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«È finita l’era della finta concordia tra i due Papi»

È l’osservatore più acuto di ciò che succede nei Sacri Palazzi. 76 anni, con studi alla Facoltà Teologica di Milano e poi all’università Cattolica del Sacro Cuore e autore di colpi giornalistici come la pubblicazione in anteprima, nel marzo 2018, della lettera integrale di Joseph Ratzinger, manipolata per simulare il suo sostegno a teologi bergogliani, Sandro Magister tiene sul sito dell’Espresso il seguitissimo blog Settimo cielo, diffuso in quattro lingue. A lui ci siamo rivolti per illuminare i fatti di questi giorni e capire come potrà proseguire la convivenza tra i due Papi dopo la tortuosa pubblicazione del libro sul celibato dei sacerdoti, uscito ieri in Francia e atteso per fine mese in Italia.

Che idea si è fatto del saggio Dal profondo dei nostri cuori (Cantagalli) scritto dal cardinale Robert Sarah e da Benedetto XVI?

«Il 2019 è stato un anno chiave per la convivenza che, banalizzando, chiamiamo dei due Papi. Perché in quest’ultimo anno il Papa emerito ha deciso di uscire allo scoperto su temi scottanti che riguardano il magistero e la pastorale ecclesiastica. Nell’aprile scorso ha affidato a un mensile tedesco gli Appunti sugli scandali degli abusi sessuali, nei quali delineava una causa della crisi della Chiesa diversa da quella prospettata da Francesco. Ora ha deciso di pubblicare una riflessione sul celibato sacerdotale prima che Francesco si pronunci con la sua Esortazione sul Sinodo dell’Amazzonia. Se ha scelto di rompere il silenzio che si era autoimposto all’atto della rinuncia è perché ritiene particolarmente grave la situazione della Chiesa di oggi».

Una situazione che rende «impossibile tacere», come hanno scritto gli autori del libro citando Sant’Agostino?

«Esatto. È una scelta che richiama alla memoria quella dei grandi monaci antichi che, quando vedevano in pericolo la vita delle comunità, abbandonavano l’isolamento per soccorrerle. Così oggi, il Papa emerito lascia la sua posizione di ritiro e preghiera per accompagnare con la sua voce autorevole la Chiesa in un momento di grande incertezza».

Questa vicenda fa esplodere l’anomalia dei due Papi: diventa urgente regolamentare l’azione e la parola di Benedetto XVI?

«Effettivamente questi ultimi avvenimenti hanno messo in luce qualcosa di non risolto. La compresenza dei due Papi, uno regnante e uno emerito, è un primum assoluto. La figura del Papa emerito non ha codificazione canonica e viene inventata da colui che lo è per la prima volta. Il quale, all’atto della sua abdicazione, lasciò nel vago gli indirizzi relativi agli ambiti del suo agire, mostrando di potersi comportare in modo originale e creativo».

Aveva promesso una posizione ritirata e di preghiera mentre ha recuperato un protagonismo diverso?

«Per di più su argomenti cruciali. Non va trascurato il fatto che Benedetto XVI ha attribuito la causa degli abusi sessuali alla perdita della vicinanza a Dio di gran parte della Chiesa, mentre per Francesco la causa va individuata nel clericalismo. Quanto al celibato dei sacerdoti, Ratzinger ne ritrova addirittura nell’antico testamento il fondamento teologico, per il quale la totale dedizione a Dio è incompatibile con un’altra dedizione assoluta com’è quella richiesta nel matrimonio».

C’è chi osserva che il celibato dei preti non è un dogma, ma una scelta recente della Chiesa.

«Non è il pensiero di Benedetto XVI. Egli ammonisce che toccare questo cardine non è semplice perché fonda lo stato ontologico del consacrato a Dio».

La pubblicazione di questo testo è una forma di pressione su papa Francesco che sta per promulgare l’Esortazione del Sinodo dell’Amazzonia? Qualcuno ha parlato anche di interferenza sul suo magistero.

«Credo vada inteso come un segnale di allarme levato da personalità di grande autorevolezza, Benedetto XVI in particolare, per richiamare l’attenzione sulla gravità della decisione che sta per essere presa. Se si apre uno spiraglio per l’Amazzonia, nel tempo potrà valere per tutta la Chiesa».

Dopo il ritiro della firma in copertina e la scelta di specificare che il libro viene pubblicato «con il contributo» di Benedetto XVI ci si chiede come il Papa emerito potesse non sapere di partecipare a una pubblicazione a doppia firma.

«Se anche potessimo ammettere che il Papa emerito non avesse nozioni precise della veste editoriale della pubblicazione, tuttavia la sostanza del suo pensiero non lascia spazio a interpretazioni. E non lascia dubbi anche il fatto che abbia voluto essere parte di questo libro con un suo testo, e leggendo e approvando tutte le altre parti della pubblicazione, come dimostrano le sue lettere rese pubbliche dal cardinal Sarah».

Secondo lei che cosa scriverà papa Francesco nel documento sul Sinodo?

«Per quanto visto in questi sette anni di pontificato non mi sorprenderei se aprisse uno spiraglio ai presti sposati, magari in una nota a piè di pagina. Da un lato potrebbe confermare genericamente la dottrina attuale, dall’altro consentire eccezioni che verranno affrontate con prassi più o meno disinvolte. È ciò che è accaduto sulla dottrina del matrimonio dopo il Sinodo sulla famiglia».

Accadrà anche sul celibato ecclesiastico?

«Gli indizi non mancano. Al ritorno dal viaggio a Panama, parlando in aereo con i giornalisti, papa Bergoglio citò e condivise l’espressione di Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato sacerdotale”. Ma dopo quella frase proseguì riferendosi a situazioni particolari nelle isole del Pacifico e citando come interessante un libro del teologo tedesco Fritz Lobinger, divenuto vescovo in Sudafrica, favorevole all’ordinazione sia di uomini che di donne sposate, ai quali affidare il solo compito dell’amministrazione dei sacramenti, senza le altre due funzioni, di insegnamento e di governo, che indissolubilmente sono proprie del sacerdozio».

Perché dovremmo temere qualche eccezione?  

«Perché un’eccezione consentita in Amazzonia o in un’isola del Pacifico diventerebbe presto la regola in una Chiesa cattolica come quella di Germania, tra le più disastrate al mondo per declino di fedeli e di fede eppure curiosamente guardata da papa Francesco come l’avanguardia del rinnovamento ecclesiale».

Nella Chiesa ortodossa ci sono da sempre i preti coniugati.

«Intanto, nella Chiesa ortodossa i vescovi sono soltanto celibi. Inoltre, nel libro Ratzinger ricorda che la Chiesa universale dei primi secoli prevedeva sì ministri coniugati, ma chi veniva ordinato doveva cessare di avere rapporti con la propria moglie. Successivamente, all’ordinazione sacerdotale sono stati ammessi solo celibi».

La scarsità di vocazioni non è motivo sufficiente per ammettere «anziani» coniugati di provata fede?

«Anche nella Chiesa nascente scarseggiavano le vocazioni eppure la cristianità è fiorita ugualmente. Le comunità cattoliche del Giappone sono eroicamente sopravvissute 250 anni senza che ci fosse un solo sacerdote. Così è avvenuto per numerose comunità nascoste nel mondo. Esistono i modi per supplire all’assenza di sacerdoti».

Per esempio?

«La domenica, dove manca chi può celebrare l’eucarestia, i laici possono leggere le letture, recitare il credo e distribuire le ostie consacrate e conservate dall’ultima volta che il prete è venuto. È una prassi non così diversa da quella che si adotta portando la comunione ai malati».

I fautori dell’apertura ai preti sposati osservano che gli apostoli avevano tutti moglie e figli.

«Tutti no. L’apostolo Paolo era celibe. E naturalmente lo era Gesù. Il lasciare casa e famiglia per seguire Gesù non era una metafora ma la realtà. Gesù ammirava chi identificandosi pienamente in lui “si fa eunuco per il regno dei Cieli”».

Nelle lettere esibite dal cardinal Sarah, Benedetto XVI approva la forma della pubblicazione prevista. Il ritiro della firma è dovuto a pressioni o a cos’altro?

«Le parole cantano. L’adesione di papa Benedetto XVI al progetto è evidente. Non c’è stato niente di cui fosse all’oscuro. La polemica è nata dalla volontà dei sostenitori di papa Francesco di sminuire la portata del libro e forse da una certa fragilità dell’arcivescovo Georg Gänswein, segretario di papa Benedetto XVI e prefetto della Casa pontificia, nel resistere a tali pressioni».

Nel marzo 2018, quando fu chiara la strumentalizzazione di Ratzinger per sostenere la pubblicazione di alcuni testi di teologi bergogliani, il prefetto della Segreteria per le comunicazioni, monsignor Dario Viganò, si dimise. Stavolta che conseguenze ci saranno?

«Credo nessuna. Non c’è un capro che deve espiare. Il cardinal Sarah sarà magari destituito da prefetto della Congregazione per il culto divino al compimento dei suoi 75 anni. C’è un contrasto vistoso tra le sue posizioni e quelle di papa Francesco. Ma nella Chiesa questo non dovrebbe sorprendere perché le contrapposizioni ci sono sempre state, anche durante i pontificati di Benedetto XVI, di Giovanni Paolo II e di Paolo VI».

Secondo lei c’è relazione tra queste due vicende?

«La similitudine è nel vano tentativo di esibire una totale concordia tra Benedetto XVI e Francesco».

Come potrà proseguire la convivenza tra loro?

«Temo che sarà sempre più ridotta a delle formalità. Oggi le distanze risultano più evidenti di quanto si potesse prevedere subito dopo l’abdicazione di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco. Un motivo in più dell’oggettiva difficoltà di convivenza tra due Papi, mai sperimentata prima».

Qual è la sua valutazione del pontificato di Bergoglio?

«È un pontificato che ha messo in moto dei processi, moltiplicando le opzioni, ma senza contemporaneamente orientarli. In più occasioni Francesco ha detto che il pastore non si pone tanto davanti o in mezzo al gregge, ma dietro, perché il gregge sa già lui dove andare. Francamente, questo a me pare uno svilimento del ruolo di guida affidato in origine al successore di Pietro, a partire dal Nuovo Testamento».

 

 La Verità, 16 gennaio 2020

 

 

«Spero che il Papa edifichi la Chiesa, prego per lui»

Antonio Socci fa tutti i giorni la spola da Siena a Perugia per andare alla Scuola di giornalismo della Rai che dirige dal 2004. Tre ore al giorno di macchina: come le impieghi e dove trovi il tempo per leggere i tomi che citi in Il dio Mercato, la Chiesa e l’Anticristo (Rizzoli)? «In macchina ascolto la radio, telefono, prego… Quanto ai libri, questo è un argomento che bazzico da parecchio». Da quando era ragazzo, si può dire. Fin dai tempi del Sabato, il settimanale dove entrambi abbiamo lavorato e al quale, nell’introduzione, riconosce l’intuizione illuminante di questa controversa epoca, sulla scorta di due pilastri della letteratura del Novecento: Il racconto dell’Anticristo del pensatore russo Vladimir Sergeevic Soloviev e il romanzo distopico Il padrone del mondo di Robert Benson. Era il 1988, il Muro di Berlino doveva ancora cadere e negli anni successivi, dopo esser divenuto un classico del movimento di Comunione e liberazione, il dialogo tra l’imperatore e lo starets Giovanni fu riproposto dal cardinale Giacomo Biffi negli esercizi spirituali alla Curia romana del 2007 e, in diverse occasioni, da Benedetto XVI. Il passaggio più significativo è nel faccia a faccia tra l’imperatore, un «messia del politicamente corretto», cui i rappresentanti delle religioni si sottomettono, e il mistico, testimone degli ultimi cristiani, che gli resiste. Al quale l’imperatore chiede, irritato: «Che cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare, che cosa avete di più caro nel cristianesimo?». La risposta, umile ma fiera, dello starets è un manifesto: «Grande sovrano, quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente la pienezza della divinità».

Socci è da alcuni anni un acceso critico del magistero di papa Francesco, perciò, accostandosi alla lettura di un saggio che ha l’Anticristo nel titolo c’è di che temere. Invece si conclude con l’invito a raccogliere l’esortazione di papa Francesco a pregare per lui.

Come mai?

«Perché lo chiede. E prego affinché si converta e si ponga sulla strada di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Finora sembra quasi volersi identificare con inquietanti figure bibliche. Vorrei che lo salvassimo da questa deriva».

È una conclusione che sorprende perché sei considerato uno degli antagonisti più intransigenti del magistero di papa Francesco. Qualcosa ti ha frenato?

«No. Ho scritto liberamente ciò che penso. Ma non mi riconosco nel ruolo di antagonista. Sono solo un giornalista. Ogni giorno da sei anni mi auguro di scoprire di avere torto. Faccio il tifo contro di me, ma purtroppo Bergoglio provvede da solo a confermare i miei timori. Da povero cristiano, con dolore, scrivo su questa situazione solo per dovere di coscienza. Mi costa. Preferirei continuare a pubblicare testi di apologetica come ho fatto per trent’anni».

Fino a un certo punto sembrava che la tua riflessione portasse a identificare Francesco con l’Anticristo.

«Nel suo libro L’Anticristo Joseph Roth scrive che l’Anticristo è in ognuno di noi. Ciò che si oppone a Cristo è anche in noi. Nell’Apocalisse si profetizza poi che questa opposizione al Redentore diventerà un giorno un sistema, un potere politico ed economico planetario. Il catechismo della Chiesa cattolica ci spiega che avrà un’ideologia anticristiana, ma mascherata da umanesimo. Sarà una “impostura religiosa”. È una filantropia che usa parole cristiane, ma in realtà espelle Cristo e pone l’uomo al posto di Dio. Chi ha autorità nella Chiesa deve fare come Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, non può essere supporto a questa impostura».

Oltre l’affermazione, condivisibile, temi che questo stia avvenendo?

«Sì».

L’Anticristo è un sistema economico, una nuova seducente religione basata su filosofie facilmente condivisibili o «un sorridente inquinatore» come dice Vittorio Messori?

«Ci sono tutte queste componenti. Solovev lo dipinge come “un messia del politicamente corretto”, perfino europeista ed ecologista. Anche Massimo Cacciari vede nella modernità un potere fortemente anticristiano. Quello che fa pensare è la divinizzazione del mercato. Sono formidabili le pagine di Walter Benjamin sul “Capitalismo come religione”. Nel libro riporto le riflessioni di Jacques Attali, di Giulio Sapelli e Giulio Tremonti, non tre pericolosi sovversivi, che descrivono lo strapotere del “mercatismo” che si mangia la democrazia, i popoli e gli Stati. Inoltre si associa ad esso il prometeico potere della tecnica che ormai minaccia l’umano fin nella sua essenza. Del resto per la prima volta nella storia l’uomo ha il potere, premendo un solo bottone, di distruggere il mondo e l’umanità. Se non è apocalittico questo…».

Papa Francesco è danneggiato dalla narrazione dei media che ne enfatizzano gli interventi organici alle filosofie umanitarie, mondialiste, ecologiste?

«No. Lui finora è stato così.».

Per esempio, sottolineano in chiave anti Salvini i pronunciamenti favorevoli all’accoglienza ai migranti.

«Ma papa Bergoglio ha fatto delle sue battaglie politiche il connotato del suo pontificato. Come ha detto Marcello Pera, in lui non senti il Vangelo, ma solo la politica. Del resto se i media mainstream che attaccavano i suoi predecessori ora applaudono lui acriticamente, vorrà pur dire qualcosa».

Ma tu all’inizio gli avevi fatto un’apertura di credito.

«Certo. Era doveroso. Ma sono bastati sei mesi per farmi ricredere. Anzitutto fu il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata, una famiglia religiosa mirabile, piena di vocazioni, che viveva di ascesi, preghiera e povertà. Non essendo cattoprogressista era guardata male. Poco dopo, nell’ottobre 2013, arrivò la prima intervista a Eugenio Scalfari e a quel punto mi fu chiaro chi è Bergoglio».

Scalfari non ha l’abitudine di prendere appunti o di registrare, tanto che i contenuti di quelle conversazioni hanno collezionato smentite.

«Non sono state vere smentite, infatti quei colloqui sono stati ripubblicati dalla Libreria editrice vaticana, perciò… Se un giornalista attribuisce a un papa delle enormità e questo non smentisce categoricamente, fa ripubblicare quelle interviste e addirittura torna a farsi intervistare da lui che si deve pensare?».

Qualche giorno fa, ricevendo i membri del centro studi Rosario Livatino, Francesco ha condannato decisamente il ricorso all’eutanasia.

«Ogni tanto si allinea al magistero dei suoi predecessori. Ma capita molto sporadicamente e i suoi sostenitori e i media lo elogiano proprio per la discontinuità. Infatti piace a Repubblica invece che ai cattolici. I quali sono disorientati anche per le enormità pastorali che caratterizzano il suo pontificato. Del resto i fatti hanno dimostrato che cedere alla mentalità mondana non solo non porta alla fede i lontani, ma allontana anche i fedeli. Come già era accaduto in America latina dove si è consumato il colossale fallimento del cattoprogressismo che ha visto fuggire dalla Chiesa milioni e milioni di fedeli. Purtroppo nel 2013 un cattoprogressista argentino è stato messo a capo della Chiesa universale, così ora si replica quel fallimento su scala planetaria».

In questi giorni, in una lettera apostolica ha parlato del presepio come di un «mirabile segno», invitando a farlo nelle case e nei luoghi di lavoro.

«Lo ha fatto per cercare di rifarsi l’immagine dopo la catastrofica figuraccia del Sinodo amazzonico. E dopo aver elogiato il presepio ha specificato anche di non strumentalizzarlo. Quindi alla fine è pure questa un’iniziativa anti Salvini. Anche le, poche, cose condivisibili che dice sono minate da una logica politica».

Dicevamo che il tuo è un libro apocalittico. Siamo già nel tempo dell’apostasia che precede il giudizio finale?

«Cito il grande teologo del Concilio Jean Danielou il quale spiega che il tempo cristiano è per definizione un tempo apocalittico. Con la morte e resurrezione di Cristo tutto è già compiuto, nulla di sostanzialmente nuovo può più accadere. Il tempo è dato per scegliere: con Cristo o contro. Anche Ivan Illich conferma che dopo l’era cristiana non esiste un’era post cristiana, ma solo un tempo apocalittico, quello dell’Anticristo. Invece, al convegno di Firenze del 2015, papa Francesco ha detto che “oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca”. Come se potessero esistere epoche nuove e la Chiesa dovesse adeguarvisi. Ma la Chiesa non deve adeguarsi ai tempi, deve salvare tutti i tempi».

Cos’è questo tempo apocalittico, questa «grande apostasia»?

«La Chiesa rivive in tutto la vicenda di Gesù. Questo tempo è il suo venerdì santo. Il momento in cui Gesù è stato tradito e abbandonato. I papi del Novecento hanno avvertito la drammaticità di quest’ora, documentata anche dagli eventi del secolo breve. Le parole di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI che riporto nel libro sono impressionanti».

La presunta sintonia tra Benedetto XVI e papa Francesco è appunto molto presunta?

«Bergoglio è agli antipodi di tutti i suoi predecessori. Faccio solo un esempio. Interpellato dalla Stampa su quale sia l’emergenza per l’umanità contemporanea Bergoglio ha parlato della diminuzione della biodiversità. Sinceramente una risposta così può darla il presidente del Wwf. Qualunque papa del nostro tempo avrebbe indicato la cancellazione di Dio come la tragedia di questa epoca. Nei suoi ultimi interventi Benedetto XVI lo ha ripetuto».

Perché secondo te papa Francesco non ha mai risposto al documento dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò sul fatto che fosse a conoscenza delle pratiche dell’ex cardinale Theodore McCarrick?

«Penso che monsigor Viganò abbia fatto scacco al re e il re ha deciso di buttare per aria la scacchiera.

Non c’è il pericolo di strumentalizzare Benedetto XVI in chiave anticomunista e antibergoglio?

«Piuttosto, vedo un altro pericolo, e cioè che quella parte del mondo cattolico cresciuta nella fede con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI oggi, per reazione, rischi di lasciarsi sedurre dalle sirene lefebvriane. Non a caso questi ambienti ipertradizionalisti sono molto più critici verso il magistero di Karol Woytjla e Joseph Ratzinger che non verso Jorge Mario Bergoglio».

L’insistenza sulle radici cristiane dell’Europa era la battaglia degli atei devoti, perché è così importante?

«No, è stata la battaglia di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. L’eliminazione del richiamo alle radici cristiane è la prova che la nuova Unione europea, laicista e tecnocratica, voleva tagliare le sue fondamenta. Questo odio del cristianesimo è un capitolo dell’odio di sé dell’Occidente in nome del multiculturalismo. Ma se non si sa più qual è la propria identità non è possibile neanche la famosa integrazione. L’Europa di Maastricht non voleva essere più ancorata alla sua storia, al cristianesimo e a ciò che questo significava, per esempio sui temi etici».

La Chiesa attuale non si accorge di tutto questo?

«Bergoglio è allineato all’ideologia dominante. Dice che l’Europa deve identificarsi con “accoglienza” e che non bisogna essere “identitari”. Questo è nichilismo».

Forse ritiene i temi sociali più importanti dei temi etici?

«Nel mondo si praticano ogni anno circa 50 milioni di aborti. Due giganti come Giovanni Paolo II e Madre Teresa ritenevano questa la più grande tragedia del nostro tempo. Non è solo una tragedia etica, ma anche sociale: quei bimbi sono gli ultimi degli ultimi diceva Madre Teresa. La globalizzazione ha due facce complementari ed entrambe disastrose: la deregulation finanziaria e la deregulation antropologica. La Chiesa deve combatterle entrambe».

L’insistenza sul katechon, sul tenere a freno, non rischia di fare della Chiesa un’entità antimoderna?

«Modernità è una categoria ideologica, presuppone che la storia marci per sua natura verso il Bene: basta vedere cosa è stato il Novecento per capire che è un’idea farlocca».

Ma criticando papa Bergoglio non si rischia di sottovalutare le esigenze dei popoli più poveri e dei conseguenti movimenti migratori o della situazione climatica del pianeta?

«È esattamente il contrario. È il Papa che sottovaluta la complessità di queste emergenze, usando slogan degli anni Settanta sui ricchi e i poveri. Siamo in uno scenario diverso nel quale domina il dio mercato che pretende di essere legge a se stesso e dagli anni Novanta ha imposto una globalizzazione la quale trova negli Stati e nelle sovranità dei popoli l’unico ostacolo. Per questo attaccare i sovranisti ed esaltare i globalisti e la Ue come fa Bergoglio è perfettamente funzionale ai poteri forti. Anche sull’emigrazione. Come non vedere che i movimenti migratori rispondono alla necessità del mercato di disporre di manodopera a basso costo e senza garanzie sociali? Non a caso i vescovi africani e il cardinal Robert Sarah sostengono a gran voce che favorire i flussi migratori porterà alla morte dell’Africa. Al contrario, Bergoglio da anni ha fatto del migrazionismo la sua bandiera».

Ora la battaglia che conta è quella contro il cambiamento climatico.

«Bergoglio ha assunto come indiscutibile dogma di fede quel riscaldamento globale per cause umane che la scienza stessa considera un’ipotesi, su cui oltretutto ci sono opinioni diverse. Ma, quand’anche fosse un’idea fondata, Gesù è venuto a salvare le anime, non il pianeta. Anzi, ha detto che <il cielo e la terra passeranno>. È solo Lui che non passerà. La Chiesa dovrebbe annunciare cieli nuovi e terra nuova e non trasformarsi nella guardia forestale del pianeta. San Tommaso e Sant’Agostino dicono che agli occhi di Dio la salvezza di una sola anima vale più di tutto l’universo creato».

 

La Verità, 8 dicembre 2019

Viganò, Francesco e la rivoluzione del cuore

L’altra sera, martedì, sono andato alla messa di Comunione e Liberazione a Padova. Quando posso, non sempre, ci vado. Era la prima del nuovo anno, saremo state 300 persone, senza gli studenti universitari. Dopo, insieme con alcuni amici, siamo andati a cena. Siamo sessantenni, ci conosciamo da quando eravamo degli sbarbati e siamo tutti laureati, tre in filosofia, io in scienze politiche, mia moglie in lingue. Uno di noi appartiene ai Memores Domini, l’associazione del movimento i cui membri fanno una scelta di dedizione totale a Cristo, lavorando nel mondo e vivendo in piccole comunità, da laici. Argomento della serata è stato il dossier di Carlo Maria Viganò e come le circostanze documentate dall’ex nunzio apostolico negli Usa – quella di aver troppo a lungo tollerato le azioni dell’arcivescovo Thomas McCarrick e l’operato degli ex segretari di Stato vaticano Angelo Sodano e Tarcisio Bertone – mettano in difficoltà papa Francesco e il suo magistero. C’era chi contestava il modo e i tempi del memoriale di Viganò. E chi osservava che l’obiettivo delle dimissioni di Bergoglio è ingenuo e velleitario: il giornale per il quale scrivi spera che si arrivino ad avere tre papi? La terza obiezione è stata di natura politica: La Verità è stata scelta come terminale di un mondo cattolico ultraconservatore perché fin dalla nascita fa la guerra a Bergoglio.

Personalmente ho ammesso tutto il mio disagio a collaborare a una testata tanto decisa nell’attaccare il vicario di Cristo in terra. Chi è figlio della Chiesa soffre nel vederla così fragile e intrisa di peccato come risulta dai racconti e dalle testimonianze emerse in questi giorni, non ultima quella riportata da Sandro Magister a proposito dell’operato di monsignor Battista Ricca, prelato dell’Istituto Opere Religiose scelto da papa Francesco. È una sofferenza con la quale non si può che convivere senza poterla minimizzare, ancor meno rimuovere. Tuttavia, come giornalista, ho sottolineato il valore dei documenti pubblicati, la precisione delle situazioni evidenziate e la necessità che trovino una replica convincente e persuasiva da parte del vertice della Chiesa. Il fatto che la testimonianza di Viganò possa essere inficiata da interessi o rivalse personali non basta per misconoscere le circostanze della denuncia. Spesso, all’origine di grandi cambiamenti ci sono rivelazioni che partono da motivazioni personalistiche. Inoltre, ormai le testimonianze sono molteplici. Lo stesso papa Francesco ha riconosciuto che sui casi di pedofilia la Chiesa non ha agito in modo adeguato. Nei suoi viaggi in Cile e in Irlanda ha chiesto ripetutamente perdono alle vittime degli abusi perpetrati da religiosi e alti prelati. L’elemento in più emerso dal dossier Viganò e allegati è che la lobby omosessuale ha messo radici profonde nei palazzi vaticani, da dove risulta difficile estirparla. Forse, a ben vedere, questi fatti gettano una luce diversa anche sulle dimissioni di Benedetto XVI, avvenute di fronte a un mondo «soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede», che rende necessario «il vigore sia del corpo, sia dell’animo» (Declaratio, 10 febbraio 2013) dal quale Ratzinger non si sentiva più accompagnato.

Oggi i seminari sono vuoti o quasi, dicevamo a tavola. Nella diocesi di Padova, la stessa che sta superando a fatica lo scandalo delle orge in canonica di don Andrea Contin, risulta ci sia un solo seminarista. Serve una vera rifondazione della Chiesa a tutti i livelli, che valorizzi le esperienze di santità e abnegazione che pure esistono in tante comunità cristiane (come quella nel carcere Due Palazzi, per citare un esempio in zona). Più che continuare a opporre il silenzio delle mura vaticane agli scandali che coinvolgono i suoi chierici, forse varrebbe la pena ammettere che c’è bisogno di un grande movimento di conversione. Di una rivoluzione del cuore che riparta da quella «carezza del Nazareno» citata da Enzo Jannacci in una delle sue ultime interviste e ricordata spesso dal papa Francesco d’inizio pontificato. Solo ricominciando da Cristo, redentore dell’uomo, la Chiesa potrà dare al mondo contemporaneo ciò di cui ha più bisogno.

Salutandoci, a fine cena, ricordavamo quando, mentre negli anni Settanta l’Autonomia operaia voleva fare la rivoluzione armata, un gruppo di 300 universitari, ai quali con la violenza veniva impedito di parlare, si ritrovava alla messa del martedì. Eravamo noi, i veri rivoluzionari: del cuore.

La Verità, 6 settembre 2018