«Nemo nessuno escluso si butta in politica»
Un cattolico nel rutilante mondo della televisione. Un autore, giornalista e conduttore che lavora a partita Iva senza un influente agente alle spalle (in mezzo a colleghi che ce l’hanno). Uno che si dimette dalle Iene perché un suo servizio che ristabiliva la verità sul suo conto non viene trasmesso. Ma lo fa senza indossare i panni della vittima della censura. Uno che passa da Mediaset a La7, da Tv2000 alla Rai, dove adesso è responsabile di Nemo, nessuno escluso. Alessandro Sortino è romano, ha 48 anni, è sposato con Cecilia da 17, ha due figli e una matassa di capelli rossi.
Venerdì su Rai 2 riparte Nemo, nessuno escluso: nuove asticelle?
«Vogliamo entrare nel racconto della politica con Enrico Lucci e altri inviati. Seguiremo la formazione del nuovo governo. La nuova asticella è farlo con il nostro stile, mettendo da parte ideologie, tesi precostituite, capri espiatori per incontrare la realtà nella sua interezza».
«Nessuno escluso» è un manifesto, un principio bergogliano, l’idea che val sempre la pena di ascoltare le ragioni dell’altro?
«È la carta d’identità della nostra redazione. Dove non la pensiamo tutti allo stesso modo. Io sono cattolico praticante, gli altri in maggioranza no. Ma il cristianesimo non è escluso. Quello che chiedo a tutti è di lasciarsi stupire dalla realtà. Stupore è la parola che usiamo di più».
Soddisfatto del risultato?
«Ogni tanto sto male, perché faccio un programma che non sempre coincide con la mia visione. Però, sono contento quando vedo che le persone si accostano a un’inchiesta in modo autentico, lasciandosi cambiare. Spero che questa filosofia renda anche il pubblico curioso di seguire dei racconti che non si sa già dove vanno a parare».
La differenza dalle Iene è meno denuncia e più storie?
«A volte anche Nemo denuncia, il punto è l’equilibrio. Non rinnego la mia storia di iena né penso che Le Iene siano peggio di noi. Vogliamo occupare uno spazio diverso».
Come trovate e vagliate le storie?
«Attraverso i redattori e gli inviati che vivono là fuori. Non c’è altro metodo. Proviamo a raccontare evitando la contrapposizione ideologica».
Si può raccontare la politica fuori dalla contrapposizione ideologica?
«Portando ascolti, la contrapposizione è diventata un format televisivo. Temo che abbia contagiato anche la politica e che determini la scelta degli argomenti. Quanti talk show abbiamo visto sull’immigrazione? Sul fatto che la pianura padana sia uno dei posti più inquinati del mondo, invece zero. Eppure condiziona parecchio la vita dei cittadini».
Voi avete fatto servizi su un italiano che combatte per i russi e su un altro che fa l’addestratore sul fronte anti Isis.
«La guerra è una condizione del mondo contemporaneo. Abbiamo provato a raccontarla attraverso due storie».
L’inchiesta sul racket di Ostia con la testata a Daniele Piervincenzi, le aggressioni a Vittorio Brumotti di Striscia la notizia, le indagini delle Iene sui preti pedofili. L’informazione scomoda la fanno gli intrattenitori?
«La fa chi si trova davanti alla realtà e la racconta intera. Ci sono molti giornalisti tradizionali che la fanno meglio di noi tutti i giorni».
È una forma di supplenza della magistratura, della Chiesa, della scuola?
«Il nostro è un Paese con delle zone franche. Lo Stato non può controllarle perché non si possono militarizzare intere periferie. Facciamo dei dibattiti come se fossimo in Norvegia, mentre ci sono periferie che somigliano più al Messico. Andarci mette in crisi il sistema della zona franca fondato sull’impenetrabilità. Per questo papa Bergoglio parla delle periferie: la nostra società si basa anche sull’esclusione geografica, non solo di reddito».
Come valuti l’inchiesta di Fanpage.it sullo smaltimento dei rifiuti?
«Nunzio Perrella, l’agente provocatore di Fanpage.it, è un camorrista pentito. Con lui l’anno scorso facemmo un pezzo in cui raccontava come aveva sotterrato i rifiuti nella Terra dei fuochi. Allo stesso tavolo c’era una mamma che ha perso suo figlio per un tumore causato dalle sostanze inquinanti e il prete locale. Questo è Nemo».
Autori e giornalisti televisivi sono seguiti da un agente, tu no.
«Diciamo che non riesco a venir meno alla mia autonomia. Forse è un limite. Talvolta è più facile fare un discorso editoriale con gli agenti che con i dirigenti. È la fragilità degli editori a renderli ingombranti».
Hai lavorato a Vita no profit, a Radio Capital, alle Iene, a Matrix, a Presa diretta, a Piazzapulita, a Tv2000, ora in Rai.
«Quando il linguaggio si consolida mi stanco e cerco nuove sfide».
Mediaset, Rai, La7, Tv2000: dove hai avvertito più pressioni?
«Posso dire dove ne ho avvertite meno: a Tv2000».
Com’è cominciato tutto?
«Tra i 20 e i 30 anni seguivo due strade parallele: quella di sceneggiatore e attore e quella di collaboratore dei giornali romani. A un certo punto il mio amico Marco Lillo andò a Radio Capital e mi coinvolse. Vittorio Zucconi mi affidò un talk superveloce alla Stazione Termini sul tema del giorno. Davide Parenti lo ascoltava portando a scuola suo figlio e mi chiamò. Mario Monicelli, per il quale avevo scritto la sceneggiatura di Topi d’appartamento, avrebbe voluto che scrivessi La rosa del deserto, ma io non ce l’ho fatta e a quel punto la carriera è diventata unica. Poi ho scoperto che mi piace più far fare che fare. Quando dei ragazzi trovano il loro linguaggio, anche se non sono d’accordo con me, mi gaso».
Che vantaggi hai tratto dal fatto che tuo padre è stato direttore generale della Federazione italiana editori giornali?
«Una volta mi hanno consigliato di dire che li ho avuti perché si risulta più simpatici. Ma non ne ho avuti, anche per il tipo di persona che è mio padre. Di fronte a questa domanda sono impotente. In Italia se sei figlio di qualcuno che conta è certo che sei raccomandato. Come faccio a provare qualcosa che non è accaduto? Ho sempre avuto la partita Iva e contratti annuali. Ho rifiutato l’assunzione di Tv2000. Alle Iene ero pagato a servizio».
Elio Mastella, figlio di Clemente, ti rinfacciò la paternità influente. E quando il tuo servizio non andò in onda alle Iene perché considerato poco equilibrato ti sei dimesso: è andata così?
«Fui invitato a casa da Mastella e sua moglie. Lui mi spiegò che i politici meridionali erano sopravvissuti a Tangentopoli perché avevano un rapporto diretto con la gente. Che non è la raccomandazione, precisò, ma un’interlocuzione diretta. Fuori c’era la gente che gli portava la crostata e il caciocavallo. Quel servizio andò in onda. Volevo fare un seguito dicendo che era assurdo che inquisissero la moglie di Mastella per comportamenti apertamente dichiarati. Prima che producessi il mio servizio, Skytg 24 trasmise un pezzo in cui il figlio mi accusava di essere raccomandato: la iena ienata. Le domande le aveva formulate il collega di Sky, eppure lui si rivolgeva me, ma le mie risposte non si sentivano. Preparai un pezzo che smontava l’operazione, ma non fu trasmesso. Stava cadendo il governo Prodi».
Che cos’hai tratto da quella vicenda?
«Ho capito che il cognome conta per gli uomini e il nome conta per Dio. Il problema del mio cognome consiste nell’accusa, falsa, di essere raccomandato. Il problema del mio nome si pone se racconto la realtà attraverso l’accusa. Facendo Le Iene ero ritenuto un accusatore. Sono finito nella shit room di internet. Dimettendomi ho voluto affermare la mia dignità, senza fare la vittima della censura. Più della verità, al pubblico interessa la persona messa in mezzo. Così non usciamo mai dal meccanismo di accusa e ravvedimento. Il cristianesimo è proprio il disvelamento di questo meccanismo. Con Malpelo, Beati voi e ora con Nemo tento di mettere al centro la persona intera, non negando il suo male, ma integrandolo nella realtà che la circonda. Non è facile, però ogni tanto si estrae qualcosa dal silenzio, si rintracciano dei segni».
Ti sei lasciato male con Mediaset e Parenti?
«Con Mediaset non lo so. Me ne sono andato e non sono più tornato. A Parenti voglio bene».
Definisci Davide Parenti.
«Tutti abbiamo nei suoi confronti i problemi e le incomprensioni che hanno i figli con i genitori».
Enrico Mentana?
«È l’applicazione delle Lezioni americane di Italo Calvino. Un campione dell’immediatezza. Il racconto filmato non gli interessa».
Che invece interessa Corrado Formigli.
«È ai miei antipodi, più diretto e con meno dubbi, ma anche meno ironico. È quello che mi manca di più».
Paolo Ruffini?
«Un amico. L’unico che sopporta oltre un quarto d’ora di mie elucubrazioni».
A Tv2000 eri direttore creativo, hai fatto Beati voi e ideato altri programmi. Esperienza finita?
«Sono sempre in contatto. Spero che riprenda se ci si mette in un ambito un po’ più ampio».
Cioè?
«Portare i contenuti su più piattaforme. Lo scoop delle Iene sui 5 stelle non è andato in onda per la par condicio eppure ha avuto enorme risonanza partendo dal sito».
La televisione che hai fatto ti appaga o c’è qualcosa che ti pungola per il futuro?
«Mi piacerebbe tornare a scrivere serie tv. La mia creatività sarebbe più rivolta all’invenzione che alla realtà. Ma si colpisce sempre il bersaglio accanto a quello che si punta».
È difficile essere cattolici in tv?
«Rifiuto la logica delle quote e delle caselle. Noto che la maggior parte delle persone pensa pensieri di altri, luoghi comuni. Tanti giovani non credono per motivi inessenziali, ma molto radicati. Mi piacerebbe parlare del Dio sconosciuto, caro a san Paolo».
Hai deciso per chi votare?
«Sì, dopo vari ripensamenti. E non sono convintissimo. Però non lo dico, per rispetto del pubblico».
Che cosa o chi ti riconcilia con la vita?
«Il sorriso di mia madre, che non c’è più».
La Verità, 4 marzo 2018