«Doris? Un cattolico con la speranza che manca al Pd»
Ennio Doris, un outsider sottovalutato. Forse anche a causa del suo temperamento tutt’altro che megalomane. A fargli giustizia arriva ora nei cinema un biopic incentrato sulla clamorosa restituzione nel 2008 di 120 milioni di euro a 11.000 risparmiatori che avevano investito nella Lehman Brothers. Tratto dall’autobiografia C’è anche domani (Sperling & Kupfer, 2014), prodotto da Movie Magic International, distribuito da Medusa, diretto da Giacomo Campiotti, interpretato da Massimo Ghini e Lucrezia Lante della Rovere, il film sarà nelle sale come evento speciale il 15, 16 e 17 aprile, prima di andare in onda in autunno sulle reti Mediaset.
Massimo Ghini, conosceva Ennio Doris prima di interpretarlo?
Ne conoscevo l’immagine pubblica, diffusa dallo spot della «banca costruita intorno a te» mentre lui traccia un cerchio per terra. Mi ha stupito che mi abbiano chiesto di essere lui: è stato come intraprendere un viaggio nella vita di un uomo particolare. Alla convention con 20.000 persone organizzata da Mediolanum a Torino ho letto un brano di una lettera nella quale sosteneva che chi lavora nella finanza, oltre a occuparsi di soldi, ha una responsabilità verso gli altri.
Cosa le è piaciuto di quest’uomo?
Il fatto che, pur essendo tra i più ricchi d’Italia, sia rimasto un uomo semplice, con uno spirito cattolico e un senso della famiglia molto forti. Conosco diverse persone molto facoltose e posso dire che un comportamento così non è nelle loro consuetudini. Sempre a quella convention ho detto che la parola chiave del mio confronto con Doris è «sorpresa». Come si fa a non essere sorpresi da un uomo che il sabato sera aveva l’abitudine di tornare in elicottero al suo paese d’origine per giocare a carte con gli amici?
Per impersonarlo non ha potuto far leva sulla somiglianza.
Era un omone alto e mi hanno sconsigliato di ricorrere alla cadenza veneta, così mi sono immedesimato nel suo temperamento. Alla fine, il complimento più bello è stato quello della moglie Lina: Massimo, mi hai emozionato perché hai saputo riproporre l’atteggiamento e la grinta che aveva Ennio quando faceva le cose.
Come definirebbe Ennio Doris?
Un uomo non ipocrita e generoso. Non ipocrita perché non fingeva di essere buono, ma era dotato di una generosità innata. Correggeva chi lo chiamava «dottore» perché era ragioniere. Ricordava di essere cresciuto in mezzo alle vacche e che suo padre era mediatore nei mercati agricoli.
Un visionario con i piedi per terra?
A differenza del grande amico Berlusconi, ha sviluppato il suo talento nella finanza portandosi dietro la cultura dalla quale proveniva.
Ha cambiato il modo di gestire le banche stando dalla parte dei risparmiatori?
Questo è un fatto bellissimo. Oggi la finanza è raccontata in modo negativo, non ci sono molti a spendersi per aiutare chi è in difficoltà. Non stiamo parlando di Padre Pio, ma di un uomo che, ricordandosi delle sue radici, ha fatto funzionare la banca e, contemporaneamente, tutelato i risparmiatori.
Era il banchiere di Silvio Berlusconi, non un bel biglietto da visita per un uomo di sinistra come lei.
All’inizio anch’io lo pensavo. Ora posso dire, e me ne assumo la responsabilità, che Berlusconi ha imparato da Doris. Quell’uomo gli insegnava a fare i soldi. Non a caso, tutto ciò che Berlusconi ha toccato è diventato suo, mentre la banca di Doris è rimasta di Doris. Berlusconi si è dimostrato intelligente rispettandone la genialità e lasciandolo lavorare.
Cosa pensa del fatto che quando ci fu il crollo di Lehman Brothers rimborsò di tasca propria i risparmiatori che avevano investito in quei titoli?
Non voglio fare paragoni con altre grandi famiglie, gli Agnelli tanto per dire. Questa vicenda mi ha lasciato a bocca aperta e penso che anche il pubblico rimarrà stupito quando la scoprirà dal film. Il figlio Massimo mi ha detto che è già nota, ma io credo non abbastanza. 11.400 investitori e le loro famiglie salvati da questa decisione. Dove si trova un uomo che dice «pago io»? Alla fine, Berlusconi gli è andato dietro, ma all’inizio, sia l’Abi (Associazione bancaria italiana ndr) che lui dicevano che era un pazzo. Ma Doris era deciso: ho i soldi e lo faccio anche da solo.
Il primo caso di restituzione spontanea di denaro ai risparmiatori fu un’azione di sinistra?
No, io ci vedo un’anima cattolica. Il fatto che ci siano uomini che devono essere salvati non ha bisogno di catalogazioni di destra o sinistra. Doris aveva questa formazione veneta, fortemente cattolica, e l’ha tirata fuori. Lo dico con piacere.
Che cosa le ispira il titolo del film tratto dall’autobiografia C’è anche domani?
D’istinto può ricordare il film di Paola Cortellesi, perciò il nostro s’intitola Ennio Doris – C’è anche domani.
Il libro di Doris è del 2014.
Infatti. È un titolo che dice che non serve indugiare sulle cose andate male, c’è sempre la possibilità di rimettersi in careggiata. Non è un pensiero di natura finanziaria, ma un’idea positiva di futuro.
Un’idea di speranza?
I nostri genitori hanno fatto le guerre, noi viviamo un momento di confusione che non aiuta a preparare il futuro dei nostri figli. Dobbiamo insegnare loro che il futuro si costruisce giorno per giorno.
La sinistra sa infondere questa speranza?
In questo momento no, non riesce a darla. Dobbiamo costruire un progetto comprensibile alle masse e alle persone comuni. Le continue divisioni interne sono una delle maggiori imbecillità del secolo.
Pur essendo di sinistra lei ha fatto cinema e televisione popolare. Cosa pensa del fatto che il cinema d’autore, finanziato dai fondi ministeriali, ha trovato raramente il favore del pubblico?
Se ho qualcosa di cui vantarmi è di aver fatto sia cinema popolare che impegnato. Il nostro mestiere serve a raccontare con professionalità storie che possono essere comiche o drammatiche. L’idea che dovremmo privilegiare i film d’autore perché siamo di sinistra mi sembra una stupidaggine. Ho recitato per registi internazionali e mi sono sempre rifiutato di pensare come alcuni colleghi, che se un film non sfonda è perché non è stato capito. Forse sei tu che non ti sei fatto capire.
Un pregio e un difetto del cinema italiano?
Il difetto è dividere sulla lavagnetta i buoni e i cattivi, i bravi e i non bravi. Ricordo che quando entrai negli uffici della Titanus, la prima casa di produzione italiana, c’erano le locandine dei musicarelli, dei film di Totò, di Luchino Visconti e Michelangelo Antonioni. Non a caso ora il governo sta introducendo nuovi criteri di sostegno al cinema.
Il cinema italiano è romanocentrico?
È un’accusa esilarante. È come se dicessimo che il cinema americano è «losangelescentrico». I film di Paolo Sorrentino sono napoletani. Matteo Garrone ha raccontato i migranti africani, Mediterraneo ha vinto l’Oscar con una storia di guerra, Roberto Benigni è toscano.
C’è amichettismo anche nel cinema, il solito giro di attori e di registi?
Questa è una critica che serve ai giornali. Il cinema è nato a Roma, ma i registi e gli sceneggiatori sono romagnoli, milanesi, siciliani. Poi, siccome di soldi non ce ne sono e i produttori cercano di risparmiare, i film si fanno prevalentemente a Roma.
Quando vediamo i cast di Pupi Avati ci stupiamo perché recupera attori fuori dal giro?
Vogliamo dire, con tutto il bene che gli voglio, che Avati è «bolognesecentrico»? In America ci sono due poli produttivi, New York e Los Angeles, fine. Il criterio è uno solo: un film è bello o brutto, è interessante o no. Queste polemiche sono nate dalle film commission e dalla relativa distribuzione dei fondi. La prima film commission la proposi nel 1995 a Francesco Rutelli quand’ero consigliere comunale a Roma. Adesso ogni regione ha la sua film commission.
Prima consigliere comunale, ora membro della segreteria Pd del Lazio: mai pensato di impegnarsi seriamente in politica?
Me l’hanno chiesto, ma ho cercato di non rovinarmi la vita. Vivo il mio impegno come un volontariato perché mio padre è stato partigiano, combattente e internato a Mauthausen. Così, ho pensato di dare una mano anch’io.
Da romano come giudica l’amministrazione del sindaco Roberto Gualtieri?
Diciamo che potrebbe essere migliore.
Se dovesse dare un consiglio affettuoso a Elly Schlein cosa le direbbe?
Che abbiamo bisogno di persone che parlino al cuore della gente. Allora lei dovrebbe preoccuparsi meno del giudizio del salotto di Capalbio e di più di ciò che pensa chi vive nelle periferie.
Panorama, 10 aprile 2024