Tag Archivio per: Romagnoli

«In Romagna si sta bene perché c’è il matriarcato»

Paolo Cevoli lo inseguivo da parecchio. Avevo visto le sue parodie della Bibbia e a più riprese ho tentato, invano, di intervistarlo. Dall’epoca di Palmiro Cangini, il confusionario assessore che faceva divertire il pubblico di Zelig, Cevoli si è reinventato con nuovi show e filmati sui social con centinaia di migliaia di visualizzazioni. La pandemia gli ha fatto interrompere il tour dello spettacolo La sagra famiglia. Siccome, dopo Cent’anni di Roncofritto (Premio Forte dei Marmi) e Mare mosso bandiera rossa (Premio Flaiano) ora sta per uscire Manuale di marketing romagnolo (Solferino), le remore sono cadute. Ma non tutte: alcune, sull’attualità, resistono.

Questo libro è figlio del lockdown?

«Figlio dell’isolamento».

Come l’ha trascorso oltre che scrivendo?

«Bisticciando con mia moglie. Eravamo come Robinson Crusoe e Venerdì. Anzi, io ero il pallone Wilson nel film Cast Away che aiuta Tom Hanks a sopravvivere nell’isola».

È stata un’esperienza faticosa?

«Come per tutti, credo. Abbiamo dovuto rinunciare a tante cose. Però, oltre a scrivere il libro ho imparato a postare dei video sui social che altrimenti non ci avrei nemmeno pensato. Anche per mancanza di tempo».

Si definisce «venditore professionale di aria fritta»: primo consiglio, partire dalla consapevolezza di sé?

«Il segreto del marketing è questo. Ci sono due soggetti, come per esempio io e lei, e bisogna essere consapevoli quando si parla. Bisogna sapere chi sei te, chi hai di fronte e quello che c’è nel mezzo».

Un’altra definizione riguarda la sua terra dove regna «un clima di spensierato patachismo che rende la Romagna un posto unico al mondo». Secondo consiglio, la consapevolezza delle proprie radici?

«A me piace molto anche la definizione di Patrizio Bertelli di Prada: “I romagnoli hanno un simpatico complesso di superiorità”».

Importante che sia simpatico.

«Il romagnolo sa che quello che ha ricevuto dal Padreterno, dalla natura o dai propri avi dev’essere dato agli altri e non trattenuto fra le chiappe. Per esempio, la Liguria è un posto stupendo, però lì i turisti infastidiscono».

I liguri amano il turismo, ma non i turisti.

«Amano i soldi dei turisti».

Invece il vostro senso di ospitalità da dove arriva?

«È un mistero».

Ipotesi?

«È come dire perché sono piccolo, pelato e tracagnotto».

Magari somiglia ai suoi genitori?

«Non so bene perché siamo ospitali. O perché i toscani non lo sono. Magari è perché vediamo il sole sorgere mentre in Toscana lo vedono tramontare?».

Con la vostra ospitalità, Giuseppe e Maria sarebbero finiti in una mangiatoia?

«Certo che no. Avrebbero trovato posto perché l’albergatore sarebbe andato a dormire in garage e loro in camera sua».

Ma la storia sarebbe stata diversa.

«Infatti, meglio che siano andati lì. Non me la sento di criticare il Padreterno per la scelta della location».

La Romagna è stata una scuola di sopravvivenza?

«L’esempio giusto è quello di Tom Hanks in Cast Away. Ci si tengono strette le cose che aiutano a sopravvivere. Il pallone Wilson, che rappresenta la compagnia, uno scopo e l’immagine della moglie che è il motivo per tornare. La Romagna è forte nella compagnia, nello scopo e nell’amore».

Lo scopo è fare la grana?

«Secondo lei? È lo star bene e il fare star bene».

Questo libro è un omaggio ai suoi genitori e al pionierismo imprenditoriale di suo padre?

«Alla pensione Cinzia in piccolo c’era già tutto. È stato un apprendistato di marketing familiare. I social e il telefono, la promozione, l’upgrade e tutto il resto. Il seme era seminato. Come alle scuole elementari, ti infarini con tutto. Poi sviluppi e approfondisci il programma fino all’università».

Perché per i romagnoli il maiale è il migliore amico dell’uomo?

«Perché non si butta via niente, si immola sulle nostre tavole. E della maiala si tiene anche il numero di telefono».

È sicuro che un’espressione così si possa usare?

«Dipende dalle persone».

Si sente totalmente libero nel mestiere di comico?

«La comicità deve nascere da un aspetto affettivo, mai dal cinismo e dalla cattiveria. Mi hanno sempre detto che sono piccolo, pelato e tracagnotto. Sono abituato a essere preso in giro. E poi il politicamente scorretto fa parte dell’indole romagnola».

È sicuro che tutto il mondo invidi lo stile di vita italiano?

«No, non sono sicuro di niente».

Con la pandemia veniamo da un periodo non proprio fulgido.

«Per me l’Italia, con tutti i suoi difetti, è il più bel Paese del mondo. Anche mia moglie ha avuto il suo Mottarone, ma se m’impunto sui difetti mi avvilisco. Brigitte Bardot aveva i nei in faccia, però non è che ci si fermava a quello».

Invece noi invidiamo la lingua inglese. I capitoli del libro sono intitolati in inglese mentre potremmo usare parole italiane.

«Anche ai tempi dei romani si usavano più lingue. L’inglese dell’antica Roma era il greco e poi c’erano i dialetti. Non so se sia un bene o un male. È così: la pandemia è un male, ma alcune cose sono cambiate. Da un naufragio possono nascere fatti positivi, come diceva Fabrizio de André, dal letame nascono i fiori. Io cerco di vedere il bicchiere tutto pieno. Ma ci sono quelli che lo vedono mezzo vuoto o che non vedono neanche il bicchiere».

Perché il cameriere e l’attore sono lo stesso mestiere?

«Perché sono figure che servono gli altri dando sé stessi anche senza dare qualcosa di proprio. Il cameriere porta il cibo del cuoco, l’attore rappresenta un copione. Sono professioni che puntano a fare star bene gli altri. Magari anche altri mestieri sono così, ma io ho fatto questi due. E per un po’ anche l’imprenditore».

Perché nelle località turistiche si stentano a trovare lavoratori stagionali?

«Non lo sapevo».

Qual era il segreto di suo padre per farvi lavorare alla pensione Cinzia?

«Ci faceva divertire con le barzellette. Diceva che bisognava essere felici sia in cucina che in sala perché i clienti volevano della spensieratezza. La cucina era la quinta del palcoscenico».

Perché la prima volta che Gino e Michele le proposero di lavorare a Milano rifiutò?

«Avevo avviato un lavoro con altri soci e non mi sentivo di mollarli. E non credevo di essere all’altezza».

Oggi lo rifarebbe?

«Col senno di poi dico che ho fatto bene. Non ho perso niente. Ho debuttato 12 anni dopo, ma sono stati anni molto belli, che sono serviti per la mia carriera di oggi. È difficile fare il gioco del what if, tanto per restare all’inglese, chiedersi che cosa sarebbe accaduto se…».

C’è stato qualcuno che l’ha convinta a fare il comico?

«Gino e Michele quando mi hanno chiamato a Zelig».

E in gioventù, cosa le ha acceso la lampadina?

«Al liceo un professore mi costringeva a raccontare le barzellette in inglese. Io prendevo le storie del mio babbo e le traducevo. Facevano ridere anche per gli strafalcioni. “Tu devi fare l’attore”, ripeteva il prof».

Perché in Emilia-Romagna comandano le donne?

«Perché è una società antica e contadina. Se il mondo va come in casa mia… Quando hanno chiesto a Draghi se avrebbe fatto il primo ministro, ha detto di domandarlo a sua moglie. Forse non era solo una battuta».

Comandano le donne perché è una regione con due nomi femminili?

«Emilia e Romagna sono tenute insieme dal trattino. Che può essere un elemento di unione o di divisione. A volte mi chiedono che differenza c’è tra l’Emilia e la Romagna. Io preferisco dire le cose che uniscono».

Le donne romagnole diffideranno delle pari opportunità?

«Non lo so, deve chiederlo a loro».

Perché il personal computer è la vanga del terzo millennio?

«È una boutade per parlare della nuova schiavitù. Come i contadini s’ingobbiscono sulle zolle per produrre i frutti della terra, così noi ci ingobbiamo sul pc o sullo smartphone per produrre i frutti del tunnel carpale. Sono strumenti che non ci fanno alzare gli occhi».

Nel libro propone 4 modelli di persone in base a competenza e impegno: Valentino Rossi, molto talento e molta applicazione, Balotelli, più talento che impegno, Madonna, più impegno che talento, Problem creator, né l’uno né l’altro. Proviamo a incasellare alcune persone note?

«Preferirei di no».

Lei dove si inquadrerebbe?

«Non ne ho la più pallida idea».

Test di modernità: che cos’è la Spid?

«Non saprei».

L’app Immuni l’ha scaricata?

«No. Ho avuto il Covid, quasi senza accorgermene».

E come l’ha capito?

«Ero risultato positivo a un tampone rapido e poi anche al molecolare. Mi sono messo in isolamento, ma non avevo sintomi».

Meglio così. Partecipa al cashback e alla lotteria degli scontrini?

«Uso la biro».

È iscritto alla piattaforma Rousseau o vuole mantenere l’incognito e far dispetto a Giuseppe Conte?

«Non sono iscritto a niente. Non amo parlare di politica, preferisco la comicità alla satira, da bambino mi piacevano Stanlio e Ollio, non Alighiero Noschese».

Dove va in vacanza?

«A Riccione. Ci vengono anche i miei figli che vivono a Milano. È l’occasione per ritrovarsi anche con mio fratello e gli amici. Vado in bicicletta, faccio le passeggiate. Poi vado qualche giorno in montagna».

Cosa guarda in televisione?

«Neanche il telegiornale perché mi avvilisco. Leggo solo i giornali. Quando facevo Zelig non mi rivedevo, anche perché lavoravo di sera. Da quando sono sposato abbiamo un monitor con il videoregistratore e i dvd».

L’ultimo programma visto?

«Prima di andare all’università: L’altra domenica di Renzo Arbore, Odeon… Preistoria».

Poi basta?

«Non ho l’antenna. Se volessi vedere i canali Rai, Mediaset o La7 dovrei andare da un amico. Vedo le serie e i programmi in streaming. Qualche sera fa ho visto Il cattivo poeta al cinema. Poi una birra con gli amici e mia moglie, non mi sembrava vero».

Il prossimo progetto?

«Sto lavorando a una web serie con storie di fallimenti e rinascite. S’intitolerà Capriole. Racconterà persone che hanno toccato il fondo e sono rinate. Carcerati, tossici, imprenditori falliti, disabili: un progetto che faccio pro bono grazie a uno sponsor che pagherà i costi. Don Oreste Benzi mi ha insegnato che l’uomo non è il suo errore. Provo a dar voce a chi testimonia questo. Tra qualche giorno posterò sui social La dritta via che racconta Dante in Emilia Romagna».

 

La Verità, 5 giugno 2021

Qualcuno dica a Insinna dove andare a parare

Quadratura complicata. Scommessa ardita. Combinazione forzata. Mettere insieme calcio e varietà, pallone e intrattenimento. Raiuno e RaiSport, timonate dai nuovi direttori Andrea Fabiano e Gabriele Romagnoli, ci provano con Il Grande Match e Flavio Insinna. Se funzionasse farebbero bingo. Gli Europei durano un mese tondo e perché non sperare siano notti magiche. Se, per l’occasione, la Fiat lancia la Panda Azzurra e i giornali, Foglio compreso, si sperticano in speciali e monografie su Francia 2016, vuol dire che in tanti ci credono e il giro di soldi c’è. Cosa c’è di più popolare della Nazionale (Conte a parte)? E di più nazionalpopolare di Insinna? La ricetta è quella del minestrone. All in: partita, lezioncina tattica, amarcord, tifoserie delle squadre che hanno giocato, quiz, orchestrina con il medley delle canzoni del ’68, quando vincemmo, persino l’angolo cucina con Cesare Bocci e Arrigo Sacchi che non sopporta l’aglio. Continua a leggere

Con Miracolo a Leicester, RaiSport cambia passo

Qualcosa si muove dalle parti di Viale Mazzini. E qualche piccola novità cominciamo a vederla anche noi telespettatori. Senza aspettare i palinsesti d’autunno e le procedure ingessate della tv pubblica. Ieri sera, senza preavviso, Raitre ha trasmesso Miracolo a Leicester, uno speciale di RaiSport sulla conquista della Premier League ad opera della squadra allenata da Claudio Ranieri. Erano le 20 e qualcosa e, a un certo punto, dopo i primi servizi dei tg, lo zapping si è fermato sulla faccia del nuovo idolo degli amanti del gioco più bello del mondo che intervistava Vardy, il suo centravanti.

La città in festa per la prima conquista della Premier League

La città in festa per la prima conquista della Premier League

Il trionfo dell’outsider, la rivincita della normalità (in alternativa alla “specialità” di Mourinho, nemico storico), il riscatto dei perdenti: le formule si sprecano a proposito della sorprendente vittoria del Leicester e del suo condottiero. Donatella Scarnati e Gianni Rizzo hanno scelto di parafrasare il titolo di un film di Vittorio De Sica, nel quale “buongiorno vuol dire davvero buongiorno”, per raccontare la “favola del Leicester”, altro gettonatissimo titolo di questi giorni. Sì, l’intervista a Ranieri era stata realizzata prima del pareggio tra Chelsea e Tottenham che ha consegnato matematicamente la Premier alla sua squadra. Però, poco importa. Anzi, proprio questo ha consentito a RaiSport di bruciare la concorrenza. Solo stasera Sky Sport, che avendo l’esclusiva del campionato inglese ha trasmesso l’intera cavalcata del Leicester, trasmetterà un’intervista esclusiva certamente più completa al nuovo mago del calcio mondiale. Ma per certi avvenimenti dal forte contenuto emotivo il tempo conta più della completezza. Il web che brucia la carta stampata insegna.

Lo speciale di RaiSport ha raccontato il clima della città, lo stato di grazia di un ambiente galvanizzato dall’arrivo dell’allenatore-papà capace di trasformare in campioni giocatori dal passato anonimo, il ruolo del presidente thailandese che per il suo compleanno offre birra e ciambelle ai tifosi, la festa dei giocatori dopo l’ufficialità della vittoria, il risalto dell’impresa nei media internazionali…

Dopo lo scoop della famosa intervista del Tg1 a Francesco Totti che aveva irritato i vertici Sky, sotto la guida del nuovo direttore Gabriele Romagnoli, chiamato da Campo Dall’Orto con il compito di rinnovare il racconto degli avvenimenti sportivi, Donatella Scarnati ha messo a segno un altro colpo. Qualcosa si muove dalle parti di Saxa Rubra. E ancor più si muoverà se andrà in porto la trattativa con Totti e Ilary Blasi per accompagnare con la loro partecipazione i prossimi Europei di calcio, dal 10 giugno in onda su Raidue.

Con Bignardi e Romagnoli, una Rai radical chic

La lista di nomi che il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto proporrà domani al Consiglio d’amministrazione della Rai contiene qualche sorpresa e non mancherà di suscitare polemiche. Nel segno della continuità la scelta per Raiuno di Andrea Fabiano, già vicedirettore di Giancarlo Leone (che passa al Coordinamento delle reti, lasciato libero da Antonio Marano candidato al timone di Rai Pubblicità). A lungo annunciata la nomina di Raidue, dove s’insedierà Ilaria Dallatana, cresciuta in Mediaset e fondatrice, con Giorgio Gori, di Magnolia (l’attuale direttore Angelo Teodoli passa a Rai4). Poco prevedibile, invece, e sicura fonte di critiche, la scelta di Daria Bignardi come candidata alla direzione di Raitre, dov’era dato in prima fila Andrea Salerno. A Raisport sarà chiamato Gabriele Romagnoli, giornalista e scrittore, firma di Repubblica, Vanity Fair oltre che direttore di GQ.

Aldilà delle proteste dell’Usigrai, che ha parlato di “schiaffo” contro i lavoratori della Rai e di “sonora sfiducia e delegittimazione”, colpisce la scelta di Bignardi, moglie di Luca Sofri, direttore de Il Post, nata televisivamente a Milano, Italia, cresciuta in Mediaset, dove ha tenuto a battesimo Il Grande Fratello (Gori direttore di Canale 5), poi approdata a La7 con Le Invasioni barbariche (una parentesi a Raidue con L’Era glaciale), talk show che vantava un numero di polemiche inversamente proporzionale agli ascolti. Un curriculum che non sembrava legittimare candidature a direzioni di rete. Ancor più se si pensa che Le Invasioni barbariche era il programma più frequentato da Renzi, fin da quando era sindaco di Firenze. Cliccatissimo sul web il video in cui, al termine di un’intervista del gennaio 2014, Sofri incrocia dietro le quinte dello studio l’allora sindaco e segretario Pd salutandolo con un “Ciao capo, ottima ottima…”.

Bignardi, come Romagnoli, è una firma di Vanity Fair, espressione dei salotti milanesi più modaioli. Ma la sua nomina servirà a rendere ancora più aspre le accuse al premier di voler addomesticare la tv pubblica. A cominciare proprio da quella Raitre che i renziani più intransigenti considerano troppo aperta a grillini e minoranza Pd.