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«Milano ha perso il ruolo di motore del Paese»

Capo della segreteria di Gianni De Michelis nella Prima repubblica, poi responsabile del Dipartimento economico di Palazzo Chigi, city manager a Milano con Gabriele Albertini sindaco, direttore generale della Confindustria presieduta da Antonio D’Amato, direttore e amministratore delegato di Fastweb, tra i fondatori di Chili, piattaforma per film in streaming, candidato sindaco di Milano nel 2016 per la coalizione di centrodestra, fondatore di Energie per l’Italia, formazione liberale di area moderata, fondatore dell’associazione Setteottobre: instancabile ed eclettico, Stefano Parisi. «Ho lavorato vent’anni nel settore pubblico e altri venti in quello privato. Sono entrato in politica perché Silvio Berlusconi mi candidò sindaco, ma non era nella mia agenda, ho perso e quando si perde si deve lasciare. Ho avuto la fortuna di fare cose che mi sono sempre piaciute».
Che scopi ha l’ultima creatura, l’associazione Setteottobre?
«È nata a novembre 2023 quando ci siamo accorti che la reazione all’attacco di Hamas contro gli ebrei stava producendo un aumento esponenziale di antisemitismo e ampio sostegno ad Hamas. Io e mia moglie (Anita Friedman fondatrice di Appuntamento a Gerusalemme ndr) ci siamo detti che di fronte a questa situazione non potevamo rimanere inermi. Crediamo che Israele vada difesa e che siano in gioco i valori di libertà e di vita propri delle democrazie occidentali. Perché oggi, qui in Occidente, stanno prevalendo sentimenti di odio e di morte contro gli ebrei. Riteniamo necessario un grande lavoro prepolitico di contrasto a questa ondata antisemita e antioccidentale».
Che vede protagonisti i movimenti pro Pal e non solo nelle università?
«Scendono settimanalmente in piazza a sostegno dei terroristi. Temiamo l’accondiscendenza e il supporto che alla loro propaganda danno alcune parti delle élite del Paese, da settori dell’accademia ai media».
Perché è un sostegno che si genera e si espande soprattutto a sinistra?
«Una parte della sinistra è all’origine dell’odio verso l’Occidente da prima del 7 ottobre. Inoltre, adesso assistiamo a un corto circuito drammatico: i movimenti in favore delle donne e delle persone Lgbtq che manifestano a sostengo di Hamas e contro Israele sebbene nei regimi islamici gli omosessuali siano perseguitati e le donne sottomesse. Al contrario, a Tel Aviv si tiene il più grande gay pride del mondo. Ma l’odio verso gli ebrei è così forte da portare i militanti dei diritti a stare con i carnefici e gli oppressori».
Quali élite appoggiano l’antisemitismo?
«Molti media sono megafono della propaganda di Hamas, pubblicano le loro informazioni e censurano le notizie che le smentiscono. Mi sconcerta lo spazio concesso alla minoranza di giovani antisemiti di fronte ai quali una parte dell’accademia piega la testa, permettendo che questa violenza si espanda nelle università».
Si riferisce alla richiesta di interrompere le collaborazioni scientifiche con le accademie israeliane?
«Non solo. Anche all’impossibilità che un ebreo parli a un convengo in un ateneo italiano affinché ci sia una minima riflessione critica su ciò che sta avvenendo in Medio oriente. La conseguenza è che le università di un Paese libero, che dovrebbero essere il luogo dove si educano le nuove generazioni allo spirito critico e alla libertà del pensiero, stanno diventando luoghi dove prevale il pensiero unico antioccidentale e dov’è tarpata qualsiasi libertà di espressione».
Nei media nazionali non mancano figure di vertice di cultura ebraica, penso a Paolo Mieli, Enrico Mentana e Maurizio Molinari, per citarne solo alcuni.
«Sicuramente sono presenti persone che scrivono articoli importanti e lavorano con questa sensibilità. Ma se si guardano i tg o si leggono le pagine di politica estera ci si trova quasi sempre di fronte a un’informazione distorta. Il mainstream della stampa italiana è questo, le persone da lei citate rappresentano una minoranza».
Che cosa pensa della mancata partecipazione della comunità ebraica milanese alle manifestazioni per la Giornata della memoria indette dall’Anpi?
«Concordo con la decisione della comunità ebraica. Non si può commemorare la Shoah con coloro che dal 1948 dicono “mai più” mentre dall’8 ottobre 2023 dicono che Israele se l’è meritata. Da tanti anni l’Anpi nega alla Brigata ebraica di partecipare alle manifestazioni del 25 aprile. È evidente che il Giorno della memoria non può cancellare il nuovo odio verso gli ebrei. Purtroppo, dobbiamo ammettere che sotto la retorica del giorno della Shoah è cresciuto l’antisemitismo esploso dopo il 7 ottobre».
La comunità ebraica è risentita anche con papa Francesco.
«Giustamente. Invito a riflettere su questo: se prevalessero Hamas e l’Iran e in Israele ci fosse uno Stato islamico i cristiani non potrebbero più pregare nei loro luoghi sacri. Il Papa ha detto parole molto gravi evocando un genocidio che non c’è. Il conflitto in Medio oriente è un conflitto esclusivamente religioso. L’islam radicale odia gli ebrei e i cristiani. Un leader religioso dovrebbe diffondere un messaggio di pacificazione e chiedere ai musulmani di riconoscere gli ebrei e i cristiani. E dovrebbe dire: non in nome di Dio».
Si parla di genocidio anche per l’azione di Benjamin Netanyahu.
«È evidente che non esiste, come dimostrano le immagini di questi giorni con gli ostaggi rilasciati in mezzo a un’immensa folla di palestinesi, terroristi e civili, che si riversa nelle strade di Gaza e urla il suo odio verso gli ebrei».
Qualche giorno fa è nata un’altra commissione contro l’odio in seno al comune di Milano: c’è il pericolo che queste commissioni generate dagli ingiustificati attacchi a Liliana Segre si trasformino in una nuova forma di controllo sulla libertà di espressione?
«Nei social c’è molto odio e va sradicato. In Italia abbiamo la legge Mancino contro l’incitamento all’odio e alla violenza e c’è l’obbligatorietà dell’azione penale contro i reati che la violano. Non c’è bisogno di nuove commissioni che non servono a niente. La polizia postale ha una mappatura di tutto ciò che avviene, la magistratura faccia il suo mestiere».
Che memoria conserva della sua esperienza di city manager con Gabriele Albertini?
«È stata un’esperienza bellissima. Era l’epoca di Mani pulite e c’erano intere aree urbane degradate da sviluppare. Con una squadra di bravissimi assessori e un ottimo sindaco riuscimmo a stabilire un rapporto trasparente tra pubblico e privato: la Milano di oggi è il risultato del lavoro di quegli anni».
Un rilancio non solo urbanistico avvenuto senza inchieste della magistratura.
«Per volontà di Albertini fu fatto un lavoro anche preventivo con il pool di Mani pulite. Senza protagonismi da parte di nessuno si posero le basi legali di ciò che si fece negli anni successivi».
Nel 2016 ha conteso fino all’ultimo la carica di sindaco a Beppe Sala, che cosa pensa della Milano di oggi?
«È molto cambiata, sta perdendo il suo ruolo di motore del Paese. Un primo cambiamento è dovuto alla crisi della classe dirigente industriale: Mediobanca era l’infrastruttura finanziaria dell’industria italiana che ha a Milano il suo fulcro. Oggi una banca come Monte dei Paschi di Siena, che pochi anni fa era sostanzialmente fallita, ha lanciato un’Opa su Mediobanca stessa. Milano oggi brilla per la parte più superficiale della vita cittadina, l’agenda degli eventi, la settimana della moda, le piste ciclabili. Per contro, non si sono affrontati i problemi sociali e di sviluppo di Milano».
È una città schizofrenica, sensibile alle élite, protettiva verso gli immigrati e tiepida con la popolazione e le famiglie?
«Non so se sia schizofrenica, attrarre le élite è giusto. Ma mentre ci si è concentrati sullo sviluppo dell’edilizia per affari, si sono completamente dimenticate le periferie e l’edilizia sociale, laddove bisognerebbe demolire e ricostruire le case fatiscenti e avviare le ristrutturazioni come si è fatto con quella di pregio, nell’alleanza tra pubblico e privato. Il secondo nodo da sciogliere riguarda i servizi sociali che funzionano ancora con il vecchio schema della longa manus pubblica».
Lo schema virtuoso quale sarebbe?
«Quello del principio di sussidiarietà. Anziché agire attraverso gare d’appalto, con gli enti pubblici che finanziano l’offerta e scelgono i privati, finanziare la domanda destinando i fondi secondo il bisogno, con i privati che potrebbero spenderli presso società e realtà non profit. È un sistema più liberale e meno statalista, che ha una lunga tradizione, ricorderà quando si diceva “Milano ha il cuore in mano”».
Di cosa è sintomo l’inchiesta che ha coinvolto gli architetti Stefano Boeri e Cino Zucchi?
«A trent’anni da Tangentopoli il sistema giudiziario non ha ancora capito che azioni così eclatanti rischiano di danneggiare sia la città che la stessa magistratura. È giusto che il sistema giudiziario presidi la legalità e la trasparenza, ma è necessario farlo con il rigore e lo stile che deve riguardare una metropoli come Milano. D’altronde, questi eccessi si ripetono anche a livello nazionale nell’azione contro il governo. Dopo trent’anni la magistratura vuole ancora giocare un ruolo da star invece di fare il suo lavoro con serietà».
Quando le inchieste riguardano personalità pubbliche di primo piano risonanza e visibilità sono inevitabili.
«Non entro nel merito. In Italia c’è un uso eccessivo e inutile della custodia cautelare e l’eccesso di visibilità e protagonismo dei giudici ha danneggiato la credibilità della magistratura. Siamo a Milano dove sappiamo cosa ha prodotto la trasformazione dei magistrati in star. Conosciamo la storia e l’ampio numero di processi che sono finiti in condanne vere o in assoluzioni».
Il sindaco Sala preme per l’approvazione del decreto salva Milano per sanare azioni pregresse.
«Approvarlo è interesse di tutta la politica. Operare in sicurezza è utile sia all’amministrazione attuale che a quelle future».
Per le quali Sala sembra prenotarsi, visto che si è pronunciato a favore del terzo mandato?
«Io penso che dieci anni bastino e sia giusto il limite di due mandati. Per non sedimentare troppo un sistema di potere è giusto lasciare spazio alle alternative».
Per le elezioni del 2026 a sinistra si fanno i nomi di Pierfrancesco Majorino, Mario Calabresi, Ferruccio De Bortoli e, ultima idea, Cecilia Sala, a destra di Alessandro Sallusti e Maurizio Lupi: qualcuno la convince di più?
«Non mi faccia giocare al totosindaco. Speriamo che Milano sappia trovare un buon primo cittadino com’è stato Gabriele Albertini».

 

La Verità, 1 febbraio 2025

 

«Contento per Malpensa, Sala si occupi di Milano»

Niente da fare, Pier Silvio Berlusconi non si riesce proprio a iscriverlo a Forza-Italia-Viva, il partito larvatamente macroniano che alligna in alcuni ambienti dell’establishment del Nord. Resta un forzitaliano e basta, senza aggiunte. Non è assimilabile alla schiera di coloro che patiscono il complesso d’inferiorità della sinistra. Alcuni volenterosi colleghi provano a tirarlo da quella parte, ma lui, pacatamente (come direbbe Crozza/Veltroni), si riappropria della giacca e si risistema. «Non ho mai, mai, mai commissionato un sondaggio, né io né Mediaset, che riguardi me e la politica. È una balla assoluta e totale. Se vado a Roma qualche giorno ogni due o tre settimane è solo perché lì c’è una parte importante della nostra attività, la Fascino (società di Maria De Filippi che produce i successi Mediaset ndr), e per incontrare alcuni investitori. La politica non c’entra».
Come al solito, alla presentazione dei palinsesti Mediaset della prossima stagione a Cologno Monzese, si parla di tutto: dall’andamento economico del gruppo («molto positivo, siamo il primo broadcaster europeo»), alle radio, alla crossmedialità centrata sulla vitalità della tv generalista. Ma stavolta, esaurite cifre e numeri in poche slide, a tenere banco è proprio la politica a tutto campo. TeleMeloni, per dire, non esiste né in Rai né nella tv commerciale. «Lo so che vi do un dispiacere», si scusa l’amministratore delegato, «ma tutto si può dire, tranne che in Italia non ci sia libertà di parola. Magari si sarà commesso qualche errore, si sarà fatta qualche scelta sbagliata, ma questo lo si è già detto». Quanto a Mediaset, «siamo un editore ecumenico. Non siamo un giornale, ma un’intera edicola. Ci sono il Tg5, il Tg4, Bianca Berlinguer, Mario Giordano, Paolo Del Debbio, Pomeriggio 5… tante voci, c’è pluralismo. Le novità sono benvenute, ma non c’è nulla che va male. Caso mai si tratta di aggiungere, non di togliere». Flop anche del secondo tentativo di arruolamento.
Ciò che invece provoca la reazione di Pier Silvio è l’idea della Lega di alzare il tetto di affollamento pubblicitario per la Rai così da abbassare il canone: «È un pasticcio assoluto. Il contrario di quello che andrebbe fatto», sentenzia. «La Rai senza canone vorrebbe dire migliaia di licenziamenti e questo significherebbe distruggere il mercato». A stretto giro, in una nota ufficiale la Lega si dice «lieta di confrontarsi con l’ad di Mfe-Mediaset e la sua azienda sul futuro dell’offerta televisiva italiana, ivi compreso il miglioramento della tv pubblica. Il dialogo è sempre utile, anche perché l’obiettivo è migliorare la concorrenza e la qualità complessiva del prodotto». Si vedrà.
Sull’altro fronte, un ulteriore stop a certi ammiccamenti viene dal commento all’intervista nella quale Marina Berlusconi si è detta in maggior sintonia con la sinistra sui diritti civili. «La parola comunista mi si addice quanto la parola interista», premette Berlusconi jr sgombrando il campo da ogni ambiguità. «Marina ha espresso un’opinione personale e come editore e, ovviamente, è libera di farlo. La difesa dei diritti civili è nel Dna di ciò che ci ha tramandato mio padre. Ma è una battaglia di modernità e di civiltà che non è né di destra né di sinistra», precisa Pier Silvio, correggendo garbatamente la sorella. L’eredità lasciata dal padre, confida più tardi il secondogenito, comprende anche «il fascino della politica in termini di adrenalina, avventura, spinta, rapporto con la gente io lo sento, è qualcosa che ahimè sento di avere. Parlare con le persone è stato il mio mestiere per più di 30 anni, perché questo fa la tv. Ma un conto è partecipare a una grande avventura elettorale, un altro è il sacrificio della vita politica di tutti i giorni. E poi che cosa fai, il conflitto di interessi come lo gestisci? Vendi tutto? Molli tutto in mano a qualcuno? Non è una faccenda leggera».
Altre possibilità di arruolamento sulla politica internazionale. Che cosa pensi della situazione in Francia e delle elezioni americane? «Per fortuna che in Italia c’è un governo stabile… La stabilità fa bene ai cittadini, alle aziende e agli imprenditori. Povera Francia. Sulla leadership americana di oggi faccio fatica a esprimermi». L’ultimo argomento paludoso è l’intestazione dell’aeroporto di Malpensa. «Tutto ciò che viene intitolato alla memoria di nostro padre a noi figli non può che fare piacere perché lo stramerita. Noi non siamo stati coinvolti, lo abbiamo saputo alla fine e forse le modalità potevano essere diverse. Era prevedibile che ci sarebbe stata polemica. Ma soprattutto», sottolinea Pier Silvio, «quello che non mi piace è chi oggi fa polemica sulla polemica. Lo trovo terribile». Più tardi, parlando al gruppo di giornalisti più nottambulo, Berlusconi jr specifica che si rivolgeva al sindaco Beppe Sala. «Cosa c’entri che tiri in ballo mia sorella sui social? Di’ se sei favorevole o no. Non rompere. Puoi anche dire che sei contro per mille motivi, ma non fare polemica sulla polemica. Sala pensasse a Milano. Io vivo in Liguria, ma tutte le volte che vengo qui dico che è un disastro: traffico, delinquenza, buche…». Inevitabile, la replica piccata del primo cittadino milanese, nel frattempo precipitato al 19° posto della classifica dei sindaci: «Io userei la dedica dell’aeroporto per fare politica? Vorrei ricordare che in Italia c’è un partito che porta il nome Berlusconi. L’intitolazione non è un atto politico?». Intanto, proseguendo nella loro strategia di travisamento, ieri i siti di alcune testate nazionali titolavano: «Pier Silvio: un errore intitolare Malpensa a mio padre». La mistificazione è servita.

 

 

 

A Del Debbio la striscia di Rete 4, Diletta Leotta new entry per condurre La Talpa

«La serata dei paccheri», come l’ha ribattezzata il padrone di casa di Cologno monzese, è un gioco di società che alterna chicche e smentite. Le chicche sono quelle che Pier Silvio Berlusconi, Ceo di Mediaset, Federico Di Chio, direttore generale marketing strategico, e Mauro Crippa, direttore generale informazione, dispensano durante la presentazione della prossima stagione. Le smentite, invece, sono quelle che colleziona la fiction della narrazione corrente, uscita clamorosamente bocciata dalla serata. Da giorni leggiamo anticipazioni sul ridimensionamento dei programmi cosiddetti «sovranisti», invece si apprende che la vera novità del palinsesto di Rete 4 sarà la striscia dell’access primetime affidata a Paolo Del Debbio al posto di Bianca Berlinguer. La quale, a sua volta, raddoppia con un nuovo appuntamento la domenica virato sull’inchiesta, in un’altra serata competitiva contro Che tempo che fa sul Nove e il Report allungato su Rai 3. Non si sa ancora se quello di Del Debbio, che manterrà Diritto e rovescio al giovedì, sarà solo il primo segmento di una staffetta oppure se si allungherà a tutto l’anno, sta di fatto che «abbiamo un gruppo di professionisti che ci consente di fare gioco di squadra», sottolinea Berlusconi jr. Non è del tutto escluso un ritorno di Bianca Berlinguer, dunque, o l’impego di qualcun altro, da gennaio. «Ciò che più conta è che Rete 4 è protagonista di un riposizionamento unico nella storia della tv, da rete di telenovele a rete di approfondimenti e informazione, con una ricchezza di proposta e di conduzioni che non ha eguali all’estero», sottolinea Crippa al fianco dell’amministratore delegato e poi al tavolo dei direttori delle maggiori testate presenti, alla faccia del siluramento imminente come – altra smentita – ci raccontano certe indiscrezioni. Restando a Rete 4, l’altra novità è la riedizione di Freedom condotto da Roberto Giacobbo, il sabato sera, che completa la settimana di produzioni interne della rete.
Più d’una, come accennato, le chicche. Il rinnovo per altri due anni del rapporto con Il Volo e con il duo Pio e Amedeo, per testarli su altri progetti oltre la vis comica controcorrente. Confermate tutte le serate di Maria De Filippi, gli altri giochi e varietà, si rivedrà La Talpa, reality molto discusso per gli eccessi trash. «Ma stavolta ne faremo una versione glam», sintetizza Pier Silvio, «con la conduzione di Diletta Leotta a cui do il benvenuto in Mediaset». Andrà in onda free da ottobre, prima su Infinity e poi su Canale 5 (salvo la puntata finale anticipata sull’ammiraglia) con l’intenzione di creare una sinergia tra piattaforme, e completerà un trittico di reality inaugurato dal nuovo Temptation island e dal Grande fratello, sulla rampa a inizio settembre. Altra novità su Canale 5, due serate speciali per «celebrare i grandi artisti nati ad Amici, il format con il quale Maria De Filippi sta scrivendo un pezzo di storia della musica italiana». Sarà una produzione Fascino in collaborazione con Verissimo, che vedrà fianco a fianco Maria e Silvia Toffanin, cui sarà affidata la conduzione. Musica al centro anche di una serie di concerti evento di Andrea Bocelli, Vasco Rossi, Pooh, Annalisa e Laura Pausini, quest’ultimo anticipato da una sorta di doc a puntate che inizierà su Infinity. Infine, si allarga all’intrattenimento anche Italia 1, con Max working e le performance di Max Angioni, e Il Formicaio, versione italiana di un format comico spagnolo.
In conclusione, una serata dei paccheri dall’alto contenuto tele-calorico. Alla quale, con inusitata auto-smentita, si è sottratto proprio Pier Silvio Berlusconi, preferendo un ricco piatto di bresaola.

 

La Verità, 18 luglio 2024

Guida semiseria alle prime elezioni col fantasma

Le premesse sono chiare: andrà tutto male. O bene, dipende dai punti di vista. Quella che è appena cominciata è la campagna elettorale più anomala della storia repubblicana. Una campagna con alcune prime volte e parecchi déjà vu. Vediamo una a una le variabili che incombono nei prossimi due mesi di calendario con vista sul 25 settembre, cominciando dagli elementi inediti.

Campagna tropicale Non era mai accaduto che la caccia all’elettore si svolgesse con il solleone. Siccome le disgrazie non vengono mai da sole, ad alzare la temperatura di un confronto già febbrile di suo in qualsiasi stagione dell’anno, stavolta si aggiungono anche le temperature record dell’estate più torrida dell’era moderna. Troveremo militanti che ci vogliono convincere a scegliere la parte giusta in spiaggia, nei rifugi di montagna, nei traghetti per le isole. Troveremo volantini e santini elettorali nel b&b e nei chioschi dei pedalò. Conquisterà il voto chi offrirà la granita migliore.

Pd b&b Bellicista e banchiere. Tra le prime volte della campagna in corso c’è l’inedito posizionamento del partito scarrozzato da Enrico Letta, il segretario più innovativo di sempre. Il Pd infatti è tutto cambiato. Irriconoscibile? Ma no, è finalmente libero dalle zavorre della tradizione. Basta con le pedanterie del pacifismo, meglio un bel elmetto e una mimetica griffata Ispi. Idem per la difesa dei lavoratori e dei ceti deboli, che appartengono all’archeosinistra. Ai tempi del Covid si portano di più banche e banchieri. Quella per SuperMario non è una sbandata, una cotta passeggera. Il feeling tra i dem e le banche viene da lontano, ricordate Carlo Padoan presidente di Unicredit? Con Draghi è solo salito a Palazzo Chigi. Per restarci? Sarebbe lui il perfetto candidato premier del campo-largo-meno-5stelle. Se no, a spoglio ultimato partirà la processione verso Città della Pieve per convincerlo a tornare in sella. L’Umbria è regione di santuari…

Con il fantasma E qui ecco un altro inedito: le elezioni fantasy. Un banchiere si aggira per la campagna. SuperMario c’è o non c’è? Gioca con noi o si nasconde? Lo si nota di più se si candida ma resta in disparte, o se non si candida e lo si deve supplicare molto? Dai Mario salvaci tu. Nell’attesa ci si può sempre rinfrescare con l’Agenda Draghi. Cioè il draghismo senza Draghi. Che, se non è efficace proprio come un condizionatore, almeno ci illude quanto un ventilatore.

Passiamo ora alle variabili note e già attive o in procinto di esserlo.

Allarme democratico Il tasto on è già stato premuto. Il fascismo è alle porte. L’onda nera. Le «nubi nere» all’orizzonte. I nazisti e il passato che non passa. Lo scrivono anche i giornali stranieri che di sicuro hanno fonti attendibili e al di sopra delle parti. Per non parlare dei giornaloni italiani. Del resto Giorgia ha un cognome con la stessa iniziale di Mussolini. L’abiura non ha mai convinto. «Il fascismo male assoluto»: Gianfranco Fini sì, era un vero compagno. Invece Giorgia M. figlia del secolo ci riporta in braccio ai militanti di Forza nuova, le SS del Terzo millennio. Mica come quei bravi ragazzi del battaglione Azov.

Papa straniero Caccia al. È un gioco di società dei fogli di riferimento, vediamo chi ha l’idea giusta. Nomi a caso del passato: Nanni Moretti, Roberto Saviano, Liliana Segre… Adesso si parla di Maurizio Landini e di Luigi De Magistris. Ma il più cool è sicuramente Beppe Sala, con il suo «modello Milano». Città di single e aperitivi. Le famiglie sono così esigenti, signora mia, meglio se stanno in periferia. Beppe potrebbe essere l’uomo giusto del grande rassemblement che accelera la svolta green e promuove l’agenda Lgbt sdoganando le adozioni per le coppie gay. Monopattini e calze arcobaleno. Indossando dei bermuda viene anche meglio. E la guerriglia tra nordafricani in Stazione centrale? Ma quella è già pevifevia, noi vinciamo nel centvo stovico.

Liti a destra Puntuale come a ogni tornata elettorale, va in scena la rissa sulle liste e sul candidato premier. Non ci s’inventa campioni di autolesionismo da un giorno all’altro. La premiata ditta Giorgia-Matteo-Silvio non si smentisce mai. Se poi ci si aggiunge anche Antonio (grisaglia) Tajani… L’ultimo ballottaggio a Verona fa da memento. E come dimenticare la non candidatura di Guido Bertolaso a Roma? Però per il 25 settembre si può fare di meglio. Il premier lo deciderà, con regola cristallina, il partito della coalizione che prenderà più voti? O, per impapocchiare tutto, lo decideranno i parlamentari eletti? E se lo decidessero i referenti europei di Fdi, Lega e FI? E i governatori di centrodestra, perché no? Perdere da favoriti è un’arte sopraffina.

Endorsement inattesi Giuliano Ferrara ha annunciato il suo voto per il Nazareno. Il Pd del ddl Zan, dei matrimoni gay, dell’utero in affitto, della cannabis legalizzata. È quel Giuliano Ferrara che nel 2008 si scatenò in difesa della vita inventando una visionarissima Lista pazza contro l’aborto? Pare di sì. Come si cambia quando c’è di mezzo la comune passione a stelle e strisce. Francesca Pascale invece ha annunciato che lascerà l’Italia se vinceranno i sovranisti. Chiara Ferragni e Gegia resteranno?

Inchieste della magistratura Ancora non pervenute. Ma date tempo. Perché in questi casi la tempistica è fondamentale. Per influire a dovere nelle urne, i provvedimenti devono smuovere un’onda emotiva. E, com’è noto, le emozioni durano lo spazio di un coito. Perciò vedrete che alla vigilia arriverà sicuramente qualcosa di sugoso. Tipo un’indagine per cessione di droga contro Luca Morisi. Do you remember?

Macchina mediatica Ai posti di comando. Lucia Annunziata ha rinunciato alla trasferta in Ucraina per montare la guardia democratica. Marco Damilano sta raggiungendo in anticipo la postazione della striscia quotidiana su Rai 3. Con grande abnegazione ci si riducono le ferie per garantire il servizio al momento del bisogno. Nella grande stampa tornano a martellare i veterani di tante battaglie. È vero, i giornali ormai non li legge più nessuno. Ma ci sono i tg e le maratone, le feste dell’Unità (senza il giornale) e i PremiStrega, i 100.000 volontari e le LucianeLittizzetto. Sommati, fanno la realtà parallela, praticamente una distopia. La bolla dei pesci rossi. Fatta di appelli di sindaci e interviste a Gianrico Carofiglio, di MonicheMaggioni e immancabili patti della Repubblica (non il giornale, o forse sì), di palingenetici piani green, transizioni ecologiche e climate change. E di cinghiali. Ma perché rovinare la narrazione con la dura realtà? L’unico dettaglio da sistemare potrebbe essere l’esito del voto. Ma, eventualmente, a impapocchiarlo ci penserà Sergione nostro, come al solito. Fulminante il post di GianniKuperlo su Twitter appena (auto)giubilato il Migliore: «Siamo pronti per perdere le elezioni e governare lo stesso».

Varie ed eventuali Inutile dilungarsi, già ci stanno deliziando. Allarme dei mercati, spread in rapida risalita, agenzie di rating, prelati e vescovi post-ulivisti, centri e centrini con la schiena dritta, ma la scoliosi del patto di desistenza inclinata a sinistra…

Andrà tutto bene o tutto male. Buona campagna a tutti.

 

La Verità, 26 luglio 2022

 

De Luca, Zaia, Conte, Sala, Fazio: quanti salti di specie

Quanti spillover durante questo lockdown. Quanti salti di specie verso l’alto. Ma pure verso il basso, perciò spillunder. A forza di stare reclusi, a forza di parlare di virus e contagi, abbiamo finito per assorbirne comportamenti e abitudini. Così anche i nostri politici, gli scienziati, i volti noti della tv ne hanno introiettato la metamorfosi, il cambiamento, la modificazione genetica. Sono entrati in una situazione sconosciuta, in un tunnel semibuio, e ne sono usciti trasformati come dopo un viaggio sulla macchina del tempo di Ritorno al futuro. Qualcuno ha completato l’upgrade, consacrandosi. Qualcun altro ha inanellato svarioni, precipitando nell’arrampicata. Qualcun altro ancora è scomparso del tutto.

Il salto di specie di Vincenzo De Luca, governatore della Campania, è materia di studio. Certo, già prima del coronavirus era un campione del folclore partenopeo, ma oggi è un altro leader. Fustigatore di lassismi giovanili, educatore col lanciafiamme. I suoi video sono degni di Totò e Peppino. Come quello sugli assistenti civici: «Il governo ci apre il cuore alla speranza… E infatti ha deciso questa straordinaria operazione, direi mistica perché… che cosa devono fare questi sessantamila assistenti volontari? Abbiamo posto questa domanda… Possono fare la multa a chi non porterà la mascherina obbligatoria? No. Possono fare la multa ai ristoranti che non mantengono i tavoli distanziati? No. Possono intervenire a controllare un po’ la movida? No. Possono regolamentare un po’ il traffico? No. E allora ci domandiamo che (pausa nervosetta) cosa devono fare questi sessantamila? Ci è stato risposto che possono fare moral suasion (suescion)… Cioè, faranno in pratica gli esercizi spirituali. Quindi vedremo sessantamila persone andare in giro con il saio con sopra scritto: Pentiti! È colpa tua», ha ammonito con l’indice accusatore verso la telecamera.

Da governatore sceriffo a sublime cabarettista.

Niente social invece per Luca Zaia. Il Veneto è stata la prima regione colpita insieme con la Lombardia, ma non si sa ancora se per merito di Andrea Crisanti, della professoressa Francesca Russo o del virologo Giorgio Palù, fatto sta che ne è uscita con un bilancio più contenuto di decessi. Merito della proclamazione tempestiva di Vo’ Euganeo zona rossa e dei tamponi a tappeto. Sicuramente merito della guida risoluta del governatore. Zero distrazioni, riunioni continue con lo staff, comunicazione stringata. Sempre in anticipo sull’agenda del virus, dalla strategia delle tre T alle riaperture. Un Clint Eastwood dell’emergenza.

Da amministratore periferico a volto pragmatico e dialogante della Lega, possibile uomo di governo.

Protagonista di un considerevole upgrade è pure Ilaria Capua. Con all’attivo l’assicurazione che il coronavirus equivaleva «a una brutta influenza», quando la veterinaria dell’università della Florida compare a DiMartedì i telespettatori fanno gli scongiuri. Qualche giorno fa ha detto che il contagio in Lombardia è dovuto ai «treni dei pendolari sporchi e maltenuti». Queste performance non le hanno impedito di pubblicare l’instant book nel quale discetta sul Dopo, promosso dal Corriere della sera con tanto di foto da star ispirata. Caso da manuale del principio di Peter: «In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello d’incompetenza», sempre con esiti comici. In questo caso si temono tragici.

Da stimata scienziata a caposala della pandemia e sociologa scifi.

Uno che sembrerebbe rimasto uguale a sé stesso è Fabio Fazio. Invece il suo spillover è evidente quanto misterioso. A differenza di tanti suoi colleghi, FF ha continuato ad andare in onda, sciorinando personalità assurte, nostro malgrado, al ruolo di maître à penser dell’emergenza. All’uscita dal tunnel ha trovato il prolungamento del dorato contratto, il ritorno alla Rai 3 delle origini, ulteriori spazi e programmi. Tutte cose che ha sempre fatto, si dirà.

Resta da vedere se il passaggio da figurina del bontonismo ideologico a «fratacchione» consulente di Bergoglio è un upgrade oppure no.

Per Giorgia Meloni invece il salto di qualità è inconfutabile. La leader di Fratelli d’Italia aveva iniziato a crescere già prima della pandemia. Durante il lockdown l’ascesa s’è fatta verticale e ora Fdi, quarta forza nazionale, ha nel mirino i 5 Stelle. Merito di una scala di priorità intellegibile e di una comunicazione lucida, senza eccessi propagandistici. Memorabile l’intervento alla Camera nel quale imputava a Conte «la sospensione della Costituzione» e l’adozione di quei «pieni poteri» la cui richiesta contestava a Salvini.

Da leader di complemento a potenziale leader primaria del centrodestra.

La stella di Matteo Salvini si è invece appannata. Questa viscida crisi ha messo a nudo una certa tendenza alla semplificazione e alla comunicazione monocorde. Forse servirebbe più ponderazione, un po’ di dieta dai social, studio dei dossier. Prima l’invito ad aprire tutto, poi la retromarcia non gli hanno giovato. Le montagne russe della complessità e il gioco di squadra non si addicono al Capitano.

Da uomo nero da tenere lontano dalle urne a leader in condominio, sorvegliato anche dentro la Lega.

Precipitano anche gli indici di Giuseppe Conte. A fine gennaio chez Lilli Gruber annunciò improvvidamente: «Siamo prontissimi». Da allora ha enfatizzato l’emergenza per puntellarsi a Palazzo Chigi. Ha rifiutato il supercommissario e infarcito d’inutili consiglieri la task force di Vittorio Colao per rallentarne le decisioni. Cavilli e paternalismi. Mattonate di decreti e buffetti ruffiani. «Congiunti», «apriamo con prudenza» e altre supercazzole, si esprime al gerundio o al futuro, mai al passato prossimo (copyright Mario Giordano). Usare la crisi per assurgere a leader del centrosinistra è il suo obiettivo fallito.

Ora sta lavorando al suo partito: da statista in rotta sul Quirinale a piazzista di sé stesso.

Dopo le prime gaffe di Walter Ricciardi, l’ex attore membro dell’Oms consulente del ministero della Salute, si è capito che non tirava aria buona per scienziati e tecnici. Ma per pararsi il lato B, il governo si è duplicato nelle task force. Qualcuno ha visto uno straccio di relazione? La débâcle ha infranto per sempre il mito dei tecnici salvatori della patria nei momenti di crisi. Il sospetto che, con il loro dogmatismo, i virologi siano stati i migliori alleati di Conte è molto più che un sospetto.

Da task force a task weakness.

Tutte strette per riempire le piazze contro il leader della Lega, le sardine avevano fatto dell’assembramento il loro manifesto politico.

Da movimento col sole in tasca, universalmente coccolato a sinistra, a specie estinta.

Beppe Sala, il sindaco a cui piace essere «cool», lo confidò a Daria Bignardi, è entrato a tavoletta nel lockdown. Prima una colazione nella Chinatown milanese per sconfiggere il razzismo e la psicosi. Poi con la stessa preveggenza ha firmato il video #milanononsiferma e dato appuntamento ad Alessandro Cattelan sui Navigli per l’aperitivo. Dopo l’appello alla Madonnina tra le guglie del Duomo, l’invito ai milanesi a svacanzare all’Idroscalo, i litigi con i sardi e il nuovo libro che auspica la rinascita di «una sinistra spirituale», i suoi video su Facebook hanno l’autorevolezza dei giochi di prestigio del Mago Oronzo.

Da candidato in pectore della sinistra di governo a funzionario in monopattino e Forrest gump dei social.

 

La Verità, 4 giugno 2020