Pif e l’Italia dal punto di vista del marziano
E chi se lo ricordava Carlo Palermo, alla cui vita la mafia attentò nel lontano aprile 1985? E chi se la ricordava la strage di Pizzolungo, nella quale, al posto del magistrato, persero la vita tre persone innocenti, che viaggiavano casualmente nella loro macchina tra l’autobomba allestita da Cosa nostra e la vettura di Palermo e della scorta. Una storia completamente dimenticata, messa al centro della puntata d’esordio di Caro Marziano, la striscia serale ideata e realizzata da Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, (Rai 3, lunedì-venerdì, ore 20.30, share del 7,3%). In fondo, l’idea è semplice: una videolettera indirizzata a un alieno per raccontare il nostro Paese, magari partendo dai suoi angoli meno noti. Una sorta di escamotage linguistico dal sapore vintage. Quante volte ci siamo detti, anche nelle redazioni dei giornali, «se provi a spiegare questa faccenda a un marziano o al primo passante per strada ci metti un’ora». Pif c’impiega i 12 minuti di un video realizzato con telecamerina e poi rimontato, che si conclude con un appello al marziano del protagonista della storia.
Il nuovo viaggio in Italia parte, dunque, dalla strage di Pizzolungo, paesino in provincia di Trapani, altra città rimossa dalle cronache nazionali. Per farlo ha chiamato Margherita Asta, figlia della donna e sorella dei due gemellini, tutti morti nell’attentato. Senza cedere alla commozione Margherita ha ricordato quella giornata e il favore del destino che le permette di farlo: quel mattino i suoi fratelli stavano litigando sui vestiti da indossare, così lei, per non tardare a scuola, usufruì del passaggio di una vicina di casa. Una volta giunta in classe, fu chiamata dalla professoressa e riaccompagnata a casa. S’incaricò la zia di comunicarle l’accaduto. Il padre, invece, lo apprese ancora dopo. Insieme andarono sul luogo dell’attentato e, sul muro di un palazzo ben distante dal luogo dell’esplosione, Margherita vide la macchia di sangue dei suoi famigliari, dilaniati dall’autobomba. Oltre un anno dopo il padre si risposò, dando una nuova madre a Margherita, ma provocando una disapprovazione dei paesani superiore a quella per la strage mafiosa. Pif alterna al racconto in presa diretta le immagini dei telegiornali dell’epoca, riuscendo a non perdere in leggerezza, ma al contempo, senza nulla togliere alla drammaticità della vicenda. Confermando uno stile documentaristico stupito e disincantato, lontano dall’architettura ideologica di Michele Santoro e dalla retorica dell’impegno civile di Roberto Saviano. Ci si augura che, con la scusa d’illustrare qualcosa ad un altro, riusciamo a capirla meglio anche noi.
La Verità, 5 maggio 2017