L’asso nella manica della Rai: Mina a Sanremo

Il succo è questo. Mentre i dirigenti Rai sono alle prese con le tessere da rimpiazzare nel puzzle dei palinsesti e Urbano Cairo conta i risparmi del salvadanaio di La7, nella provincia televisiva italiana atterrano gli americani. La concorrenza, vien da dire, si fa un tantino più vivace. È la legge del libero mercato. Ma oltre che di risorse, un fattore tutt’altro che marginale, è questione di prospettive. Di orizzonti. Di ampiezza del pensiero. Forse è il caso di rimboccarsi le maniche e farsi venire qualche idea, come sembra stia avvenendo dalle parti di Viale Mazzini. Finora, con le piattaforme over the top c’era poco da duellare. Anche con loro il confronto era ìmpari. Ma, in fondo, si rivolgevano a segmenti di pubblico minoritario. I ceti più abbienti, le classi medio alte. Adesso no, gli americani di Warner Bros. Discovery sbarcano nella televisione generalista. Perciò, è stato facile buttarla in politica. Lo smantellamento della Rai. L’estinzione del servizio pubblico. TeleMeloni fa scappare le star. Ecco Fiorello, Federica Sciarelli, Sigfrido Ranucci già incolonnati dai giornaloni dietro ad Amadeus, il cui approdo a Discovery è stato ufficialmente annunciato ieri (collaborerà alla realizzazione di nuovi formati per l’intrattenimento e condurrà un programma di access prime time, forse I soliti ignoti, e due di prime time: un’operazione da 100 milioni di dollari in quattro anni). E poi, rastrellando qua e là, Barbara D’Urso, Belen Rodriguez eccetera. Insomma, una pesca a strascico tra i volti noti più o meno irrequieti del villaggio provinciale. Non è finita. Il gruppo cui fanno capo Nove, Real Time, Eurosport e alcune altre reti, sta anche per aprire la nuova sede a Roma per lanciare il polo dell’informazione, acquisendo La7 o arruolando Enrico Mentana.

Allarmismo e toni apocalittici hanno riempito paginate e ramificato nell’infosfera. Con il solito retropensiero: il governo delle destre fa crollare persino gli equilibri dell’etere. Ma questa narrazione ha conquistato il record di smentite. Fiorello: «Nessuno mi ha chiamato, il mio contratto è solo con il divano». Warner Bros. Discovery: «Non c’è alcuna trattativa in corso da parte del gruppo per l’acquisizione del polo giornalistico di La7». Mentana: «Non vado da nessuna parte. Non ho difficoltà a dire che il mio contratto scade il 31 dicembre del 2024. Quindici giorni dopo compio 70 anni, cosa mi metto a fare?». Quanto all’apertura della nuova sede, nella capitale Discovery ha già i suoi uffici attivi e funzionanti. Infine, a proposito dell’acquisizione di altre star, la pesca a strascico non è nello stile del gruppo. Semmai si ragiona su un innesto o una nuova collaborazione a stagione. Così è stato in passato con Barbara Parodi, Maurizio Crozza, Roberto Saviano, Virginia Raffaele. E poi un anno fa con Fabio Fazio, l’arrivo che ha impresso la svolta alla strategia del gruppo perché gli ascolti di Che tempo che fa hanno dimostrato che sul pianeta della tv generalista c’è vita e hanno convinto i dirigenti a proseguire nella politica di espansione. Ma «non è la rivoluzione d’ottobre», è solo mercato, «e lo dobbiamo vivere laicamente», ha suggerito il solito Mentana in un’intervista alla Stampa nella quale ha scremato la schiuma militante dalle cronache del caso.

Tuttavia, soprattutto vista da Viale Mazzini, una questione di prospettiva e di rilancio della tv pubblica esiste eccome. A breve dovrebbe avvenire il passaggio di testimone tra l’amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi, si vedrà se semplicemente con uno scambio di ruoli. Si parla di un ritorno di Marcello Ciannamea alla distribuzione e di un accorpamento dell’Intrattenimento day time e prime time in un’unica super direzione, con il recupero alla gestione del prodotto di Stefano Coletta (scelta perfetta se si vuol rendere ancor più arcobaleno il palinsesto serale). Al di là di tutto, rimane sul tappeto la necessità di un progetto editoriale di ampio respiro. Come il caso di Amadeus insegna, le star non se ne vanno principalmente per una questione economica, ma perché cercano nuovi stimoli, nuove prove nelle quali cimentarsi. Per contro, non potendo vincere la guerra sul terreno dei cachet, la Rai dovrebbe provare a farlo sul fronte delle idee, dell’identità e dell’immaginazione. Nel 1987 quando in un colpo solo Pippo Baudo, Raffaella Carrà ed Enrica Bonaccorti migrarono a Canale 5, l’allora direttore generale Biagio Agnes chiamò Adriano Celentano affidandogli le chiavi del sabato sera di Rai 1. Chi c’era ricorda come andò. La Rai riconquistò il centro della scena e riprese a dettare l’agenda pubblica. Ma per farlo occorre un disegno editoriale. Che non è appena riempire le caselle lasciate vuote dagli abbandoni. Il problema di che cosa fare del Festival di Sanremo ci sarebbe stato comunque, anche se Amadeus fosse rimasto in Rai. Un conduttore di format preserale si può trovare. Un direttore artistico dopo cinque edizioni di successo con le ricadute sugli introiti pubblicitari, le case discografiche e la fruizione del pubblico giovane, è un filo più complicato. Serve un’idea, un guizzo, un colpo di teatro. Serve sparigliare il copione di un Festival a misura di disc-jockey ed emittenza radiofonica. Serve qualcosa che somigli all’irruzione di Celentano di oltre trent’anni fa. Nel 2019 l’allora amministratore delegato Fabrizio Salini aveva avuto la pensata giusta: Mina direttore artistico del Festival. Purtroppo non se ne fece nulla. Quando la signora della canzone italiana si disse disponibile a patto di avere carta bianca sullo spartito della manifestazione, i dirigenti Rai si dileguarono. Ecco. Pensare in grande vuol dire avere il coraggio di lasciare totale libertà di movimento all’artista più contemporanea di cui disponiamo. Un’artista che continua a studiare, ad ascoltare musica. Che, come dimostrano le collaborazioni della sua produzione recente, è aggiornata su tutte le novità della scena non solo italiana. Un’artista la cui (non) presenza all’Ariston sarebbe anche un grande colpo mediatico. In Viale Mazzini l’idea sta facendosi strada. Auguriamoci, stavolta senza retromarce.

 

La Verità, 19 aprile 2024