«La letteratura non è Calvino e Baricco»
Colpisce il tono di voce. Pacato, quasi dimesso. E poi lo sguardo affabile, tra i capelli e la barba bianca. Antonio Moresco, settant’anni, mantovano di nascita e milanese d’adozione, mi accoglie nel sottotetto che gli fa da studio in Porta Romana. Un posto semplice, scaffali di libri e una scrivania con vista alberata, dove si ritira, eremita della parola. Uno tra i più irriducibili e incendiari scrittori italiani, autore di romanzi estremi che hanno diviso la critica tra bluff assoluto e superamento di Dostoevskij, nonché di saggi contro l’intero sistema editoriale, ha una voce e una gentilezza inusuali. Zero sussiego e zero narcisismo. Questo tono calmo fonde anni di seminario, dislessia, ripetute bocciature scolastiche, militanza nell’estrema sinistra al confine con la lotta armata, lavori come facchino e operaio d’altoforno, 15 anni di rifiuti prima dell’esordio, quarantacinquenne.
L’ultimo libro, L’adorazione e la lotta (Mondadori), è un atto d’amore per la letteratura e un atto d’accusa per la casta degli intellettuali?
«È un atto d’amore per la letteratura come la intendo io più che per la sua idea corrente».
Che sarebbe?
«Un’idea al ribasso. Che non contempla quel carattere d’invenzione, di rottura e di profezia che ha sempre accompagnato la letteratura e che è ciò che me la fa amare. Di conseguenza, il mio è anche un atto di lotta nei confronti di chi, in particolare dalla seconda metà del Novecento, vuol portare giù le cose, teorizzando che è impossibile volare alto».
I suoi scritti sono stati a lungo respinti. La denuncia nei confronti dei «gruppi d’intellettuali canonizzatori, schematizzati e ideologici» è una rivalsa?
«È un’esperienza che ho vissuto sulla mia pelle. Non ci sono arrivato con il cervello, ma con altre parti del corpo. Questo dovrebbe aggiungere e non togliere verità a un’affermazione».
Che cosa accade in uno scrittore quando patisce tanti rifiuti?
«È stata una via crucis di 15 anni. Ma la mia dedizione alla letteratura era così forte che, pur soffrendo, resistevo; come uno che prende un sacco di cazzotti, ma non va per terra. Non mi passava nemmeno per la testa di gettare la spugna. I verdetti dei sacerdoti canonizzatori hanno rafforzato la mia vocazione».
La sua predilezione è per i classici e per certi libri rimossi. Qual è il criterio, se ce n’è uno?
«Le preferenze sono istintive, ma gli scrittori e i poeti che amo sono persone che fronteggiano il mondo e il male del mondo. Leopardi, Cervantes, Tolstoi, Dostoevskij, Balzac, Melville, Kafka, Celine non hanno paura di prendere di petto le cose che contano. Sono autori sonnambulici, perché attingono anche a risorse sotterranee, che permettono loro di vedere la parte in ombra, il buio».
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