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Fazio, Annunziata e la favola fasulla di TeleMeloni

Ci sarà stato anche un certo «livore», dovuto a vecchie ruggini geopolitiche (Salerno, il Manifesto e Servire il popolo) nell’esternazione di Michele Santoro a DiMartedì rivolta a Lucia Annunziata, presidente Rai in èra berlusconiana, e a Fabio Fazio… e va bene, ci sarà stato. Spiace, però, che abbia prodotto «tristezza» in Aldo Grasso e, in seconda battuta, la reprimenda sulla prima del Corrierone di Massimo Gramellini, già spalla di EffeEffe a Che tempo che fa e ora in procinto di migrare a La7 (sempre gruppo Cairo). Livore e tristezza… Oltre gli stati d’animo, sono fatti concreti quelli espressi da fior di professionisti su ciò che si muove nella Rai orfana di Fazio e Annunziata: «Due signori professionisti che, per ragioni personali se ne sono andati», ha osservato ieri Giovanni Minoli, intervistato dal Corriere della Sera. «Il primo aveva una trattativa in corso da mesi. La seconda va via perché non è d’accordo con questo governo: ma se è stata direttore di rete con qualsiasi governo e presidente Rai con Berlusconi premier!». Uno a zero e palla al centro.

Per la verità, ormai siamo alla goleada anti-martiri della presunta TeleMeloni. In questi giorni, sulle grandi testate è in voga un nuovo gioco: le migliori firme offrono l’assist dell’indignazione per l’incombente dittatura e la cacciata dei migliori, ma finiscono per infilare l’autogol. Prima di Antonella Baccaro con Minoli, due giorni fa ecco Andrea Malaguti intervistare Piero Chiambretti: «La Rai si sta impoverendo?», gli ha chiesto il vicedirettore vicario della Stampa. Risposta: «Tutto può essere. Ma, da quello che leggo, chi se n’è andato lo ha fatto per scelta. Non è stato cacciato nessuno. E nessuno è rimasto disoccupato. Mi sembra difficile parlare di censure». Chi sa come gira il fumo nella Telerepubblica vede oltre le narrazioni di comodo. Ospite di Giovanni Floris, anche Marco Travaglio ha strappato il sipario: «Bisognerebbe almeno seguire la consecutio temporum. Uno per farsi cacciare dagli attuali vertici della Rai messi lì dalla Meloni avrebbe dovuto almeno aspettare che si insediassero e vedere se lo cacciavano o no. Ma se te ne vai prima, come fai a dire che ti hanno cacciato… Infatti, Fazio è stato onesto… (salvo continuare a lagnarsi in tutte le sedi…). E l’Annunziata? Il suo programma era stato confermato…», nonostante lei non condivida «niente di questo governo». «Allora dovevi rimanere per lottare dall’interno. Se te ne vai, te ne sei andata», ha scandito Fiorello nel suo imperdibile Viva Radio 2 prima di chiudere, sibillino: «Che poi tutto questo andare via, bisogna capire da dove arriva». Oltre gli stati d’animo c’è di più.

 

La Verità, 2 giugno 2023

L’afflizione democratica per la Rai di Lilli e Corrado

C’è molta preoccupazione a La7 per la libertà della Rai. Le nuove nomine e gli abbandoni di Fabio Fazio e Lucia Annunziata hanno gettato i volti noti della tv di Urbano Cairo nell’afflizione più profonda. È un’afflizione democratica, ovviamente, per le privazioni di cui saranno vittime i telespettatori che pagano il canone. Non una preoccupazione editoriale perché, di solito, quando un concorrente s’indebolisce, ci si frega le mani. No: dalle parti di Otto e mezzo e Piazzapulita è tutto un interrogarsi e macerarsi per il degrado della democrazia perpetrato dalle nomine appena licenziate dal Cda Rai. Venendo al sodo, giovedì è andata in onda la maratona dell’indignazione per l’avvento di Tele-Meloni. Fresca di trasferta in quel posticino simbolo di trasparenza e pluralismo che è il meeting di Bilderberg, Lilli Gruber ha dispensato il suo verbo democratico intervistando Giovanna Vitale di Repubblica e l’ex presidente della Rai Roberto Zaccaria, angosciati per l’incombere della dittatura. Sì, è vero, la lottizzazione c’è sempre stata, ma quando la faceva lui, Zaccaria, il lupo abitava con l’agnello e il leopardo giaceva col capretto. Ci è voluto il solito Marco Travaglio per evidenziare l’ipocrisia delle lamentazioni. Soprattutto quelle di fonte dem perché, a conti fatti, con le nuove nomine Fratelli d’Italia ottiene cinque caselle, la Lega sette, il M5s tre, mentre il Pd ne mantiene nove (Mario Orfeo al Tg3, Stefano Coletta ai palinsesti, Simona Sala a Radio 2, Silvia Calandrelli a Rai Cultura, Elena Capparelli a RaiPlay, Paolo Del Brocco a Rai Cinema, Andrea Vianello a San Marino tv, Maria Pia Ammirati a Rai Fiction e Luca Milano a Rai Kids). Eppure la consigliera Francesca Bria, issata in Cda dall’ex ministro Andrea Orlando, ha votato contro alzando alti lai di protesta. Insomma, quello che si dice avere la botte piena e la moglie ubriaca. Un gioco di prestigio che, quando si tratta della tv di Stato, al Pd riesce sempre facile. Come ha confermato di lì a poco la segretaria del partito Elly Schlein parlando di «occupazione a spallate della Rai» una volta che il testimone della maratona è passato nelle mani di Corrado Formigli. Il quale, in lutto per Lucia Annunziata costretta alle dimissioni perché processata a causa di una parolaccia, ha sorvolato sul fatto che il suo Mezz’ora in più era già stato rinnovato per la prossima stagione. È così: un certo giornalismo stenta a metabolizzare il nuovo scenario fornendo versioni scomposte, tinte di preoccupazione democratica. Magari perdendo la memoria sui fatti di casa propria. Quando un aggiornamento su Massimo Giletti?

 

La Verità, 27 maggio 2023

Guida semiseria alle prime elezioni col fantasma

Le premesse sono chiare: andrà tutto male. O bene, dipende dai punti di vista. Quella che è appena cominciata è la campagna elettorale più anomala della storia repubblicana. Una campagna con alcune prime volte e parecchi déjà vu. Vediamo una a una le variabili che incombono nei prossimi due mesi di calendario con vista sul 25 settembre, cominciando dagli elementi inediti.

Campagna tropicale Non era mai accaduto che la caccia all’elettore si svolgesse con il solleone. Siccome le disgrazie non vengono mai da sole, ad alzare la temperatura di un confronto già febbrile di suo in qualsiasi stagione dell’anno, stavolta si aggiungono anche le temperature record dell’estate più torrida dell’era moderna. Troveremo militanti che ci vogliono convincere a scegliere la parte giusta in spiaggia, nei rifugi di montagna, nei traghetti per le isole. Troveremo volantini e santini elettorali nel b&b e nei chioschi dei pedalò. Conquisterà il voto chi offrirà la granita migliore.

Pd b&b Bellicista e banchiere. Tra le prime volte della campagna in corso c’è l’inedito posizionamento del partito scarrozzato da Enrico Letta, il segretario più innovativo di sempre. Il Pd infatti è tutto cambiato. Irriconoscibile? Ma no, è finalmente libero dalle zavorre della tradizione. Basta con le pedanterie del pacifismo, meglio un bel elmetto e una mimetica griffata Ispi. Idem per la difesa dei lavoratori e dei ceti deboli, che appartengono all’archeosinistra. Ai tempi del Covid si portano di più banche e banchieri. Quella per SuperMario non è una sbandata, una cotta passeggera. Il feeling tra i dem e le banche viene da lontano, ricordate Carlo Padoan presidente di Unicredit? Con Draghi è solo salito a Palazzo Chigi. Per restarci? Sarebbe lui il perfetto candidato premier del campo-largo-meno-5stelle. Se no, a spoglio ultimato partirà la processione verso Città della Pieve per convincerlo a tornare in sella. L’Umbria è regione di santuari…

Con il fantasma E qui ecco un altro inedito: le elezioni fantasy. Un banchiere si aggira per la campagna. SuperMario c’è o non c’è? Gioca con noi o si nasconde? Lo si nota di più se si candida ma resta in disparte, o se non si candida e lo si deve supplicare molto? Dai Mario salvaci tu. Nell’attesa ci si può sempre rinfrescare con l’Agenda Draghi. Cioè il draghismo senza Draghi. Che, se non è efficace proprio come un condizionatore, almeno ci illude quanto un ventilatore.

Passiamo ora alle variabili note e già attive o in procinto di esserlo.

Allarme democratico Il tasto on è già stato premuto. Il fascismo è alle porte. L’onda nera. Le «nubi nere» all’orizzonte. I nazisti e il passato che non passa. Lo scrivono anche i giornali stranieri che di sicuro hanno fonti attendibili e al di sopra delle parti. Per non parlare dei giornaloni italiani. Del resto Giorgia ha un cognome con la stessa iniziale di Mussolini. L’abiura non ha mai convinto. «Il fascismo male assoluto»: Gianfranco Fini sì, era un vero compagno. Invece Giorgia M. figlia del secolo ci riporta in braccio ai militanti di Forza nuova, le SS del Terzo millennio. Mica come quei bravi ragazzi del battaglione Azov.

Papa straniero Caccia al. È un gioco di società dei fogli di riferimento, vediamo chi ha l’idea giusta. Nomi a caso del passato: Nanni Moretti, Roberto Saviano, Liliana Segre… Adesso si parla di Maurizio Landini e di Luigi De Magistris. Ma il più cool è sicuramente Beppe Sala, con il suo «modello Milano». Città di single e aperitivi. Le famiglie sono così esigenti, signora mia, meglio se stanno in periferia. Beppe potrebbe essere l’uomo giusto del grande rassemblement che accelera la svolta green e promuove l’agenda Lgbt sdoganando le adozioni per le coppie gay. Monopattini e calze arcobaleno. Indossando dei bermuda viene anche meglio. E la guerriglia tra nordafricani in Stazione centrale? Ma quella è già pevifevia, noi vinciamo nel centvo stovico.

Liti a destra Puntuale come a ogni tornata elettorale, va in scena la rissa sulle liste e sul candidato premier. Non ci s’inventa campioni di autolesionismo da un giorno all’altro. La premiata ditta Giorgia-Matteo-Silvio non si smentisce mai. Se poi ci si aggiunge anche Antonio (grisaglia) Tajani… L’ultimo ballottaggio a Verona fa da memento. E come dimenticare la non candidatura di Guido Bertolaso a Roma? Però per il 25 settembre si può fare di meglio. Il premier lo deciderà, con regola cristallina, il partito della coalizione che prenderà più voti? O, per impapocchiare tutto, lo decideranno i parlamentari eletti? E se lo decidessero i referenti europei di Fdi, Lega e FI? E i governatori di centrodestra, perché no? Perdere da favoriti è un’arte sopraffina.

Endorsement inattesi Giuliano Ferrara ha annunciato il suo voto per il Nazareno. Il Pd del ddl Zan, dei matrimoni gay, dell’utero in affitto, della cannabis legalizzata. È quel Giuliano Ferrara che nel 2008 si scatenò in difesa della vita inventando una visionarissima Lista pazza contro l’aborto? Pare di sì. Come si cambia quando c’è di mezzo la comune passione a stelle e strisce. Francesca Pascale invece ha annunciato che lascerà l’Italia se vinceranno i sovranisti. Chiara Ferragni e Gegia resteranno?

Inchieste della magistratura Ancora non pervenute. Ma date tempo. Perché in questi casi la tempistica è fondamentale. Per influire a dovere nelle urne, i provvedimenti devono smuovere un’onda emotiva. E, com’è noto, le emozioni durano lo spazio di un coito. Perciò vedrete che alla vigilia arriverà sicuramente qualcosa di sugoso. Tipo un’indagine per cessione di droga contro Luca Morisi. Do you remember?

Macchina mediatica Ai posti di comando. Lucia Annunziata ha rinunciato alla trasferta in Ucraina per montare la guardia democratica. Marco Damilano sta raggiungendo in anticipo la postazione della striscia quotidiana su Rai 3. Con grande abnegazione ci si riducono le ferie per garantire il servizio al momento del bisogno. Nella grande stampa tornano a martellare i veterani di tante battaglie. È vero, i giornali ormai non li legge più nessuno. Ma ci sono i tg e le maratone, le feste dell’Unità (senza il giornale) e i PremiStrega, i 100.000 volontari e le LucianeLittizzetto. Sommati, fanno la realtà parallela, praticamente una distopia. La bolla dei pesci rossi. Fatta di appelli di sindaci e interviste a Gianrico Carofiglio, di MonicheMaggioni e immancabili patti della Repubblica (non il giornale, o forse sì), di palingenetici piani green, transizioni ecologiche e climate change. E di cinghiali. Ma perché rovinare la narrazione con la dura realtà? L’unico dettaglio da sistemare potrebbe essere l’esito del voto. Ma, eventualmente, a impapocchiarlo ci penserà Sergione nostro, come al solito. Fulminante il post di GianniKuperlo su Twitter appena (auto)giubilato il Migliore: «Siamo pronti per perdere le elezioni e governare lo stesso».

Varie ed eventuali Inutile dilungarsi, già ci stanno deliziando. Allarme dei mercati, spread in rapida risalita, agenzie di rating, prelati e vescovi post-ulivisti, centri e centrini con la schiena dritta, ma la scoliosi del patto di desistenza inclinata a sinistra…

Andrà tutto bene o tutto male. Buona campagna a tutti.

 

La Verità, 26 luglio 2022

 

Gaffe e conformismo del palinsesto bellico unico

La copertina del Time con Vladimir Putin ritratto con baffetti alla Adolf Hitler sopra il titolo «The return of history» era perfetta per imbastire un dibattito con il corrispondente da Berlino, Rino Pellino. Figuratevi se Monica Maggioni se la faceva sfuggire. Peccato che si trattasse di un falso, l’ennesimo. Dopo rapide e concitate verifiche la direttrice del Tg1 ha dovuto chiedere scusa ai telespettatori dello Speciale di lunedì. Anch’esso, l’ennesimo. Per la Rai i primi giorni d’informazione sul conflitto russo-ucraino sono stati una débâcle. Esagerazioni, svarioni, gaffe clamorose. E ancora scuse. Come quelle di Lucia Annunziata e Antonio Di Bella, che han dovuto fare ammenda dopo il fuori onda che li ha beccati mentre descrivevano le ucraine residenti in Italia come «cameriere, badanti e amanti».
La fake war in onda su tutte le reti è frutto di diverse variabili. L’ideologia del pensiero unico democratico, innanzitutto. C’è una nuova bandiera sotto la quale schierarsi, una nuova emergenza planetaria, una nuova frontiera dove distillare parole d’ordine e dispiegare milizie. I tg sono monografici. Nei talk show il Covid è improvvisamente dimenticato e i virologi sono una categoria vintage, sostituiti dai consulenti diplomatici, gli analisti militari, gli esperti di geopolitica. Al posto dei bollettini sanitari imperversano le cartine dei Paesi baltici con i carri armati schierati. Invece dei servizi dalle terapie intensive vediamo aeroplani sfrecciare in formazione. C’è anche chi sdrammatizza, con effetti discutibili. Qualche sera fa ospite di Rete 4, si è visto l’ex generale e attuale presidente della Fondazione Icsa, Leonardo Tricarico, collegato dal salotto di casa con cagnolino in braccio. Ma generalmente, l’informazione televisiva è scesa in guerra, e l’Ucraina è il nuovo territorio di conquista di inviati e reporter. Ce ne sono sette del Tg1, quattro del Tg2 e uno del Tg3, e altri stanno arrivando in pullman da Roma al seguito di qualche cittadino ucraino che torna in patria. Nessuno però, nonostante il finanziamento del canone, è a Kiev e i collegamenti dalla capitale li fa Valerio Nicolosi, un giornalista di Micromega.

Insomma, ci si arrangia e il racconto è spesso approssimativo. Se la fonte principale è il web c’è poco da star tranquilli. In pochi giorni abbiamo visto videogiochi spacciati per combattimenti a Kiev, parate militari di due anni fa scambiate per minacciosi sorvoli russi nel cielo dell’Ucraina, esplosioni in Cina del 2015 presentate come bombardamenti notturni dell’aviazione di Putin. Come in una guerra di trincea, sminare le bufale è rischioso. Ne sa qualcosa la task force anti fake news della Rai, non a caso rimasta inoperosa per evitare un clamoroso autodafé. La seconda cattiva consigliera è la fretta che, come abbiamo visto, fa trascurare le verifiche. Altre cattive compagnie sono l’eccesso di enfasi e il protagonismo ipertrofico. Un giubbetto antiproiettile non si nega a nessuno. Ma alla drammatizzazione dei reporter non corrisponde ciò che mostrano le immagini. In assetto bellico per il Tg1 Emma Farnè racconta le code al bancomat a Severodonetsk, mentre Stefania Battistini, con un «Press» cubitale sull’elmetto, si sbraccia a pochi metri dai cittadini di Slovjansk che conversano tranquillamente. Al Tg2 si vedono militari con teleoperatori al seguito aggirarsi in mezzo alla folla che li ignora e continua a farsi i fatti propri. Il primato di enfasi è del telegiornale guidato da Maggioni, affetta da maratonite acuta. Già durante le elezioni per il Quirinale, la neo direttrice aveva manifestato sintomi di astinenza da video. Con l’esplosione della crisi ucraina e la deplorevole azione militare dell’autocrate russo, nulla l’ha frenata. Il palinsesto è liquido e Maggioni non perde occasione per protendersi a spiegare maternamente al telespettatore quello che, secondo lei, sta accadendo. Salvo perdersi il discorso di Joe Biden, il leader dello schieramento occidentale, che invece sarebbe stato utile ascoltare, se non altro  per confutarne le tesi.

Esercizio che, però, non sarebbe stato gradito. Mentre lo è il rimanere «allineati e coperti», come s’intimava durante il servizio di leva, appunto. L’altro giorno a Stasera Italia si son visti ospiti in contemporanea Giovanna Melandri, Marco Tronchetti Provera, Ferruccio De Bortoli e Giampiero Mughini. Se si alza il dito per eccepire si è annoverati come filoputiniani, antioccidentali. Anche i distinguo sono banditi. Un tempo erano i gauchiste i campioni del dubbio, del però e del nella misura in cui. Sulla guerra russo-ucraina di misura ce n’è solo una. Lo schema è lo stesso visto durante la pandemia. Porre domande significava essere no-vax. Ora condannare l’invasione dicendo al contempo che l’Occidente ha qualche responsabilità sulla situazione creatasi nello scacchiere est-europeo equivale a intendersela con il nemico. Ne sa qualcosa Marc Innaro, corrispondente Rai da Mosca da 15 anni, reo di aver citato l’allargamento della Nato verso i Paesi baltici come uno dei motivi della strategia di Putin. Una tesi che al Pd non sta bene. Della posizione di Innaro si discuterà in Commissione di vigilanza.

 

La Verità, 2 marzo 2022

Annunziata fa interviste, ma non le concede

Coerente con la sua formazione al Manifesto dove vigeva l’ugualitarismo salariale tra giornalisti e impiegati, Lucia Annunziata, ex presidente Rai, si è detta disposta ad accettare il controverso tetto di 240.000 euro annui di cui si sta discutendo da diverse settimane. Su un’altra questione la conduttrice di In mezz’ora cade in contraddizione. Richiesta di un’intervista in argomento, lei regina delle interviste, ha declinato: «Proprio perché so come sono, non ne faccio mai», ha detto.

«Casa Capuozzo» all’una di notte Sono una sorta di spin off di Terra!, il settimanale di Rete 4 condotto da Toni Capuozzo, i quattro reportage in cui, partendo dalla casa di famiglia in Friuli, lo storico inviato dei tg Mediaset prova a raccontare gli immigrati oltre i luoghi comuni «del boldrinismo e del salvinismo». Peccato che la prima puntata sia andata in onda all’una meno un quarto. Accorciare un po’ Quinta colonna che lo precede?

Renzi batte Casaleggio di 1 punto Il contraddittorio non è stato acceso né in un caso né nell’altro. A Otto e mezzo di Lilli Gruber, a far da contraltare a Davide Casaleggio nel suo esordio tv c’era Gianluigi Nuzzi (share del 5.56%), mentre per Mattero Renzi c’era Paolo Mieli (share del 6.56%).

L’autospot e l’autostop di Fiorello Dopo i profumi e gli chef nuove star della comunicazione, nella campagna pubblicitaria per un noto marchio di telefonia, Fiorello prende di mira gli spot tambureggianti delle marche automobilistiche. «Pensavate che… No, io non cambio. Io resto…». Al parcheggio, però, la potente auto è sparita. E a lui non resta che usare il cellulare per chiedere aiuto a un familiare, a un taxi, fare autostop, chissà. Presa in giro della pubblicità, dei testimonial che cambiano marchi e anche di sé stesso.

E la bicicletta di Jovanotti Continuano a crescere le visualizzazioni su Youtube e su JovaTv, la web tv di Lorenzo Jovanotti, di Jova Zelanda, il documentario autoprodotto del viaggio in Nuova Zelanda, da solo in bicicletta. Venti giorni nei quali ha percorso tremila chilometri, dormendo in tenda o in motel. Niente cellulare, social e musica. 55 minuti di film girato con telecamerina e montato da Michele Lugaresi. Motivo? Pubblicare, tra un anno, un nuovo disco. Ma intanto Jovanotti vuole azzerare gli ultimi dieci anni di lavori e successi per non illudersi di aver trovato la formula vincente. Solo nella chimica «le formule si possono ripetere all’infinito e danno gli stessi risultati». Nella musica bisogna reinventarsi ed essere sempre in movimento.

«Adrian» più complicato del closing Che fine ha fatto Adrian, l’atteso fumetto di Adriano Celentano da anni in rampa di lancio su Canale 5? Ora che è stato firmato il closing per il Milan, chissà mai che riesca ad andare in onda.

 

La Verità, 14 aprile 2017