maggior critico cinematografico italiano. Il grande asso nella manica dell’opera, scrive Paolo Mereghetti, è «il suo valore educatamente pedagogico». Non è necessario dilungarsi sulle scelte narrative operate dalla regista e già scandagliate in queste settimane (dal bianco e nero al formato del neorealismo fino agli accenni di musical che trasformano i momenti delle violenze in altrettanti balletti) perché le ragioni del boom vanno rintracciate altrove. Il film non racconta una storia di ribellione e di emancipazione, ma una quotidianità di sottomissione e umiliazione. Delia, la protagonista interpretata da Cortellesi, è una vittima che sembra subire in silenzio fino alla catarsi collettiva finale. «Diversamente da tanti film emotivamente più coinvolgenti», scrive ancora Mereghetti, questo «offre a chi sta in sala una piccola, semplice, lezione di vita, di quelle che non vogliono offendere e che non pesa troppo condividere… Il film di Paola Cortellesi parla senza gridare… e alla fine ci fa sentire più buoni e bravi proprio perché abbiamo condiviso con lei una (rassicurante) lezione di educazione civica». Fin qui, tutto chiaro.
Purtroppo, due giorni dopo la riflessione del critico è arrivata l’intervista concessa dalla regista e interprete a Walter Veltroni sul medesimo Corriere della Sera e la nebbia ha subito appannato lo schermo. «Dopo questo anno per te fantastico, cosa ti auguri per quello che viene?», chiede l’ex segretario dem all’intervistata. «In primo luogo che vengano difesi i diritti delle donne», è la spiazzante risposta. Ma «i femminicidi continuano, in tutto il mondo», chiosa l’intervistatore. Risposta: «Sono il segno di un’idea di possesso maschile che è dura a morire». Per spiegare com’è nato il film, finalmente Cortellesi svela di aver voluto raccontare i diritti «di quelle donne che non si è mai filato nessuno. Ho ascoltato tanti racconti di nonne e bisnonne che hanno vissuto quel tempo». Così, con la regia di Veltroni, da Giulia Cecchettin si arriva ai ceffoni del marito-padrone e alla remissività della moglie-vittima. Vietato eccepire, però, perché la vittima è, per definizione, intoccabile e incontestabile. Anche se, come spesso accade, lo spiegone impoverisce l’opera, che è lì in tutta la sua autosufficienza, e indulge all’autocommiserazione.
Dopo un rapido scambio su Facebook, su consiglio di Michele Anselmi, un’autorità spesso disallineata in materia di cinema, ho visto su Prime Video Contro l’ordine divino, un film svizzero del 2017 (regia di Petra Biondina Volpe) per certi versi anticipatore di C’è ancora domani. Anno 1971, in un paesino di montagna non lontano da Zurigo il tempo si è fermato tanto che le donne ancora non votano e per lavorare devono avere, previsto per legge, il consenso del marito. È così che Nora, stanca delle faccende domestiche e delle rudezze del suocero, decide di appoggiare le embrionali proteste dei collettivi femminili. Battaglia impervia perché vanno sconfitte la radicata mentalità maschilista, una cultura bigotta e certe grette posizioni anche nel presunto sesso debole: «Le donne in politica vanno contro l’ordine divino», predica un’odiosa zitella che smania a qualsiasi abbozzo di emancipazione. Ma i soprusi continuano umilianti. Così, tra gruppi di autocoscienza alla scoperta del potere della vagina e uno sciopero rosa che manda in tilt i maschietti del borgo, ci si avvicina al referendum del 7 febbraio. Quando, finalmente, le donne conquistano il diritto di voto con ampio ritardo su tanti Paesi considerati più retrogradi. Ciò che interessa, però, è che qui le donne non sono vittime soccombenti, ma protagoniste del loro destino. Detto altrimenti, in termini generazionali, tra le «nonne e bisnonne» care a Cortellesi, e le nipoti di oggi, ci sono state le mamme e le zie. Non un dettaglio da trascurare.
La Verità, 31 dicembre 2023