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Seguendo i soldi con Fazio si indovina sempre

A seguire il flusso dei soldi non si sbaglia. Soprattutto se il beneficiario è Fabio Fazio, nativo di Savona. Nessun martirio, nessuna censura. Ci mancherebbe. L’addio alla Rai «dopo quarant’anni di onorata carriera», tra folle di vedove inconsolabili e sodali de sinistra in servizio permanente, è una faccenda di mercato editoriale. Una questione di danè. Altro che vittime della democrazia. Follow the money, recita il vecchio adagio. E nel caso del conduttore di Che tempo che fa è più che mai la pista giusta. Nella nuova casa della Warner Bros Discovery Italia, Fazio guadagnerà 2,5 milioni all’anno che, moltiplicati per quattro, fanno dieci milioni tondi tondi. Niente male. Rispetto al milione e 900mila percepito in Rai con l’ultimo contratto, si tratta di un incremento superiore al 30%. Il miglioramento è ancora più ragguardevole considerando la durata del nuovo accordo che la Rai di sicuro non avrebbe potuto garantirgli. Insomma, un contratto dorato solo stando a quello che lo riguarda personalmente. Cioè, senza contare quanto incasserà OFFicina, la società fondata nel 2017 e di cui ora è socio al 50% con Banijay. Nell’ultimo biennio, per la produzione delle trenta puntate del talk show di Rai 3 l’incasso è stato di 10,6 milioni. Se la percentuale d’incremento fosse la stessa, si sfiorerebbe la cifra di 14 milioni, sempre all’anno. Ma questa è solo un’ipotesi perché dipenderà dalle scelte di palinsesto di Nove, la rete sulla quale potranno continuare a vederlo i suoi affezionati telespettatori.

«Sono in Rai da quarant’anni, però non si può essere adatti a tutte le stagioni», ha detto lui domenica sera rispondendo al fervorino di Ferruccio De Bortoli («Oggi la notizia sei tu…»). «Io e Luciana (Littizzetto ndr) non abbiamo nessuna vocazione a sentirci vittime né martiri», ha assicurato, bontà sua, tentando poco convintamente di sedare i piagnistei della tifoseria desiderosa di buttarla in politica. «Siamo persone fortunatissime e avremo occasione di continuare altrove il nostro lavoro», ha ribadito. Invano. Lo stesso De Bortoli aveva chiosato: «Il fatto che te ne vai è una gravissima perdita per il servizio pubblico e un grande errore editoriale». Ieri, con il solito gioco di prestigio tra narrazione e fatti reali, i giornaloni fiancheggiatori hanno dato il meglio per pilotare sul conto del governo di Giorgia Meloni il clamoroso divorzio. «Rai a destra, Fazio lascia», ha titolato Repubblica. «Vergogna Rai. Fazio costretto all’addio», ha echeggiato La Stampa. In realtà, se di «grande errore editoriale» si tratta, è evidente che a commetterlo è stato l’ex amministratore delegato Carlo Fuortes che si è ben guardato dal presentargli una proposta di rinnovo del contratto. Come hanno sottolineato sia la presidente Marinella Soldi che i consiglieri Rai, nei mesi scorsi c’era tutto il tempo per farlo. Ma in quel modo non ci sarebbe stato nessun caso politico. E addio anche alle accuse di censura che stanno galvanizzando le milizie dem. Fazio non ha voluto aspettare che, giusto ieri, la nuova governance s’insediasse in Viale Mazzini e Roberto Sergio, amministratore delegato, e Giampaolo Rossi, direttore generale, prendessero possesso degli uffici, firmando il giorno prima con Discovery. Anche in questo caso la tempistica è rivelatrice. Aspettare avrebbe voluto dire valutare un’offerta verosimilmente al ribasso che lo avrebbe posto di fronte al bivio: i danè o la Rai? Meglio rompere prima gli indugi e non farsi scappare l’allettante offerta di Warner Bros. L’unica rimasta sul tavolo dopo che anche Urbano Cairo, patron di La7 con la quale il conduttore aveva già flirtato, si è defilato quando Fazio ha chiesto di contrattualizzare anche la squadra di autori e il gruppo di OFFicina. In fondo, con lui e «Lucianina», è un intero blocco di potere che si sposta. Che tempo che fa è una centrale di formazione del consenso, un crocevia di case editrici, produzioni cinematografiche, contenuti giornalistici, artisti, comici, ballerine e compagnia cantante. Ma per i bilanci controllatissimi del parsimonioso Cairo arruolare tutti avrebbe potuto essere un colpo mortale. Come quello che, nel 2001, portò alla fine precoce del tentativo di creare dall’ex Telemontecarlo di Vittorio Cecchi Gori ceduta a Roberto Colaninno l’agognato terzo polo tv. Anche allora c’erano Fabio Fazio e Luciana Littizzetto tra i volti della nuova emittente. Ma i debiti accumulati e il nuovo cambio di proprietà fecero abortire il progetto in poche settimane. Che, tuttavia, valsero a Fazio una liquidazione di 28 miliardi di vecchie lire, utili per prestigiosi investimenti immobiliari. Ci vollero due anni prima che il conduttore di Savona tornasse nella tv pubblica, nel 2003, ricominciando da Che tempo che fa.

Insomma, a seguire il flusso del denaro s’indovina. E si scopre che, ai quarant’anni di onorata carriera in Rai di EffeEffe, bisogna sottrarne due di esilio e sommare 28 miliardi di vecchie lire. Quanto fa?

 

La Verità, 16 maggio 2023

Lasciate Fabio Fazio dov’è, nella Ztl di Rai 3

Aiuto, ricomincia. Anzi, è già ricominciato. Come nell’imminenza del rinnovo di ogni contratto. Puntuale e immancabile come la dichiarazione dei redditi, riparte il tormentone di Fabio Fazio fuori dalla Rai. Lo cacciano. Anzi no. È lui che se ne va, che non può restare a queste condizioni. Non può continuare a lavorare nella tv «in mano alle destre» (vedi Lucia Annunziata). Simpatico come un 730 da compilare, il tam-tam è iniziato con largo anticipo sulla scadenza, fra due mesi, del contratto. Si profila un’altra maledetta primavera di forse sì e forse no. Ogni volta un caso di Stato e, francamente, non se ne può più. Eppure c’è chi preferirebbe lasciarlo dov’è, Fazio. E potrebbero pensarci anche i padroni del vapore, Giorgia Meloni e i suoi uomini. Sarebbe un’astuzia che potrebbe spiazzare i fautori dell’«ora tocca a noi». Ma, in realtà, non se ne può più di vedere il «fratacchione» frignare per la mancanza di libertà. Magari gli si potrebbe sforbiciare la cresta del cachet da 1,9 milioni a biennio strappato nel maggio 2021. Continuare a lavorare con la squadra collaudata è pur sempre buona cosa, piuttosto che ricominciare da zero in una tv marginale come Nove, gruppo Discovery…

Da Viale Mazzini filtrano i rumors di scatoloni che si riempiono. A lungo atteso, il risiko delle nomine è partito. I dirigenti destinati a cambiare aria sono più d’uno, dall’amministratore delegato Carlo Fuortes al direttore dell’Intrattenimento prime time, Stefano Coletta, inventore seriale di flop (da Da grande di Alessandro Cattelan fino a Benedetta primavera). E prima o poi qualcuno farà i conti dei costi della sterminata sequenza d’insuccessi. Il vicedirettore dell’Intrattenimento daytime Angelo Mellone, in quota Fratelli d’Italia, sarebbe in odore di promozione, ma forse non a capo della fiction come lui spera. Protetta dal  solito Coletta che la portò da Rai 3 a Rai 1 sembra in declino la stella di Serena Bortone. Per Silvia Calandrelli, responsabile di Rai Cultura sotto la cui giurisdizione Fazio si è spostato per sfuggire alla direzione Intrattenimento, si dice invece sia arrivata l’ora di una nuova destinazione. Questione di settimane e la governance della tv pubblica sarà diversa.

Secondo i beninformati, a mettere in giro le voci del drammatico addio a Mamma Rai sarebbe lui stesso, EffeEffe. Gioca al rialzo, con la sapiente regia di Beppe Caschetto, che ha un nutrito stuolo di artisti e autori da piazzare come ospiti fissi, ospiti saltuari, ospiti frequenti, collaboratori e consulenti, prima, durante e dopo, al Tavolo, nel salotto, sopra e sotto la panca. Che tempo che fa è il giocattolo perfetto per il pubblico benpensante. Costruito e lubrificato negli anni. Nei decenni, già due (potrebbero pure bastare). Un terzo di buonismo, un terzo di perbenismo, un terzo di progressismo e il piatto è servito. Il nuovo film di Veltroni («ma anche» il nuovo documentario, il nuovo saggio, il nuovo romanzo, il nuovo giallo…). Una predica di Saviano. Una prescrizione vaccinale di Burioni. Una promozione dello scrittore da festival. Qualche regista e qualche attore/attrice del quartiere Prati. Il comico mainstream. Un tot di giornalisti allineati, meglio se del gruppo Cairo, vista la danarosa rubrica che EffeEffe tiene su Oggi (si parla di 6.000 euro al mese, beato lui): ed è sempre meglio essere riconoscenti. I compitini di Luciana Littizzetto. I monologhi moraleggianti di Michele Serra. Varie ed eventuali, sempre nel mood del dagli alle destre ora che il fascismo è di nuovo qui.

I siti specializzati tambureggiano da giorni. Dissodano il terreno. Preparano la strada per il sempre ventilato ritorno da La7 di Massimo Giletti. Uno se ne va e l’altro arriva. Ci sarebbero già stati dei contatti. Giletti rientrerebbe di corsa in Viale Mazzini. Quanto a Fazio, anche due anni fa si era parlato di un approdo su Nove, dove c’è ad attenderlo Maurizio Crozza, anche lui targato Caschetto. Sembrerebbe un gioco facile. La quadratura della tv ai tempi del governo più a destra della storia repubblicana.

Però, forse no. Il colpo a sorpresa potrebbe essere lasciare Fazio dov’è. Nella Ztl della Rai. Dove lo seguono quelli del salotto chic. Gli elettori dem. I convinti del gender. I fautori dell’accoglienza senza se e senza ma. I followers di Fedez. I transfughi di Propaganda live. I delusi da Soumahoro. I lettori di Vanity Fair. I nostalgici delle Invasioni barbariche… Il recinto dei buoni. Spingerlo fuori da Rai 3 vorrebbe dire vederlo atteggiarsi a martire, sentirlo piangere per le libertà costituzionali violate. E magari rischiare l’accusa di scarsa lungimiranza editoriale. Giletti potrà tornare lo stesso in Rai, il posto non manca. Ma lasciare il giocattolino a EffeEffe, concedendogli di restare nella Ztl della tv, vorrebbe dire mostrarsi veri liberali. Riuscendo, contemporaneamente, a depotenziarlo.

Anche Prime video si ferma alla tv delle celebrity

Metti un parterre di vip e rovini una bella idea come quella di Dinner club, sei episodi della prima stagione visibili su Prime video. L’idea sono delle scorribande su e giù per lo Stivale alla ricerca di piatti tipici, profumi e ricette genuine. Si viaggia sempre in coppia, con mezzi di trasporto strani, un battello per solcare il Po fino al delta, un camper per attraversare Puglia e Basilicata, una Pontiac cabrio nel sud della Sardegna. Carlo Cracco, capo della ciurma, fissa le regole del gioco e guida agli incontri con i genius loci che spiegano storia e segreti delle prelibatezze popolari. A ogni episodio, il superchef accompagna uno dei sei vip – Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Diego Abatantuono, Pierfrancesco Favino, Sabrina Ferilli e Valerio Mastandrea – che poi ha il compito di riproporre al resto della tavolata i piatti assaggiati in giro per l’Italia. È immediatamente intuibile che la riuscita degli episodi dipenda dalla simpatia del partner di Cracco. Per dire: il surrealismo di De Luigi è un discreto ingrediente per assaporare il risotto al parmigiano con salama da sugo, mentre il turpiloquio berciante e gratuito della Littizzetto rendono indigesto anche il promettente caciocavallo di Altamura. Incontri e dialoghi con pastori, pescatori, contadini hanno un sapore ruspante come la «minestra con casu ’e fitta» di Sadali in Sardegna, con annesso rituale anti malocchio a opera della nonna ultranovantenne. È quando si torna nel living di campagna con attori e attrici che la sensazione di falso costruito copre tutti i sapori. Il cazzeggio finto improvvisato dovrebbe servire ad allargare la platea, ma si rischia l’effetto contrario. Per fare audience servono i volti noti. È questa la filosofia dei format ad alto budget di Prime video? Far fare cose diverse ai soliti noti che già imperversano quotidianamente in tutte le salse? L’abbiamo vista realizzata in Celebrity hunted e in Lol: chi ride è fuori e, proprio per l’artificiosità delle situazioni, non ha particolarmente entusiasmato. Chissà perché dobbiamo continuare a dipendere dalle gesta delle celebrity anche uscendo dalle tv generaliste. Dove, peraltro, pure le sorti del Grande fratello vip cominciano a mostrare l’obsolescenza della formula. Sarà che siamo ancora immersi in una situazione particolare, sta di fatto che l’esibizione dei vip inizia a scatenare reazioni allergiche. Soprattutto perché c’è il sospetto che questo tipo di televisione sottenda un’idea mortificante del pubblico. E perché da una piattaforma come Prime video ci si aspetta molto di più.

 

La Verità, 28 settembre 2021

Con Salerno direttore, Fazio si avvicina a La7

Insomma, l’altra sera il trivio che si staglia davanti a Fabio Fazio, ormai ribattezzato FF, insieme con Luciana Littizzetto, ovviamente LL, ha avuto una plastica e autoreferenziale rappresentazione nel corso di Che tempo che fa. Il primo ospite era Walter Veltroni, nella nuova vita scrittore e regista, ma sempre punto di riferimento della sinistra romana di cui è espressione anche Andrea Salerno, neo direttore di La7. In chiusura di programma, invece, Littizzetto ha sottolineato gli inusitati elogi al partner espressi da Silvio Berlusconi nella famosa intervista a Panorama. Insomma, l’asta sul futuro della coppia è andata in onda in diretta. FF e LL sono in Rai, nella quale difficilmente rimarranno, ma dalla quale attendono una proposta. Ascoltano il canto delle sirene di Mediaset, nei confronti della quale sono state fatte aperture esplicite, prontamente e autorevolmente ricambiate. Infine, sondano il percorso che potrebbe condurli nella televisione di Urbano Cairo. Il quale sta muovendo le sue pedine, con tutta la circospezione di cui è dotato. Prima l’acquisto di Massimo Gramellini dalla Stampa, grande firma dall’identica fede calcistica e conduttore su Rai 3 di Le parole della settimana, spin off di Che fuori tempo che fa. Poi la nomina di Beppe Severgnini alla direzione di 7, il magazine del Corriere della Sera, con il non sempre elegante avvicendamento degli storici collaboratori. Infine, ora, l’inattesa scelta del veltroniano Salerno al vertice della rete, annunciata in contemporanea con un post su Facebook da Enrico Mentana, la sintonia con il quale è stata ribadita su Twitter dal neo direttore con un selfie che li ritrae insieme. Se era difficile immaginare FF e LL in dialogo sui contenuti con Fabrizio Salini, il direttore uscente di La7, non lo è affatto con Salerno.

Anche se con queste scelte si copre a sinistra, Cairo un po’ berlusconiano lo è davvero. Sebbene alcuni suoi suggerimenti non abbiano sortito i risultati sperati, l’impostazione alla rete vuol darla lui. L’editore di Rcs non è uomo che si muove in base a strategie di lungo periodo o per «degrillinizzare» il canale, ma un pragmatico che bada al sodo e al budget. Tuttavia, risulta difficile immaginare che l’ex assistente di Enzo Siciliano in Rai, il suggeritore di Serena Dandini e Sabina Guzzanti, l’ex direttore editoriale di Fandango e l’autore di Gazebo si limiti al ruolo di coordinatore del palinsesto. Ed è altresì difficile immaginare che, con tutte le sue frequentazioni, Salerno non imbarchi qualcun altro nella nuova avventura. Se si voleva facilitare l’approdo di Fazio e Littizzetto a La7, ecco fatto. Prendendoli da Rai 3, Cairo assesterebbe un colpo tremendo alla rete concorrente e sistemerebbe il week end della sua. Budget e sirene Mediaset permettendo. L’asta continua.

La Verità, 16 maggio 2017

Il trivio di FF, Mediaset prima opzione poi La7

Magari non succederà niente. E Fabio Fazio si quieterà rimanendo appollaiato nella domenica sera di Rai 3. O magari assisteremo a un bel ribaltone, di quelli che stravolgono gli equilibri televisivi. Un clamoroso cambio di casacca. Lo scopriremo nelle prossime settimane, ma le premesse ci sono tutte. In questi giorni i dirigenti Mediaset stanno definendo l’offerta per il conduttore di Che tempo che fa e la sua squadra. Qualcuno sostiene che la proposta sia già stata presentata. Proposta ampia, pacchetto completo. Non solo per il programma della domenica sera. Sollecitato dai nuovi autori e autrici, Fazio vuole provare altre strade, primetime o strisce di seconda serata, come ha già dimostrato con il Rischiatutto 2.0 per il quale aveva sperato nella promozione su Rai 1. I dettagli si preciseranno strada facendo.

Chi conosce FF lo descrive attraversato dal dubbio amletico: lascio la Rai dopo 34 anni di onorato servizio (pubblico) o rimango? Nel conduttore savonese convivono due anime, riconoscibili nel nome e cognome. La differenza è in una consonante. L’anima buona e conciliante è quella di Fabio, con quella «bi» morbida e rotonda che favorisce le convergenze. Potremmo definirla l’anima goliardica e arboriana, quella più in auge al momento e visibile in Che fuori tempo che fa. Poi c’è l’anima sferzante di Fazio, dominata dalla «zeta» tagliente e pronta a recidere. È l’anima più ideologica e savianesca, televisivamente un tantino in ribasso dai tempi di Vieniviaconme e Quello che (non) ho.

Dunque, FF è di fronte al bivio. Anzi, al trivio: Rai, Mediaset o La7? Dopo la famosa intervista a Repubblica, nella quale parlò di «un vulnus forse insuperabile» riferito agli attacchi della politica che hanno provocato la rottura «di un patto di fiducia tra Viale Mazzini e gli uomini e le donne che ci lavorano», è difficile immaginare che rinfoderi la spada e torni nei ranghi. A fine maggio su Rai 1 sarà il cerimoniere di un evento speciale per il venticinquesimo anniversario della strage di Capaci. Ma, a quel punto, i giochi potrebbero essere fatti. Il suo contratto scade a giugno e, polemiche per il tetto di 240.000 euro a parte tutte da gestire, con qualsiasi cachet non mortificante rispetto all’attuale (circa 2 milioni l’anno) dovesse restare in Rai, si troverebbe sempre in una posizione scomoda e sotto tiro dei commissari di vigilanza. Difficile lavorare sereni sentendosi graziati dall’Avvocatura dello Stato.

Beppe Caschetto, manager di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto

Beppe Caschetto, manager di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto

In quella stessa intervista il conduttore aveva annunciato la possibilità di autoprodurre i suoi programmi. Anche per Mediaset? «Nessuna difficoltà», era stata la risposta. «Se i partiti indeboliscono il servizio pubblico, gli editori privati sono incoraggiati ad approfittarne». Per Mediaset i 2 milioni annui non sono un problema insormontabile. Anzi, considerato il contratto ad ampio raggio d’azione, il cachet potrebbe pure lievitare. Nemmeno sarebbe un ostacolo il trasferimento di Luciana Littizzetto, che ha già collaborato con Canale 5 partecipando ai programmi di Maria De Filippi. Altri dettagli sarebbero risolti da quello stratega delle trattative che risponde al nome di Beppe Caschetto, altro protagonista della scacchiera. È sugli spazi e i contenuti televisivi del pacchetto che si deciderà il futuro di FF (e quello di LL). Sensibile, da buon ligure, al richiamo del portafoglio, tuttavia, da quando riscosse la famosa buonuscita (14 milioni) per la morte precoce del progetto di La7 targato Roberto Colaninno, Fazio non ha più problemi di soldi. Contano molto le garanzie, la libertà di movimento, l’autonomia editoriale. Tra le tante star Rai che mandano segnali d’irrequietezza, osserva una fonte beninformata, Fazio sembra quello più facilmente integrabile nella programmazione delle reti Mediaset.

I giochi, tuttavia, sono appena cominciati. Ecco perché non va dimenticata anche l’opzione La7. In rotta con la dirigenza Rai, nel 2012 Fazio condusse proprio nella tv, allora di proprietà Telecom, Quello che (non) ho (in coppia con Roberto Saviano). Dal punto di vista editoriale il passaggio a La7 potrebbe essere ancora più disinvolto. In un colpo solo l’arrivo del conduttore di Che tempo che fa accenderebbe la rete nel week end, smonterebbe un pilastro della concorrenza e arricchirebbe la squadra composta da Enrico Mentana, Lilli Gruber e Giovanni Floris. Dalle parti di Cairo, però, si sa bisognerebbe superare l’ostacolo economico.

Non resta che aspettare. FF foglia il 730. E i palinsesti: vado o non vado? Avrà l’ultima parola la «b» o ce l’avrà la «z»? Magari non succederà niente. O magari…