Hardy in Taboo? Il primo supereroe no global
E se James Keziah Delaney fosse uno dei primi eroi no global? Che te ne pare, Alberto?
Sì, ci può stare.
Ecco una breve lista di ragioni per le quali Taboo, protagonista il personaggio di Tom Hardy, era una serie molto attesa. È prodotta dalla Hardy Son & Baker, società di Tom e del padre Edward (Chips), commediografo. Tra i produttori c’è anche Ridley Scott. Lo sceneggiatore è Steven Knight, già autore e regista di Locke (oltre che di Peaky Blinders) interpretato da Hardy, il film che nel 2013 avrebbe dovuto vincere la Mostra di Venezia se non fosse stato trovato a selezione già chiusa. Il cast annovera Oona Chaplin, Jonathan Price e Michael Kelly tra gli altri. È trasmessa da Bbc One in Gran Bretagna, da FX in America e da Sky Atlantic in Italia. La società di Hardy ci ha investito 10,4 milioni di sterline (12,7 milioni di euro) ed è già prevista la seconda stagione.
Siamo nella Londra del 1814 dove, per assistere al funerale del padre Horace, fa inaspettatamente ritorno James Keziah Delaney. La fama di girovago maledetto, conquistata in anni vissuti tra i selvaggi dell’Africa e del Sud America, non lo aiuta a integrarsi. E meno ancora lo aiuta l’eredità ricevuta della Baia di Nootka, una striscia di terra al confine tra Canada e Stati Uniti, strategica per i traffici della Compagnia delle Indie orientali, le mire espansionistiche dell’Impero britannico, il controllo del territorio dell’America. Da qui si dipana la trama di questa storia cupa, violenta e discretamente ambiziosa. Un dramma storico che punta sulla cura estetica, le ambientazioni e la presenza catalizzatrice di Hardy.
Alcune critiche hanno sottolineato la troppa carne messa al fuoco, parte della quale potrebbe non arrivare a cottura. L’intrigo famigliare, il rapporto incestuoso con la sorella Zilpha (sarà questo il tabù?), l’esoterismo, i conflitti geopolitici ed economici, il razzismo. Tutto in un’atmosfera tenebrosa. Dopo quattro episodi proviamo a decifrarla.
Io credo che il filo conduttore sia chiaro, osserva Alberto. C’è un uomo solo contro tutti: la potente Compagnia delle Indie, la Corte inglese, l’America. Poi ci sono la passione per la sorella e il figlio abbandonato.
Sembra quasi una storia no global. In fondo, la Compagnia delle Indie è stato un grande progetto di Ordine mondiale. Un agente del capitalismo. Siamo a Londra, ma si parla di un pezzo di terra tra Canada e America che vediamo solo nel mappamondo.
Una striscia di terra importante come porta d’accesso per i commerci con la Cina. E lui ha vissuto in Africa e Sud America.
È un uomo spaventoso, che si difende da solo dai poteri forti.
Si difende per tenersi ciò che il padre gli ha lasciato.
A sorpresa. Perché tutti lo davano per morto.
Invece il tatuaggio che ha sulla schiena vuol dire: torna a prenderti ciò che è tuo.
Sembra quasi un supereroe, che usa la stregoneria, presente i pericoli, domina l’emotività della sorellastra per giocare la sua partita contro tutti. Uno sciamano violento, dal passato e dal cuore di tenebra. Questa è la parte che mi convince meno.
A me invece piace. C’è una dimensione magica ed esoterica. Delaney ha delle visioni oniriche che lo rimettono in contatto con la madre e col passato. È importante anche la sua origine mista, il padre inglese e la madre indiana.
Un supereroe dell’Ottocento, mezzosangue e no global. Non male come storia.
È così.
Bella l’ambientazione e i costumi, il cappottone e la tuba di Delaney. E scelti bene anche gli altri personaggi.
Sì, bella Londra. Anche se le location sono poche, la corte, la sede della Compagnia, il bordello, la sua casa. Ci sono alcune analogie con Frontiera (prodotta da Discovery Channel e Netflix), ambientata sul finire del 1700, tra Canada e America, in cui il protagonista, metà americano e metà irlandese, combatteva contro il monopolio della Compagnia della Baia di Hudson nel commercio delle pelli. Qui invece si parla di the e polvere da sparo.
i caverzan