L’autore Veltroni vive nella bolla del Novecento
C’è un esercizio della memoria che si dimostra utile a buttarci dentro la sfida del tempo presente. Perché fornisce spunti, precedenti, citazioni, chiavi di lettura per interpretare quello che viviamo nell’oggi. E c’è un ricorso al passato che alimenta prevalentemente nostalgia e rimpianti. Da quando ha scoperto la miniera delle Teche, portentoso archivio storico di immagini e programmi, la Rai non fa che sfornare documentari e rubriche che fanno abbondante uso di quelle immagini. Abbiamo visto di recente l’omaggio a Mina e Celentano su Rai 1, dove il bianco e nero era la parte più rock della celebrazione. Vediamo, soprattutto d’estate, l’antologia di Techetechetè riempire mezz’ora dopo il Tg1 per divertire il pubblico in attesa della prima serata. Forse, in materia, il tentativo più riuscito è stato quello realizzato già oltre una decina d’anni fa, da Edmondo Berselli per la Rai 2 di Antonio Marano, nel quale il repertorio Rai era vivificato dalle sue fulminanti digressioni e dagli innesti di nuove testimonianze. Da lunedì, in seconda serata, va in onda Gli occhi cambiano, ciclo di sei documentari firmato da Walter Veltroni che, dopo i modestissimi ascolti di Dieci cose nel sabato sera di Rai 1, ha ottenuto questo nuovo spazio diviso in altrettanti temi dedicati al Sapere, Ridere, Amare, Cantare, Immaginare, Tifare. Così, l’autore Veltroni si è immerso in questo mare d’immagini, tentando di riannodare i fili della memoria, un passato dal quale «estrarre ciò che mi è sembrato meglio potesse raccontare i mutamenti del vivere e del pensare, del costume e del consumo culturale, dell’amare e del sorridere». È la televisione stessa la protagonista di questo viaggio a ritroso, citata attraverso gli attrezzi del mestiere – una cinepresa, un riflettore – motore del cambiamento e dell’emancipazione del Paese dalla guerra e dall’Olocausto, attraverso la ricostruzione, il boom economico, fino agli anni Settanta, il tutto visto attraverso il meglio del giornalismo televisivo, le inchieste di Sergio Zavoli, Mario Soldati, Enzo Biagi, Andrea Barbato, Piero Angela. Veltroni intervalla alle domande dei grandi inviati le sue riflessioni accorate, tentando di riportare nel presente il cuore del passato. Ma la sensazione è che questa memoria sia troppo immersa in una bolla sentimentale e moraleggiante ferma a formule tipiche del Novecento. Una memoria che può essere buona per un viaggio esistenziale alla ricerca del padre, ma è di certo meno efficace nel fornire chiavi d’ingresso in un tempo che, tutt’altro che sentimentale e moraleggiante, è crudo e scandaloso. Di sicuro la nuova Rai non nasce dalle nostalgie di Veltroni.
La Verità, 28 dicembre 2016