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Tommassini: «Il segreto di X Factor? La nostra follia»

D’accordo, i giudici; Arisa che sclera e Manuel Agnelli che spacca il capello in quattro; Fedez che gioca con i calembour e l’empatia di Soler. Ok anche la musica e le canzoni, il meglio del pop soprattutto (rock pochino). Bene anche Alessandro Cattelan, con la sua conduzione smart, agile nel risolvere le situazioni più impreviste. E poi i social, la viralità, i fan, la buona stampa e tutto il resto. Ottimi anche gli ascolti (1.340.000 telespettatori nella semifinale di giovedì scorso, più 36 per cento rispetto al 2015). Ma lo show, lo spettacolo vero, internazionale e contemporaneo, dove lo mettiamo? E, soprattutto, dove andiamo a cercarlo?

I giudici di «X Factor 10». Probabilmente nella nuova edizione Arisa non ci sarà

I giudici di «X Factor 10». Probabilmente nella nuova edizione Arisa non ci sarà

 

Di Luca Tommassini, direttore artistico di X Factor, si parla troppo poco. Per compensare questa lacuna, i quattro coach si sono inventati il gioco di chi, nella serata, chiama per primo l’applauso del pubblico per lui. Un piccolo tormentone che è un riconoscimento. Perché una delle differenze principali tra il talent di Sky Italia e gli altri in giro per i palinsesti (altre edizioni di X Factor comprese) la fa la sua direzione artistica. La sua «breve biografia», come l’ha presentata l’ufficio stampa, è un curriculum lungo così. Dite un nome nel mondo del pop e lui ce l’ha: Madonna, Prince, Michael Jackson, Diana Ross, Robin Williams, Whitney Houston, Kilye Minogue, Alicia Keys, Gwen Stefani, Phil Collins, Jamiroquai, Katy Perry, Beyoncé eccetera. Dite un nome di cantante e artista italiano di primissimo piano, idem. E poi nel mondo della moda e della tv. Vi risparmio le liste altrimenti finisco lo spazio. Per la finale di giovedì 15 dicembre, da lunedì sera tutto il gruppo è al Palaforum di Assago: «Essere pronti in tre giorni per un live in un palco e una scenografia nuovi spaventa chiunque. Ma noi siamo tutti malati di mente e di passione».

Chi è Luca Tommassini?

«Un sognatore cui la musica ha dato tanto che cerca di restituire quanto ha ricevuto».

Missione impegnativa.

«Ma anche un piacere. La mattina quando mi sveglio se ho un’idea divento contagioso e cerco di trasmetterla ai miei collaboratori. Siamo una squadra fenomenale. Siamo arrivati su Sky Uno che non era accesa. Il nostro è puro artigianato italiano, facciamo tutto insieme a Sky e Fremantle Media, scenografie, coreografie, grafiche tutto fatto in casa».

Qual è il segreto di X Factor che ogni anno, siamo al decimo, incrementa gli ascolti?

«È la formula, che attinge da tutte queste figure fondamentali, Gigi Maresca che ora firma la scenografia, la costumista Claudia Tortora, il giovane regista Luigi Antonini. Tutta gente di altissima qualità».

Un momento dell'esibizione dei Soul System durante la semifinale

Un momento dell’esibizione dei Soul System durante la semifinale

 

E tu sei il capitano…

«Ho la responsabilità creatività del live. Spingo tutti verso la follia, anche con orari disumani… Conosco tutti, compresi quelli di “attrezzismo violento”, come si sono ribattezzati gli artigiani e i falegnami che costruiscono tutto qui, con Alessandro Voltolin, il direttore di palco».

Sempre tutto perfetto? Mai incorsi in qualche incidente?

«Nell’ultima puntata, la più vista della storia di Sky, le opere di Marco Lodola fatte con la luce si dovevano accendere in diretta. La cosa mi teneva in ansia. Infatti, alla prima esibizione di Gaia, la luce non si è accesa, e abbiamo illuminato tutto da fuori, al volo…».

Il pubblico non s’è accorto di niente?

«Non credo. Il fatto che non ci siano mai stati grandi incidenti è un mio orgoglio personale. Quando abbiamo coinvolto un’orchestra di 39 elementi e 40 tra figuranti e ballerini, sul palco c’erano quasi cento persone oltre a 12 sfere e una X gigante. Abbiamo fatto il cambio scena in 2 minuti e 40 secondi».

C’è qualcosa della tua esperienza che ti sta aiutando di più a X Factor?

«Madonna è stata la mia più grande insegnante. Dico spesso che, dopo Dio, lei è la più grande creatrice artistica del mondo. Non è una cantante o una ballerina eccelsa, eppure lo show è inarrivabile. Da lei ho imparato che lavorando dietro le quinte si può andare molto lontano».

Luca Tommassini con Madonna: «Dopo Dio è la più grande creatrice artistica del mondo»

Luca Tommassini con Madonna: «Dopo Dio è la più grande creatrice artistica del mondo»

Hai scritto un libro intitolato Fattore T – L’inafferrabile scintilla del talento: perché secondo te è inafferrabile?

«La scintilla è inafferrabile e inaffidabile. Va coltivata per trasformarla in un fuoco vero. Se ti metti in questo cammino, a lavorare, puoi averne luce, vita, energia. Ma per questo devi dare tutto, come si fa con un bambino per farlo diventare grande».

Ma il talento è un dono?

«Tutti ne abbiamo qualcuno, bisogna cercare di capire quale. E poi dobbiamo capire che farne. Sono dell’idea che da solo non basti: serve metà talento e metà lavoro, metà genio e metà impegno».

Che cosa ti fa scattare l’idea per una coreografia di una canzone?

«L’idea non è mai un problema. Sembra banale: ascolto la canzone a occhi chiusi e lascio andare la fantasia. A volte non arrivo nemmeno alla fine del brano. Conoscendo il cantante o l’attore entro in un mondo e inizio a sognare. Poi però mi do la sveglia per iniziare a lavorare».

Da mercoledì sarai anche giudice nel talent di Dance dance dance di FoxLife. La danza è il tuo grande amore: ricambiato?

«Lo è stato quand’ero bambino. A 18 anni, nel 1988, ho vinto lo Star Search International, il primo talent a livello mondiale. Grazie al ballo ho superato la depressione che mi venne appena smisi. Riprendendo, mi è passata. Ora faccio anche pubblicità per le auto, regie teatrali, ho recitato al cinema. Tornare a discutere di ballo mi attira. Ho già fatto il giudice in grandi programmi in Gran Bretagna, in Italia invece è la prima volta».

Non sono troppi i talent show?

«Assolutamente no».

Non affermano un’idea prefabbricata del talento?

«Penso di no. Per esempio, X Factor è l’occasione per mettere in scena quelli più pronti. Scegliamo 12 ragazzi che hanno già individuato le loro doti. Vengono dalla strada o dal laboratorio. Non serve una scuola, ma mettere a fuoco le loro potenzialità e portarli a un livello professionale».

Stai coltivando qualche nuovo progetto?

«Ho già lavorato nel cinema come coreografo. Ora mi piacerebbe raccontare una storia mia come regista. Magari anche nel mondo dell’opera».

 

La Verità, 13 dicembre 2016

 

Dove nasce il magnetismo di Manuel Agnelli

A un certo punto, l’altra sera, si presenta sul palco di X Factor Marco. Vestito di nero, mingherlino, agghindato, capigliatura improbabile, visibilmente omosessuale: «Porto Sex machine di James Brown». «Acciderboli! E perché questa scelta?», gli chiede Manuel Agnelli. «Perché sono un ballerino e questa canzone mi permette di mostrare alcuni movimenti…». Tra gli sguardi perplessi dei giudici parte il riff di uno dei capolavori della musica funky. Alla fine Arisa apprezza, Álvaro Soler pure. Agnelli lo guarda dritto e spara: «Io penso che in questo momento James Brown si stia rivoltando nella tomba. Hai sbagliato canzone, Sex machine è un pezzo di una violenza e di un’animalità che tu non hai. Voto prima io, perché il mio voto è sicuro. Per me è no». Politicamente corretto abolito, zero buonismi, parole chiare senza smancerie, sentimentalismi e concessioni al gossip, alla seconda puntata di audizioni (record di ascolti su Sky Uno con il 4,84 per cento e 1,5 milioni di telespettatori) Manuel Agnelli è la nuova star di X Factor.

La giuria della decima edizione di X Factor: da sinistra, Manuel Agnelli, Arisa, Álvaro Soler e Fedez

La giuria della decima edizione di X Factor: da sinistra, Manuel Agnelli, Arisa, Álvaro Soler e Fedez

Cinquant’anni, milanese, sposato e padre di Emma, leader degli Afterhours, gruppo di alternative rock, è sempre stato sideralmente lontano dal mainstream televisivo se si eccettua l’isolata partecipazione a Sanremo 2009, ultimo classificato con la sua band. Già l’anno scorso quelli di Sky lo volevano in giuria, ma lui non se l’era sentita: «Paura». Per il grande pubblico, digiuno di festival indipendenti e concerti nei centri sociali, Agnelli è un inedito assoluto. Qualcuno che non si era ancora visto. Ma non è solo la novità a provocare un misto di curiosità e diffidenza. Già archiviati gli idoli delle ultime annate, Mika e Morgan, in una giuria dominata dal pop e dal rap, Agnelli porta le svisate del rock e del punk. Una differenza espressa in ottimo italiano che per imporsi non ha bisogno di smorfie o caricature facciali. L’aria maledetta e vagamente sinistra, il capello lungo da rocker anni ’70 e la somiglianza con Severus Piton di Harry Potter gli conferiscono quel magnetismo e quell’imprevedibilità vagamente inquietante che tengono allerta il pubblico: chissà che cosa spara adesso… Alle prime audizioni a un ragazzo che sfoggiava un taglio da marine e al quale Fedez aveva chiesto se era un militare ha detto: «È un peccato che tu non lo sia perché con il coraggio che dimostri a cantare saresti una garanzia per la difesa della nostra patria». Un’altra candidata che strillava troppo è stata congedata così: «Il problema è che la comunità europea ha sancito un limite di decibel». Una coppia di ragazzi che ha allestito un teatrino con maschere piangenti per denunciare «il disastro della società in cui vivamo» si è sentita dire: «È il vostro conformismo da anticonformisti che non sopporto». E poi altre sentenze da Cassazione: «Non hai talento», «Sei antica, queste cose si vedevano al Festivalbar degli anni ’80». Però, sarebbe sbagliato pensare che Agnelli trinci giudizi in fotocopia, premiando solo i candidati più vicini al suo genere. Alla prima puntata Les enfants, quattro amici boy scout, jeans e camicie, hanno presentato Che fantastica storia è la vita di Antonello Venditti. Dopo l’ultima nota Agnelli li ha chiamati avanti sul palco: «Lo confesso, per un preconcetto non vedevo l’ora di massacrarvi. I boy scout, il modo in cui siete vestiti, la scelta della canzone eccetera: avevo davvero il colpo in canna. Ma invece siete bravi». Della sua partecipazione a X Factor dice che «tutto ha un ruolo. Il moscerino ha un ruolo, la blatta ha un ruolo, io ho questo». Ovvero: quello di non indulgere, di non commuoversi, di trasmettere ai concorrenti la necessità di perseguire l’obiettivo tenendo la schiena dritta. Quanto a se stesso dice: «Non vado a X Factor per cambiare il programma, ma per portare la mia visione della musica laddove non è rappresentata. Più che la rivoluzione, voglio portare informazioni nuove. E la tv, se usata bene, può dare grandi risultati». Un amico che lo conosce e s’intende di musica mi ha detto: «Agnelli a X Factor è come Madonna in un hotel a 2 stelle». E, in effetti, la sua partecipazione al talent show ha provocato una mezza rivolta negli ambienti della musica indie. Contestazione dei fan, attacchi sul web: «Manuel si è venduto». E qui si capisce che i giudizi secchi non sono una posa per le telecamere: «Mettiamola così», ha risposto a Vanity Fair, «prima di tradirlo, io sono stato tradito dal mio mondo e dall’ideale alternative… Quell’ambiente è cambiato radicalmente, è diventato conformista, di più: fascista… L’idea della riserva indiana, di difendere i confini, non produce niente… Non accetto un tribunale che decide cosa è giusto e cosa sbagliato». Insomma, una ribellione in piena regola al suo mondo di riferimento. Sinistra radical chic compresa: «Sono incazzato a morte con l’intellighenzia, quelli che “Io in televisione non ci andrei mai”», ha raccontato a Mucchio selvaggio. «Gli intellettuali, i designer, gli architetti, tutti quelli che ti dicono che non ci vanno per difendere la cultura. Certo, la televisione è molto volgare: chi lo nega? Ma questi sono in cattiva fede, difendono la cultura solo e unicamente perché vogliono controllarla… Cosa fa la sinistra da molti anni a questa parte? Questa non è cultura, è un club, è una gabbia».

La rivolta di Agnelli contro i rivoltosi per mestiere probabilmente deriva dalla recente morte del padre. Una figura importante per Manuel: commercialista, attivo in politica, musicista per hobby tanto da avergli insegnato a suonare le tastiere. Era in cura da tempo per un tumore e a 77 anni è morto per un’infezione al sangue contratta durante la chemioterapia. L’ultimo cd appena pubblicato dagli Afterhours s’intitola Folfiri o Folfox, che sono i nomi di due tipi di chemioterapie. Ma non è un disco di morte «fatto per portare avanti il dolore, ma per liberarmi di esso… Dopo la morte di mio padre mi sono sentito spaventato e abbandonato, un po’ perché ora ho bisogni elementari: voglio solo stare bene. Voglio essere felice e non me ne frega niente se è la cosa più banale del mondo». Benvenuto, Manuel.