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«Con gli Sgarbi racconto il per sempre dell’amore»

Buongiorno Pupi Avati, finalmente torna sul set.

«Finalmente, sì. Le riprese di Lei mi parla ancora dovevano iniziare il 25 marzo. Poi…».

Quando uscirà nelle sale?

«Nel 2021. Vision Distribution ha mostrato grande coraggio per co-produrre una pellicola di qualità e controcorrente come questa».

Come sarà girare post Covid?

«Dobbiamo rispettare una serie di regole e vincoli. Mi hanno fatto il test sierologico e dovrò ripetere il tampone ogni settimana».

E la troupe?

«Sarà sempre monitorata. Abbiamo un medico e un infermiere fissi sul set. Noi che siamo sempre accoglienti con chi vuole assistere, stavolta siamo blindati. Ingresso vietato anche alle troupe della Rai».

Limitazioni anche di tipo artistico?

«Avevamo previsto circa 360 comparse, ce ne hanno concesse meno della metà».

Però…

«Finalmente si comincia. Anzi, facciamo presto…».

A 81 anni compiuti, Pupi Avati, reduce da Salina dove ha ritirato il premio Troisi alla carriera, è ancora entusiasta del suo lavoro, «un mestiere che non s’impara mai», e non vede l’ora di dare il primo ciak, lunedì prossimo, a Lei mi parla ancora, il film ispirato al libro nel quale Giuseppe «Nino» Sgarbi, padre di Elisabetta e Vittorio, si rivolgeva alla moglie Caterina «Rina» Cavallini da poco scomparsa. Era una lunga e struggente lettera all’amata di una vita, terzo capitolo della saga di una famiglia di farmacisti con grandi vocazioni artistiche (lo stesso Nino, morto nel gennaio 2018, iniziò a scrivere a 93 anni, cedendo alle insistenze della figlia).

A interpretare papà Sgarbi doveva essere Massimo Boldi.

«La primissima idea era stata Renato Pozzetto. Solo che avevo avuto un piccolo diverbio con lui e avrei dovuto chiamarlo per chiedergli scusa. Ma tendevo a rimandare. Alla fine, dopo varie peregrinazioni, ho pensato che conveniva rompere gli indugi pur di averlo».

Una di queste peregrinazioni l’aveva portata da Johnny Dorelli: sarebbe stato un bel colpo di cinema.

«C’è stata anche questa ipotesi, ma lui non se l’è sentita mancando dal set da troppi anni. La scelta di Pozzetto è la migliore, a conferma che non tutti i mali vengono per nuocere. Mi stimola anche la sfida di offrire un ruolo drammatico a un attore esclusivamente comico».

Un’operazione che ha già avuto successo con altri.

«Ma ogni essere umano, ogni attore, è diverso. Pozzetto non è Diego Abatantuono o Carlo Delle Piane o Neri Marcoré. Ognuno ha il proprio temperamento…».

Invece con Stefania Sandrelli nessun dubbio?

«Nessuno».

Oltre al Covid e al cast ha dovuto superare altri scogli?

«Dal libro che lei mi ha suggerito di leggere, perché è stato lei a segnalarmelo, dovevo trarre un mio film. Nel far cinema ho sempre attinto ai miei ricordi senza dover ricorrere a quelli di altri. Questa era la prima volta. Ma leggendo il mémoire di Nino Sgarbi mi ha commosso la storia, assolutamente anacronistica, di un matrimonio durato 65 anni. Dovevo trovare il modo di appropriarmene, di farla mia».

E come ha fatto?

«Ho pensato di raccontare com’è nato il libro, frutto dell’incontro tra un anziano farmacista di Ro ferrarese e un ghostwriter che lo induce a scavare e raccontare le sue memorie. Il film è il prequel del libro».

Non potendo scrivere perché semicieco, Nino Sgarbi ricordava e Giuseppe Cesaro trascriveva…

«Si è instaurata una simbiosi letteraria tra due persone di età e di esperienze molto diverse».

Intervistato per Panorama Cesaro mi disse che dialogando con Nino gli sembrava di farlo con suo padre, anch’egli rodigino.

«Sarà Fabrizio Gifuni a interpretare il ghostwriter con situazione familiare sgangherata alle spalle. Il rapporto tra lui e papà Sgarbi aveva qualcosa di surreale, perché erano due mondi lontani che s’incontravano non senza la fatica di trovare un linguaggio comune. Il film racconta l’interlocuzione tra il buon senso di questo vecchio e colto signore e il più giovane intellettuale dall’esistenza disordinata».

Chi interpreta Bruno Cavallini, fratello di Rina e zio di Elisabetta e Vittorio?

«Alessandro Haber. Bruno Cavallini era l’intellettuale della famiglia che parlava di poesia con Nino. Era una persona di grande fascino che sedusse e influenzò Vittorio da giovane».

Elisabetta Sgarbi?

«Sarà impersonata da Chiara Caselli, già con me nel Signor Diavolo».

Com’è stato collaborare con i fratelli Sgarbi?

«Elisabetta è una persona meravigliosa, una collaboratrice generosissima che tiene molto a questo progetto. Anche Vittorio ha dato dimostrazione di pudore, restando a distanza. Temevo la sua esuberanza, invece ha mostrato grande rispetto per il nostro lavoro».

Che cosa l’ha affascinato di più di questa storia?

«L’idea del titolo, Lei mi parla ancora. Il fatto che lui non voglia credere che lei non ci sia più».

Il protrarsi del rapporto?

«Oltre l’evento traumatico che li aveva separati. Tanto che lui sosteneva che lei fosse ancora nascosta nella casa».

Torna a girare nella Romagna che confina con il Veneto, il Po…

«È la parte dell’Emilia più rimasta legata alla sua storia. In questo tempo sospeso, nel silenzio della casa, tra le donne di servizio e le opere d’arte raccolte da Vittorio e dalla madre, è più facile capire come questo vecchio signore continui il dialogo con la donna della sua vita. È una situazione che ha a che fare con un non tempo, con un tempo fermo».

È il tema centrale del film?

«Il non tempo è il “per sempre” della promessa che Nino e Rina si sono fatti quando hanno deciso che si sarebbero sposati. Una volta si credeva in queste promesse. Ora, nella formula del matrimonio civile, non è nemmeno contemplata, non si dice “finché morte non vi separi”. Anche se poi non accade, nel momento in cui lo dici devi crederci. I ragazzi di oggi non aspirano a questo per sempre».

Per mancanza di ambizione, per incapacità di pensare in grande?

«Certo, adesso è tutto relativo. Lo stesso vocabolo “compagna” trasmette un senso di provvisorietà, “moglie” è molto più impegnativo».

(Voci in sottofondo) Che succede?

«Qui ascoltano e ridono. Dicono che si parano il c… Invece è bello crederci e rischiare».

Questo film sarà visto in prevalenza da persone anziane?

«Ha un target certamente non giovanile o giovanilistico. Nel leggerlo si commuovo anche i miei collaboratori, ma non sono sicuro che i ragazzi oggi abbiano voglia di commuoversi. Un film romantico e letterario è una sfida».

La sfida è raccontare l’amore come una forza che cambia nel tempo?

«Io ci posso provare avendo sperimentato in 55 anni di vita insieme tutte le temperature, difficoltà comprese, del matrimonio: mestiere difficilissimo. Se non ci fosse mia moglie, il mio hard disk…».

Senza il quale i file non funzionano…

«Dentro i suoi occhi ci sono io in tutte le età».

Lei mi parla ancora dirà qualcosa ai giovani delle difficoltà a metter su famiglia?

«Noi non abbiamo mai pensato che mettere al mondo un figlio fosse una variabile nella programmazione finanziaria della coppia: prima compriamo la macchina, poi l’appartamento, poi facciamo un figlio. Oggi c’è grande rispetto per la natura e la cultura green, ma quando si tratta di avere figli iniziano le eccezioni».

 

La Verità, 29 luglio 2020

«Nei talent (e nella vita) vincono gli incassatori»

Mara Maionchi si aggira per il teatro Linear Ciak di Milano con un’Italia d’oro appesa al collo. «Le piace? Siamo italiani, no? Io sì», ridacchia. «Non dobbiamo star sempre lì a incensare inglesi e tedeschi». L’undicesima edizione macina record di X Factor è finalmente entrata nel vivo con la prima serata live e, oltre alla curiosità di vedere chi vincerà, c’è quella di seguire il ritorno in giuria della più politicamente scorretta tra i giudici. Pronti via, dopo le esibizioni dei primi due concorrenti subito scintille tra lei e Manuel Agnelli. Il casus belli è stata la scelta di un brano di Jacques Brel, considerato troppo classico per un concorrente di Mara. «È più facile far casino sui tavoli piuttosto che cantare un amore finito. Io di casino sui tavoli ne ho già visto a strafottere», ha replicato lei, criticando a sua volta la performance di un gruppo di Agnelli.

76 anni, un matrimonio che resiste da 40, parecchie battaglie vinte nel curriculum, compreso un tumore al seno, Maionchi si diverte ancora come ne avesse 25. E anche il pubblico mostra di apprezzare i suoi giudizi senza peli sulla lingua.

Signora, con Agnelli si profila un bel match. Vediamo se è diplomatica o è Mara Maionchi: tra i suoi colleghi giudici con chi ha più feeling?

«Non sono diplomatica, sono sincera: mi sono simpatici tutti. Si possono avere discussioni e opinioni diverse continuando a restarsi simpatici e a stimarsi. Sono tre persone gentili, Fedez è dolce, sa che ho un problema al ginocchio e mi dà una mano, Levante è un amore, Agnelli correttissimo. Le discussioni ci possono stare. Anzi: fortuna che ci sono, altrimenti sarebbe un mortorio. Le idee degli altri le rispetto perché può essere benissimo che io non abbia capito. Non ho certezze e quelle che ho possono cambiare. Poi tutti sanno come sono fatta e i difetti che ho».

Le chiedevo un fatto di pelle, di feeling con loro.

«Ma no guardi, alla mia età ho poca pelle».

Fedez, Levante, Mara Maionchi, Fedez con Alessandro Cattelan

Fedez, Levante, Mara Maionchi e Fedez con Alessandro Cattelan

Più che ribelle si definisce controcorrente.

«Sì, mi piacerebbe esserlo. Gli anticipatori sono sempre un po’ controcorrente. Ma non voglio sembrare presuntuosa».

E qual è la corrente contro la quale va?

«Il già sentito, il già visto. Che non vuol dire la tradizione. Della quale, anzi, dobbiamo tener conto perché è la nostra storia».

E quindi, la corrente da contrastare?

«È l’inutilità. Le canzoni che non danno problemi, che non raccontano storie, che non riescono a provocare discussioni, contestazioni».

Cosa l’ha fatta tornare giudice di un talent?

«La mia storia. La voglia di provare a vedere se sono fuori gioco o no. Sono qui perché sono da quarant’anni nella musica. Quando nacque X Factor in Italia Giorgio Gori, allora capo di Magnolia, scelse me e Morgan. Direi che è andata bene».

È giudice di un talent, ma predica lavoro e lavoro.

«Senza lavoro il talento resta inespresso, non cresce, non si sviluppa. Ci vuole il lavoro affinché il talento si esprima al 100%. Poi ci vuole anche la fortuna, l’occasione giusta… Ma se quando ti si presenta non ti fai trovare pronto perché hai lavorato puoi perdere il treno».

Facciamo un esempio?

«I Beatles il talento ce l’avevano. Ma credo che a loro siano molto serviti gli anni passati in Germania a suonare nei locali, prima di sfondare».

Lo sport è pieno di talenti non completamente realizzati per mancanza di applicazione, Balotelli nel calcio, Fognini nel tennis… Nella musica?

«Il primo che mi viene in mente è Piero Ciampi, un grande autore, un poeta. Che aveva problemi con l’alcol e non lasciato il ricordo che avrebbe potuto lasciare».

Quindi, fra talento e lavoro?

«Ci vogliono entrambi. Credo che, alla fine, i vincenti siano gli incassatori, quelli che rinascono dalle sconfitte. Quelli che resistono alle avversità si rinforzano e hanno più possibilità di vincere».

Qual è la sconfitta più cocente che ha patito?

«Quando fai il discografico e devi far uscire un lavoro nuovo devi superare mille difficoltà. Il primo disco di Tiziano Ferro, nel 2001, io e mio marito l’avevamo offerto a tante etichette, multinazionali importanti. Ci avevano detto tutte di no. Noi eravamo convinti, ma non riuscivamo a imporlo. Alla fine la Emi lo prese, ma eravamo disperati, era l’ultimo tentativo. Le cito questo caso, ma potrei citargliene molti altri».

Anche a X Factor vincono gli incassatori? Alcuni di loro non hanno proprio sfondato.

«Nella vita è più facile fare errori che cose giuste. Si sbaglia, anche con la fissa di cantare in inglese. Però, va bene… sono esseri umani anche i talenti. Non sempre si ha la pazienza giusta».

L’abbiamo vista commuoversi, sotto la scorza…

«Io faccio tutto, piango, m’incazzo, dico le parolacce. Sono una borghese maleducata… Mia madre mi rimproverava, lei tratteneva tutte le emozioni. Io da vecchia non ho ancora imparato».

Qual è la sua musica preferita?

«Il rock, tutto il rock. E il pop, che significa popolare».

Maionchi: «Con Lucio Battisti ho lavorato cinque anni»

Maionchi: «Con Lucio Battisti ho lavorato cinque anni»

Se dovesse dire qualche nome?

«Lucio Battisti, con il quale ho lavorato cinque anni, un autore che ha dato la svolta alla canzone italiana. Poi Mina, certo: indiscutibile. Anche Tiziano Ferro mi piace».

Questi sono tutti pop. Qualche nome rock, anche fuori dall’Italia?

«Ma fuori dall’Italia è un mare, un oceano. Mi fa fare uno sforzo di memoria perché la lista è lunga. Dai Deep Purple ai Pink Floid, dai Led Zeppelin agli Acdc, potrei andare avanti. In Italia Vasco è il primo, rock e pop. I primi due dischi dei Litfiba erano ottimo rock. Andando indietro gli Area, da cui è nato il progressive, seguito anche da Agnelli. Il rock è anche un modo di vivere…».

Torniamo alle sue scoperte. Tiziano Ferro lo cita sempre, come la Nannini…

«Perché sono due con i quali ho lavorato».

Ferro e la Nannini: un feeling particolare con gli omossessuali?

«Ah ah ah… non ci avevo pensato. Pura combinazione. Ho lavorato alla costruzione di un percorso artistico».

Chi sono i geni della musica italiana?

«Giancarlo Bigazzi, Mogol, Ennio Morricone che faceva l’arrangiatore alla Rca, Sergio Endrigo».

I cantautori non sembrano la sua tazza di tè.

«Non è vero. Francesco de Gregori, Lucio Dalla, Fabrizio de André, altro che!».

Tiziano Ferro. Dice Maionchi: «Il suo disco non lo voleva nessuno, poi...»

Tiziano Ferro. Dice Maionchi: «Il suo disco non lo voleva nessuno, poi…»

Lei è severa o solo burbera?

«Vorrei essere severa, ma non sempre ci riesco. Invece, credo che una certa severità all’inglese, stavolta sì, possa servire. Con i ragazzi spingo su questo tasto per capire di che cosa hanno davvero bisogno. Anche se ho 44 anni di discografia sulle spalle, a volte sono spaventata perché quando si lavora per gli altri un tuo errore lo possono pagare loro».

Parliamo della sua vita. Ha sposato un uomo di dieci anni più giovane.

«Il Salerno. Un autore di musica, un paroliere che ha scritto tanti successi».

Una sua nonna invece si separò dal marito all’inizio del Novecento.

«Siamo donne un po’ ribelli. Diciamo che la mia era una famiglia matriarcale».

Ha definito il matrimonio una rottura di coglioni.

«Volevo dire che a volte devi adattarti, essere tollerante».

Il suo regge, nonostante…

«Vale la pena salvarlo sempre. A meno che non ci siano cose gravi. Il matrimonio è fondamentale».

Anche se si è traditi?

«Sa quanti amici e colleghi mi hanno tradito? Non si può lasciare un marito per la sciocchezza di una sera. Ci vuole un po’ di pazienza. Ecco, insieme agli incassatori i vincitori sono anche le persone pazienti. Le persone miti, anche se io non lo sono molto».

Non si deve confondere mitezza con mancanza di schiettezza.

«Esatto. Per dire, san Francesco non si tirò indietro quando c’era da dire al Papa che qualcosa non andava».

Questo Papa le piace?

«Mi piace perché sta facendo un tentativo di cambiare certe cose in Vaticano che era importante cambiare».

Nell’ambiente dello spettacolo se ne vedono di tutti i colori quanto a matrimonio e famiglia.

«E mi dispiace. La famiglia è troppo importante. E non sono bacchettona. Posso presentarle mia figlia?».

È un piacere… Anche sui figli: oggi li si vogliono a tutti i costi o anche non li si vogliono a tutti i costi.

«È vero. Quello che si vede è troppo».

Signora Maionchi, possiamo parlare del tumore?

«È stata una brutta botta. Ho sempre fatto regolarmente gli esami. Tre anni fa il mio medico mi ha detto che c’era qualcosa che non andava. Si pensa sempre di essere immuni, invece stavolta era toccato a me. Fortunatamente i linfonodi erano sani. Ho fatto la radioterapia, non mi sono scoraggiata. Magari a una donna più giovane va peggio perché il male cammina più velocemente. Ho fatto i controlli di recente e va tutto bene».

Ho letto che dice il rosario tutti i giorni: è vero o è una boutade?

«È vero, mi piace. È come un mantra. Per venti minuti mi allontano dal mondo dei viventi e apro un altro canale di comunicazione».

È superstiziosa?

«No, fatalista sì. Quando sarà il mio momento, arriverà».

È credente?

«Sì. Anche se non frequento il fan club perché non sempre mi ha soddisfatto».

Quand’era più giovane o di recente?

«Quand’ero più giovane. Però, adesso quello che conta di più è che sono credente».

Le piace molto stare con i giovani. Si vede che è a suo agio, senza maternalismi…

«Mi piace perché sono freschi, immediati, non costruiti. Anche nelle stupidaggini. Non ho retropensieri. Mi piace anche quando mi mandano a dar via il culo. Spesso hanno ragione».

Chi è la persona da cui ha avuto di più?

«Mio marito, anche se abbiamo passato la vita a litigare. Ma nel litigio abbiamo scoperto delle cose di noi che non conoscevamo».

La Verità, 29 ottobre 2017