La serie su Avetrana specchio delle morbosità
È la piaga della morbosità quella da cui ramificano le aberrazioni narrate nella serie su Avetrana (anche se non si può dire). La morbosità nelle sue varie sfaccettature e declinazioni. Le più abiette, le più sottili e le più ipocrite. Non ci sono due linguaggi nella trama costruita dal regista (Pippo Mezzapesa) e dagli sceneggiatori (Antonella Gaeta, Carmine Gazzanni, Flavia Piccinni e Davide Serino) di Qui non è Hollywood, prodotta da Disney e Groenlandia di Matteo Rovere e visibile su Disney+. La miserrima gente del posto e i giornalisti e i turisti che vengono da fuori, e si presumono più distaccati, sono trattati con lo stesso metro. La morbosità tormenta gli autori della ferocia su Sarah Scazzi e serpeggia nei tinelli fatiscenti del paesino. Ma istiga anche gli operatori della comunicazione che ne assediano le viuzze scalcinate, e alimenta il voyeurismo dei turisti dell’orrore che, a frotte, visitano i luoghi del degrado quando ancora s’ignorano le sorti della vittima. Un senso di potente desolazione, di oscenità, di scandalo della meschinità fa da cornice a un delitto riproposto nella sua inenarrabilità e inespiabilità. Mezzapesa suddivide la storia in quattro episodi, uno per ogni protagonista, mettendo al centro la voglia d’amore di Sarah (Federica Pala), la gelosia cieca di Sabrina (Giulia Perulli), la fragilità del finto mostro Michele (Paolo De Vita) e il cinismo mammone e limaccioso di Cosima (Vanessa Scalera). Altrettanto solide sono le figure del maresciallo Persichella (Antonio Gerardi), del Pm Giove (Geno Diana) e della madre di Sarah (Imma Villa). No, non siamo a Hollywood. Ma quanto a interpretazione, forse in un posto migliore se gli attori sono così credibili da sembrare presi dalla strada, dando alla fiction, che tale resta, l’ambizione e la profondità del documento. La descrizione della piaga purulenta che genera l’atrocità e il racconto dell’ignoranza e della superstizione che gli fanno da cornice, al punto che i Testimoni di Geova della mamma di Sarah sembrano i più razionali, procedono in equilibrio, contrappuntati dagli zoom sul brulicare di enormi formiche nella terra secca.
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La serie Hanno ucciso l’uomo ragno di Sky Atlantic è la rivelazione della stagione oltre che per gli ascolti anche per la freschezza, dovuta dall’assenza d’infarinature ideologiche, e per la nostalgia degli anni Novanta, ultimo decennio senza Web, social e ansia relativa. Peccato solo per il ritratto ingeneroso di Claudio Cecchetto.
La Verità, 3 novembre 2024