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Una storia che scorre come l’acqua (di Chioggia)

Odio il Natale è una miniserie di Netflix sull’amore in sei episodi di mezz’ora l’uno che si bevono in un sorso. Perché, anche se è in parte prevedibile che l’odio del titolo si tramuti nel suo contrario, tuttavia il racconto è spumeggiante, come direbbe Jim Carrey. Una serie acqua e sapone, con dialoghi rapidi che non disdegnano qualche riflessione, e senza influenze gender, se si eccettua una misuratissima sbandata lesbo che non devia il corso degli eventi. A differenza della Chioggia intravista in We are who we are di Luca Guadagnino, dove fluidità e transessualità erano il centro della storia, qui siamo proprio tra i canali della cittadina lagunare ritratta in una luce sempre solare sebbene sia pieno dicembre. L’altra imprecisione, com’è stato notato, è la parlata dei protagonisti con lievi inflessioni romane, a eccezione del padre della protagonista e del ricco imprenditore del prosecco, suo spasimante. Un difetto tollerabile tra tanti pregi perché, in realtà, i chioggiotti parlano normalmente un dialetto incomprensibile e l’accento locale avrebbe dato alla storia un carattere provinciale che non vuole avere.

Anche se appare più giovane, Gianna (Pilar Fogliati) è un’infermiera trentenne single molto apprezzata dai colleghi per la disponibilità e il tempismo dei suoi interventi. Il Natale si avvicina e, mentre sorella e fratello sono sposati, lei è il cruccio della madre perché non si spiega come, dopo che il fidanzato storico l’ha lasciata tre anni fa, una ragazza così bella e piena di vita non abbia ancora trovato un nuovo compagno. Che ansia! Vi prometto che alla cena della vigilia verrò con il nuovo fidanzato. Il quale, in realtà, non esiste. Come trovarlo è il tema degli aperitivi con la sorella e le amiche del cuore consumati al bar dove lavora una di loro, anche lei trentenne, carina e ancora illibata. Ma mentre sui canali si allestisce il presepe e il Natale si approssima inesorabile, gli approcci con l’altro sesso sono più che mai insoddisfacenti…

Realizzata da Luca e Matilde Bernabei di Lux Vide, ora società del gruppo Fremantle, Odio il Natale è un adattamento della norvegese Natale con uno sconosciuto. Notevole per la freschezza quasi fiabesca, regala un paio d’intuizioni sottotraccia, ma sostanziali come certi ingredienti nascosti nelle buone ricette. Senza la statuetta del Bambin Gesù, scomparsa nel canale e rinvenuta in extremis dai sommozzatori, non sarebbe un vero Natale. Il quale, a ben vedere, è la festa dell’imperfezione e non è indispensabile essere «a posto» per poterlo celebrare.

 

La Verità, 22 dicembre 2022

Pd e Corriere alleati alla conquista della Rai

I giochi in Rai sono quasi fatti. Il Pd di Enrico Letta e il Corriere della Sera di Urbano Cairo hanno deciso. Eleonora «Tinny» Andreatta diventerà amministratore delegato della Rai e Ferruccio De Bortoli presidente. È una coppia da establishment blasonato, che compiace i poteri forti della politica e del mondo della comunicazione. Resta da vedere se Mario Draghi ci metterà la firma o vorrà sparigliare. Il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli e il capo di gabinetto Antonio Funiciello, delegati al dossier, stanno esaminando i curriculum per impiattare il ticket da servire al premier. La prima regola da rispettare è la composizione mista, un uomo e una donna per soddisfare il nuovo verbo dell’inclusività, subentrato a quello della meritocrazia. Il «quasi» che lascia ancora un margine d’incertezza sull’esito finale dipende dalla sopravvivenza di un paio di abbinate outsider. Come quella che vedrebbe in Paolo Del Brocco, stimato capo di Rai Cinema, un amministratore anti piattaforme dello streaming, e in Paola Severini Melograni un presidente in grado di valorizzare il mondo del sociale. Un’altra alternativa ipotizza Monica Maggioni nel ruolo di ad e l’economista Alberto Quadrio Curzio in lizza per la presidenza. Spifferi incontrollati e autocandidature a parte, entro fine maggio il premier cercherà di trovare la quadra della composita maggioranza per avvicendare Fabrizio Salini e Marcello Foa al vertice della tv pubblica.

Diversamente dai precedenti giri di nomine, stavolta De Bortoli non si è defilato. Il due volte direttore del Corriere della Sera e attuale presidente dell’editrice Longanesi potrebbe avere l’aplomb giusto per la Rai delle larghe intese. Nella casella più importante si accomoderebbe invece la Andreatta, figlia di Beniamino, maestro riconosciuto di Letta. Eleonora ed Enrico, affini nei modi lievemente alteri, sono come fratello e sorella. Per una vita, lei ha disposto a piacimento della fiction Rai e dei suoi budget multimilionari. Poi, improvvisamente, nel giugno scorso, ha preso baracca e sceneggiature e si è trasferita a Netflix per uno stipendio tra i 700 e gli 800.000 euro. Le cose, però, non sono andate come sperava. Ecco perché, nonostante l’inevitabile ridimensionamento del cachet, vorrebbe rientrare dalla porta principale di Viale Mazzini. L’aspirazione si è vieppiù consolidata con il rientro di Letta a Roma per guidare il Pd. Un ritorno tira l’altro. E se poi c’è anche la benedizione da lontano dello zio Gianni, consigliere di Berlusconi, il cerchio si può chiudere. «Ma come, è passato meno di un anno dal suo addio alla Rai», è sbottato qualcuno in commissione di Vigilanza appena si è fatto il nome di Tinny. Così è stata fissata una clausola di non concorrenza per chi ha da poco lasciato Mamma Rai.

Ma il progetto è solo rallentato. Chi ha incrociato il segretario dem lo ha visto determinato. Altre ipotesi non intende considerarle. Qualche giorno fa ha avuto grande evidenza sul giornale diretto da Luciano Fontana il colloquio di Aldo Cazzullo con Filippo Andreatta, fratello vero di Eleonora, docente a Bologna e consigliere economico di Letta. Non tutti possono intervistare qualcuno senza spiegare perché ai lettori. Il Corriere può. Pochi giorni dopo, un’altra mega intervista a Luca Bernabei, amministratore delegato di Lux Vide, la società «principale azionista della fiction Rai» targata Andreatta, ha consolidato l’operazione. Don Matteo, Un passo dal cielo, Che Dio ci aiuti, Doc – Nelle tue mani, I Medici, Sotto copertura e Leonardo sono solo alcune delle serie prodotte dalla casa. L’intervista del figlio di Ettore Bernabei e fratello di Matilde, presidente di Lux Vide e moglie di Giovanni Minoli, si concludeva così: «Quando il governo si è insediato abbiamo mandato a tutti… un cofanetto con scritto “Whatever it takes” contenente la prima stagione dei Diavoli, la serie sulla finanza in cui c’è un passaggio fondamentale attorno alla frase con cui Draghi ha salvato l’euro e l’Europa. Ora deve salvare l’Italia e poiché per farlo serve energia, abbiamo riempito la scatola di cioccolatini». La manovra avvolgente sul premier è a uno stadio avanzato e una filiera di potenti famiglie è pronta a salire sul cavallo di Viale Mazzini. C’era una volta il partito di Repubblica, ora c’è quello del Corriere. Già proprietario di La7, anche Cairo caldeggerebbe l’operazione perché, con De Bortoli, farebbe capolino pure in Rai.

Si vedrà. In commissione di Vigilanza c’è chi è pronto alle barricate e ottenere il quorum dei due terzi dei voti, necessario per il presidente di garanzia, non è facile per nessuno. Anche la Andreatta potrebbe trovare qualche ostacolo nel percorso inverso a quello fatto un anno fa. Chissà se Draghi approverà simile concentrazione di poteri. Magari anche pensando a cosa potrebbe succedere nel domino delle direzioni di reti e testate. Ecco perché qualcuno sussurra che a bordo campo starebbe scaldando i muscoli Salvatore Nastasi, segretario del Mibact, in quota Dario Franceschini. Se toccasse a lui la casella di amministratore delegato, a quel punto, seguendo la regola del ticket misto, tornerebbe in discussione De Bortoli…

Insomma, i giochi sono fatti. O quasi.

 

La Verità, 27 aprile 2021

Leonardo, un polpettone di favole e cliché

Genio e tormenti. Talento e sofferenza. Raccontare la vita di Leonardo da Vinci, il più grande ingegno del Rinascimento, scienza e creatività massime, è impresa al limite dell’impossibile. La scorciatoia che la semplifica è affidarsi ai cliché, alle formule collaudate. In Leonardo, il polpettone da 30 milioni di euro che da martedì, per quattro serate, va in onda su Rai 1 (ore 21,35, share del 28,4%, 6,9 milioni di telespettatori) si è scelta la ricetta giallorosa con qualche spruzzata di arancione. Del resto, quando a una serie con grandi ambizioni internazionali (finora è stata venduta 120 Paesi) collaborano Rai, France Télévisions e Zdf (sceneggiatori Frank Spotnitz e Steve Thompson, registi Dan Percival e Alexis Sweet), una narrazione standardizzata sull’inclusività è l’inciampo più prevedibile nel quale si può incorrere. Stupisce, ma fino a un certo punto, che sul biopic di candelabri e turbamenti proibiti, ci sia la firma di Lux Vide, già produttrice dei Medici. Mentre stupisce meno che ad attivarla sia stata l’ex capo di Rai Fiction Eleonora Andreatta prima di traslocare a Netflix.

Or male. Per appassionare il grande pubblico internazionale alla storia di uno dei più grandi geni della storia dell’umanità si è deciso di far prevalere il linguaggio del giallo e del fogliettone sessuale sulla parte artistica, resa incentrando ogni episodio su un’opera del Maestro (Aidan Turner). Che subito incontriamo imputato di omicidio di tal Caterina da Cremona (Matilda De Angelis), qui coprotagonista, utile a tessere l’intreccio privato: il talento misterioso, l’inclinazione omosessuale, l’invidia dei compagni della bottega di Andrea del Verrocchio (Giancarlo Giannini), soprattutto lei, grande amore incompiuto. «Un’amante?», gli chiede l’inquisitore Stefano Giraldi (Freddie Highmore). La risposta di Leonardo è un capolavoro di ambiguità: «Fissate mai il cielo? Sapete: l’aria non ha colore, è invisibile. Eppure il cielo è colorato di blu. Un enigma come il cielo, questo era lei per me». Così, non possono che vincere solitudine e tormenti, rifiuti e incomprensioni. Tanto più se sullo sfortunato genio incombe dalla nascita la maledizione annunciata dall’uccellaccio posatosi sulla sua culla d’illegittimo neonato. Una spruzzata gotica fa sempre audience. «Una fiction non è un documentario», hanno ribadito i produttori mettendo le mani avanti alla presentazione. Concetto espresso ancora meglio da Giannini: «Noi attori raccontiamo delle favole». A volte anche troppo.

Anche Rai 1 vuole farci morire camorrologi

Moriremo tutti camorrologi. Oppure mafiologi. Insomma, esperti di criminalità organizzata in tutte le sue sfaccettature. Su Canale 5 è in onda Squadra mobile. Operazione Mafia Capitale, su Netflix è visibile Suburra, mentre lunedì sera è iniziata su Rai 1 Sotto copertura. La cattura di Zagaria, seconda stagione dopo la prima, in due episodi, dedicata all’arresto del boss dei Casalesi Antonio Iovine. Stavolta, per prendere il capoclan latitante da vent’anni, interpretato da un Alessandro Preziosi che fa la faccia feroce, di episodi ce ne vorranno ben otto concentrati in quattro serate (Rai 1, lunedì, ore 21.25, share del 20.22%). I due boss camorristi furono incarcerati a poco più di un anno di distanza tra novembre 2010 e dicembre 2011 al termine delle operazioni guidate dal capo della Squadra mobile di Napoli Vittorio Pisani e dunque ha una sua plausibilità la realizzazione di due serie con lo stesso titolo. Poco dopo l’arresto di Iovine, grazie alle soffiate dei collaboratori di giustizia, prende corpo la pista che porterà alla cattura di Michele Zagaria. Nella fiction, già nel primo episodio gli investigatori lo localizzano nel bunker di Casapesenna, suo paese natale. Ma la strada è ancora lunga perché, sulla base delle dichiarazioni di un pentito, il capo della polizia viene accusato di collusioni con le cosche. Accuse che innescheranno un procedimento giudiziario che si concluderà con la piena assoluzione nel giugno 2015, ma che hanno suggerito alla produzione un’identità di fantasia al personaggio di Claudio Gioè.

I clan camorristici non sono esattamente l’habitat di Lux Vide, incline a stemperare il noir criminale con le vite private dei poliziotti. Uno di loro vuole riconquistare la moglie, un altro ha in animo di lasciare la polizia per dedicarsi di più alla famiglia, il più giovane dei tre è fidanzato con la figlia del capo. Pure i camorristi hanno un cuore e il braccio destro di Zagaria cede al fascino di sua nipote. Ancor meno credibile appare l’intervento in cui Arturo deve piazzare «sotto copertura» una cimice per intercettare il boss nel bunker ma, nel momento di massima tensione, gli squilla il cellulare. Ingenuità a parte, Rai Fiction e Lux Vide sembrano averci preso gusto. Forse nell’intento di saturare il pubblico prima di Gomorra 3. Moriremo camorrologi.

La Verità, 18 ottobre 2017

L’ambizione dei «Medici» e quei dialoghi da rivedere

Era ora che la Rai tornasse a pensare in grande e che ritrovasse l’ambizione di un progetto internazionale. Era ora che almeno provasse a rompere il cerchio di medici in famiglia, preti detective e commissari antimafia e a gettare il racconto oltre la routine. Cast, budget, sforzo produttivo, riprese in esterni sono alla base dei Medici – Masters of Florence, nuova serie in otto episodi con la quale la tv pubblica torna a guardare al mercato mondiale (Rai 1, martedì ore 20.30). Lo share del 29,9 per cento medio nei primi due episodi è la prima nota lieta, la seconda è che la storia ha attratto parti consistenti di pubblico giovane: un terzo dei maschi tra i 15 e i 19 anni e quasi la metà delle ragazze da 15 a 24.

Cosimo de' Medici (Richard Madden) con la Contessina de' Bardi (Annabel Scholey)

Cosimo de’ Medici (Richard Madden) con la Contessina de’ Bardi (Annabel Scholey)

L’ambizione, dunque: di competere con la grande serialità straniera e con saghe familiari storiche come I Borgia o I Tudors. Dustin Hoffman e Richard Madden saranno stati sedotti da questo obiettivo. Le firme erano importanti. Lux Vide e Rai Fiction (produttrici insieme con Big Light Productions e Wild Bunch Tv) sono riuscite a ottenere i permessi per girare nei luoghi originali e bisogna riconoscere che l’ambientazione nella Firenze rinascimentale, con cattedrale ancora priva di cupola, è protagonista della storia quanto Giovanni de’ Medici (Hoffman) o il figlio Cosimo (Madden). Oltre al tentativo di valorizzare la scenografia, altro sforzo riconoscibile è l’impegno a raccontare un’epoca storica lontana col linguaggio della serialità più moderna. Così la saga familiare che è alla base della nascita della finanza moderna si trasforma in una lotta di potere che include passioni, rivalità, arte, corruzione della Chiesa, matrimoni combinati per sanare dissesti economici, machiavellismi vari.

Le premesse sono ottime, dunque. Purtroppo è la sceneggiatura a difettare, perdendo di definizione nei continui flashback di vent’anni in vent’anni tra la Firenze insidiata dalle mire dei Visconti e la Roma papalina di cui Giovanni de’ Medici diviene il banchiere di fiducia. Anche i dialoghi avrebbero goduto di un editing più pignolo e ci saremmo evitati espressioni come «Lei vende cicuta? La vende anche in forma liquida?» (il tuttofare mediceo allo speziale), oppure di sentir parlare di «autopsia» già in epoca rinascimentale.

In definitiva, se si può apprezzare l’ambizione e lo sforzo dell’operazione messa in campo da Rai Fiction, bisogna ammettere che per competere con il meglio della serialità internazionale c’è ancora un po’ di strada da percorrere.

Il geniale tutorial di Frassica per noi nativi analogici

Lo dichiaro subito: ho una spiccata simpatia per Nino Frassica. Per il suo funambolismo linguistico – i colti lo chiamano “lessico surreale” – e il suo pindarismo dialettico. La sua arte di saltare di palo in frasca senza mai perdere contatto con Continua a leggere