La partita nel retropalco dell’Ariston
E se il Festivalone di Conti finisse per salvare la poltrona di Giancarlo Leone? Difficile, difficilissimo: certo. Ma mica male come effetto collaterale. Dopo il successo dell’edizione dell’anno scorso, il direttore di Raiuno ha fatto una corte spietata al presentatore fiorentino amico di Renzi (senza certi impegni istituzionali il premier sarebbe stato padrino al battesimo del primogenito di nome Matteo) perché bissasse conduzione e direzione artistica della kermesse. Da quel che si è visto dopo le prime serate, bisogna riconoscere che ha avuto ragione lui. Sanremo funziona, si fa seguire, sta nei limiti. Magari non eccellerà in innovazione. Però è godibile.
Da settimane sui giornali è in corso il totonomine per la direzione di Raiuno (e non solo). Prima di sbarcare a Sanremo, l’unica certezza conclamata era che sarebbe stato l’ultimo Festival targato Leone. Difficilissimo se non impossibile metterla in discussione. Però il quasi cinquanta per cento della prima serata, persino incrementato nella seconda, è un risultato non facilmente ridimensionabile. Cambiare per fare peggio non è mai una bella idea. Hai visto mai che il concorso per la casella d Raiuno in atto in Viale Mazzini, retropalco dell’Ariston, si risolva in una conferma di @giankaleone? Missione pressoché impossibile. I nomi dei candidati girano vorticosamente, dopo il diniego di Paolo Ruffini, contattato già in dicembre da Campo Dall’Orto ma, come ha precisato al Corriere della Sera, dichiaratosi non disponibile perché non vuole “lasciare a metà” l’esperienza di Tv2000 da poco iniziata (figuratevi gli strepiti in caso contrario: la Cei si prende Raiuno…). Altri nomi: Ilaria Dallatana, già fondatrice e amministratore delegato di Magnolia, incarico da cui si è recentemente dimessa. Angelo Teodoli, promosso da Raidue, dove ha ottenuto buoni risultati. Eleonora Andreatta, spostata dalla direzione della Fiction. E poi, a prescindere di chi toccherà, Leone appare già destinato al coordinamento dei palinsesti al posto di Antonio Marano che ha chiesto di tornare a Milano.
In questa situazione e con tante pressioni, portare a casa un buon Festival è tutt’altro che scontato. Conti non ha certo la carica da showman di Fiorello, né l’ambizione chic di Fabio Fazio, doti che all’Ariston possono rivelarsi limiti (cfr. l’enfasi sulla bellezza che infiacchì l’ultima prova di FF, oppure il ripetuto diniego di Fiorello con la motivazione che presentare una gara canora è diverso dal fare un varietà). Conti è invece un professionista che, al timone dell’evento esibisce qualcosa di meglio e di più del suo standard abituale. Per esempio, un grado di scrittura e una “narrazione” apprezzabile, come dimostrano le storie italiane che contrappuntano lo show (lo sprinter centenario, la classe di due alunni, il commovente pianista Ezio Bosso). È un professionista che sa mettere a frutto la conoscenza della macchina Rai, senza la quale non si convocano e si gestiscono senza polemiche star come Elton John e Nicole Kidman. È uno che sa dirigere il copione: Virginia Raffaele promossa co-conduttrice pur in veste di spalla comica (strepitosa Carla Fracci più della Ferilli; farà o no la Boschi?), l’assegnazione dei ruoli di valletti agli ornamentali Gabriel Garko (occhio alla grammatica) e Madalina Ghenea. Certo, niente voli sperimentali. E una gara che, con i soliti habitué (Dolcenera, Neffa, Ruggeri) sembra il torneo finale di tutti i talent, con l’unica assenza di The Voice (copyright Carlo Freccero per davidemaggio.it). Infine, una quantità modica di contemporaneità. Ma comunque un buon Festival, ben confezionato e con tutto quello che ci si aspetta.
Praticamente impossibile che possa salvare Leone. Anche perché spuntano altri nomi, che rispettano i criteri adottati da Dall’Orto e Maggioni nella scelta dei nuovi dirigenti. Primo, pescare all’esterno per rompere consorterie e vincoli dettati dalla lunga militanza aziendale: in calo le quotazioni di Andreatta e Teodoli. Secondo, non pescare professionisti di area renziana, per evitare le accuse di lottizzazione governativa che già imperversano: improbabile la scelta di Simona Ercolani, deus ex machina della Stand by me ma anche regista via whatsapp dell’ultima Leopolda. E allora? Allora potrebbe essere il momento di Dallatana. Oppure di Francesca Canetta, che prima di passare a Discovery, ha lavorato a lungo al suo fianco in Mediaset e in Magnolia di cui, con Giorgio Gori, fu tra i fondatori.