Painkiller serie esemplare sul potere di Big pharma

A metà tra racconto reale e finzione, Painkiller è la serie del momento. Da settimane ai primi posti della classifica Netflix, si basa su eventi tragici accaduti tra la fine del secolo scorso e il 2019, causati dalle massicce e scriteriate prescrizioni di Oxycontin, poderoso antidolorifico che, con la complicità dei medici e del sistema sanitario americano, la potente Purdue pharma faceva somministrare massicciamente. Basato sul principio attivo dell’ossicodone, oppiaceo a rilascio prolungato destinato ai pazienti oncologici, si tratta di un farmaco che dà dipendenza e, secondo alcune stime, negli Stati Uniti avrebbe causato in un ventennio la morte per overdose di 500.000 persone.

La scena iniziale della miniserie, sei episodi introdotti da brevissime testimonianze di parenti di persone morte a causa dell’Oxycontin, è un piccolo capolavoro. Si vede Richard Sackler svegliarsi disturbato dal suono intermittente ma costante di un sensore dell’impianto antincendio della sua sontuosa residenza. Mentre, a contrasto, parte The sound of silence di Simon & Garfunkel, Sackler si alza, scende le scale e si avvicina al sensore colpevole nell’intento di farlo tacere.

Quell’alert sonoro accompagnerà in sottofondo l’intero svolgimento della storia. È l’avvertimento che qualcuno – magistrati, investigatori, giornalisti – si sta accorgendo di qualcosa di strano nella campagna di vendita del miracoloso antidolorifico? È il pungolo implacabile della coscienza che non accetta le manovre architettate dall’azienda e dai suoi collaboratori per evitare la bancarotta e, anzi, alimentare il potente flusso del profitto?

Magistralmente interpretato da Matthew Broderick, Richard Sackler è il fratello minore di Arthur, psichiatra mancato e geniale ideatore del boom del marchio di famiglia, a sua volta nota nell’alta società per le attività filantropiche e nel campo museale. Il segreto del successo è tutto nella promozione e commercializzazione del medicinale, argomenta il vecchio Arthur, continuando a forgiare le azioni del fratello anche dopo morto. Ma, in fondo, Richard è già malvagio di suo.

Che la potenza del marketing sia fondamentale nell’affermarsi dell’azione di Big pharma lo abbiamo visto durante la pandemia, apprendendo i vari modi attraverso i quali riesce a godere dell’influenza decisiva della politica. Qui vediamo dall’interno il dispiegarsi della macchina da guerra degli informatori medici, venditori cresciuti a colpi di training motivazionali ben oliati. Anche i medici più riluttanti cadono davanti alle promesse di ricchezza e alle moine delle venditrici. La vecchia lettera di un medico che accennava a effetti dannosi solo nell’1% dei casi viene spacciata per uno studio scientifico inconfutabile. Così le farmacie sono prese d’assalto, i dosaggi lievitano, le pasticche vengono frantumate. E le vite finiscono letteralmente in polvere. Mai ammettere alcuna violazione, mai incolparsi di alcun illecito, è l’imperativo del capo. Lo scoglio principale è ottenere l’approvazione della Fda (Food and drugs administration), soprattutto se ci si trova davanti un funzionario particolarmente scrupoloso. Ma anche in questo caso rigore e intransigenza capitolano davanti a favori e promesse. In fondo, dietro sigle ufficiali e altisonanti ci sono sempre persone in carne e ossa, più o meno integerrime, più o meno fragili. Un po’ come quando, a proposito del Covid, abbiamo saputo che la potente e asettica Organizzazione mondiale della sanità è finanziata, tra gli altri, da alcune multinazionali farmaceutiche o dai marchi digitali che fanno capo a Bill Gates.

Mentre la Purdue pharma scarica le colpe delle morti che si susseguono sull’abuso dei tossici e le famiglie ne sono dilaniate, le indagini incalzano e le commissioni d’inchiesta avanzano. Alla fine la famiglia Sackler sarà costretta a cedere l’azienda e a pagare un pesante risarcimento per qualcosa che, in realtà, è irrisarcibile.

Intanto il sensore dell’allarme continua a violare il suono del silenzio.

 

La Verità, 27 agosto 2023