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Bonus, app, bancoscontri: il Conte2 fabbrica di flop

App bluff flop. Non è uno scherzo della tastiera del computer, uno scioglilingua da quiz televisivo o un esercizio di logopedia per balbuzienti. È la sintesi della triste parabola dell’applicazione «Immuni». Doveva essere la chiave di volta, il gadget risolutore, l’arma segreta che, tracciando i comportamenti dei contagiati, avrebbe tranquillizzato gli animi, placato le ansie, facilitato il compito dei nuovi tutori della salute pubblica. L’attesa del varo era scandita dal countdown. Il tonfo è fragoroso: finora l’hanno scaricata circa 5 milioni di italiani (il 13% del bacino d’utenza). Pochini perché possa dispiegare tutti i suoi effetti salvifici. E spiace un tantino anche per il buon Flavio Insinna che invano ci esorta al download perché «più siamo meglio stiamo».

Bonus e navigator

Le malinconiche sorti di «Immuni» sono l’emblema del governo Conte Casalino (copy Dagospia), specializzato in trovate inutili, invenzioni superflue, rimedi velleitari. Una pletora di sovrastrutture che mancano regolarmente il bersaglio, indisponenti come un boccale di birra pieno di schiuma. Fossimo nel calcio, con un bilancio così l’allenatore sarebbe stato esonerato da un pezzo. Nel mondo della televisione, il direttore di rete sarebbe stato trasferito ad altro incarico. Prendiamo il bonus vacanze, enfaticamente annunciato dal decreto Rilancio. Altra app, altro flop. Dei 2,4 miliardi stanziati per rilanciare il turismo, finora solo 615 milioni sono stati prenotati e appena 200 utilizzati: l’8% del totale. Tra carta d’identità elettronica, credenziali Spid e Dichiarazione sostitutiva unica (Dsu), le procedure escogitate dal governo della semplificazione avrebbero fatto sclerare un nerd della Silicon Valley. Per non parlare dell’entusiasmo con il quale le strutture ricettive che avrebbero dovuto anticipare l’importo hanno accolto la pensata.

Una volta erano i governi successivi a smantellare le leggi approvate dai precedenti. Con il dicastero capeggiato da Giuseppi assistiamo al fallimento conclamato già in corso d’opera. Un inedito: il governo della semplificazione lo è anche dell’innovazione. Che bilancio trarre dell’operato dei Navigator, altro colpo di genio grillino? I 2846 funzionari insediati l’estate scorsa nei Centri per l’impiego con l’obiettivo di trovare lavoro ai fruitori del reddito di cittadinanza (1,132 milioni di nuclei familiari, 2,8 milioni di persone) hanno raggiunto lo scopo per il 3,5% dei beneficiari. Buco nell’acqua anche per la sanatoria voluta tra le lacrime dal ministro Teresa Bellanova: 29.500 lavoratori regolarizzati nell’agricoltura invece dei 600.000 annunciati.

Trasparenza?

Tra gli obiettivi sbandierati e il loro reale raggiungimento la forbice è sempre piuttosto divaricata. Si sa che ormai la politica coincide con la comunicazione, e sappiamo che a dirigerla è un ex concorrente del Grande fratello. Ma qualcosa non torna se la propaganda diventa lo storytelling di Palazzo Chigi. Restando nello specifico della comunicazione, il governo della semplificazione e dell’innovazione lo è anche della trasparenza. Non a caso sta battendo tutti i record di opacità. Dalla gran parte dei verbali delle riunioni del Comitato tecnico scientifico alla ricerca di Stefano Merler che già il 12 febbraio anticipava la tragedia sanitaria che ci attendeva fino ai documenti delle indagini sulla strage di Ustica, Conte ha oscurato una serie interminabile di atti. L’ultimo in ordine di tempo, con grande coerenza trattandosi di un appalto pubblico, riguarda i famosi banchi scolastici monoposto. Il torvo commissario Domenico Arcuri, purtroppo niente a che vedere con Manuela, ha giustificato la segretazione con l’intento di evitare strumentalizzazioni. Poi si offendono se c’è chi si insospettisce (per dire: qualcuno ha notizie dell’inchiesta su Ciro Grillo, pargolo di Beppe? O è il caso di creare il Premio dimenticatoio dell’anno?). Temendo che, dopo tanti oscuramenti, alle prime elezioni disponibili qualcuno finisca per oscurare lui, Conte si è defilato lasciando che a smazzarsi le grane della scuola, il taglio dei parlamentari e le nuove ondate di migranti siano i relativi ministri (in)competenti. Meglio non invischiarsi, dedicarsi al più gratificante controllo dei vertici dei servizi segreti imponendo il voto di fiducia – a proposito di trasparenza – e veleggiare verso la candidatura al Quirinale.

Monopattini e bancoscontri

Il governo, intanto, una ne fa e cento ne pensa. O magari il contrario. Non potendo affollare i mezzi di trasporto, anziché aumentare le corse di bus e metro, la soluzione per recarsi al posto di lavoro nei grandi centri urbani è stata trovata nei monopattini. I pendolari dell’hinterland milanese e romano, soprattutto over 40, esultano su un piede solo, pronti per Paperissima sprint. Dai monopattini ai bancoscontri il passo è breve. Per ottemperare al distanziamento nelle classi ecco in arrivo, si fa per dire, 400.000 banchi a rotelle. Anzi no, perché ora sembra siano fuori legge. In compenso ci abbiamo perso solo un’estate, il tempo non manca. Quale fosse il nesso tra le ruote sotto i banchi e la distanza tra gli studenti sfuggiva ai più, Andrea Crisanti compreso. Ma il Conte Casalino, governo della semplificazione, della trasparenza e dell’innovazione, con una passionaccia per le due e le quattro ruote, lo è anche del dinamismo: la Ferrari dev’essere il punto di riferimento.

Nuovo verbo

Un mix di dilettantismo naif sciolto in corpose dosi d’ideologia è la ricetta aura del dicastero ancora in carica. Tra abolizioni della povertà e poderose potenze di fuoco per la ripresa si avanza spediti verso un Pil algebrico a due cifre. Il nuovo verbo è l’ecosostenibilità, il Green deal europeo, la nuova era ecologica. E pazienza se mentre si conciona di surriscaldamento globale e scioglimento dei ghiacciai ancora non abbiamo capito come sia finita la faccenda dell’Ilva di Taranto, una cosetta da diecimila dipendenti indotto escluso, l’1,4% del Pil nazionale. Oppure se a ogni acquazzone di fine estate, mezza Italia deve dichiarare lo stato di emergenza e di calamità naturale. Che sarà mai: uno più uno meno cosa cambia, Conte ci è abituato agli stati di emergenza. Ci pensa lui, con i suoi superpoteri. E se non bastassero, consoliamoci. Potrà sempre farsi aiutare dalle task force, da Vittorio Colao, da Walter Ricciardi, dal Comitato tecnico scientifico, dagli Stati generali… Perché allarmarsi, l’Italia è un modello copiato in tutto il mondo.

 

La Verità, 3 settembre 2020

Rai ente pubblico, un passo avanti e uno indietro

Una tegola al giorno sulla testa della Rai. L’ultima caduta, dopo il tetto agli stipendi e le entrate del canone da ridimensionare, potrebbe essere addirittura fatale, almeno per la tv pubblica che vediamo oggi. La sorpresa è di venerdì scorso, nascosta nel numero della Gazzetta ufficiale che contiene il conto economico consolidato dello Stato. L’Istat ha inserito l’azienda di Viale Mazzini tra le amministrazioni pubbliche conteggiate perché, essendo una società controllata dal ministero dell’Economia, il suo bilancio va a influire sul debito pubblico. Nel 2015 Rai Spa ha perso 46 milioni di euro totalizzando debiti per oltre 349 milioni. Se queste cifre fossero confermate anche nel 2016 i nostri conti pubblici peggiorerebbero ulteriormente.

Ma la situazione peggiorerebbe parecchio anche per la Rai che, col nuovo inquadramento in regime di Pubblica amministrazione, dovrebbe stare alle norme già vigenti per i Comuni, le Asl o le scuole. Cioè, regole pubbliche, bandi d’appalto, assunzioni tramite concorsi. Un cambio radicale rispetto al sistema attuale, fatto di nomine effettuate dall’alto, di incarichi a società di produzione sponsorizzate da politici, di assunzioni pilotate, di forniture di prodotti e materiali assegnate in base a criteri arbitrari. Tutto dovrebbe avvenire alla luce del sole, secondo procedure stabilite e finalmente trasparenti. Per esempio, per assegnare la produzione di una fiction a una società esterna non basterà più, come avviene adesso, vagliare la proposta arrivata da una delle imprese già iscritte all’Albo dei fornitori della Rai e, una volta approvata, fissare il budget e incaricare la società proponente di realizzarla. L’iniziativa dovrebbe partire dai responsabili aziendali della fiction, gestita e indirizzata attraverso ufficiali gare d’appalto. Niente più corsie preferenziali, come quelle concesse alla tv di Stato anche dalla legge del dicembre scorso che consentiva frequenti deroghe dal Codice dei contratti pubblici. Insomma, una rivoluzione copernicana. In Viale Mazzini stanno ancora riprendendosi dallo choc della notizia: avranno modo di farlo in questi giorni fitti di consigli d’amministrazione e commissioni di Vigilanza. Inevitabile che i vertici aziendali passino al governo la matassa da sbrogliare. E vedremo se e come questo se la caverà.

Monica Maggioni, presidente Rai, ha detto: «In regime di ente pubblico non potremmo competere sul mercato»

Monica Maggioni, presidente Rai: «In regime di ente pubblico non potremmo competere sul mercato»

Il fulmine a ciel (renzianamente) sereno è caduto su Viale Mazzini con la decisione di Bruxelles di applicare il Sistema europeo dei conti (Sec) alle società controllate da istituzioni pubbliche. Nel caso della Rai, come in quello di altri servizi pubblici non solo radiotelevisivi, si deve registrare il fatto che i ricavi provenienti dall’attività commerciale (pubblicità o vendita di programmi) «non riescono a coprire la metà dei costi di esercizio». In sostanza, Eurostat ha stabilito e l’Istat ha recepito che, se la maggior parte del finanziamento della Rai deriva da denaro pubblico, allora deve sottostare al regime della Pubblica amministrazione.

Detta così sembra semplice. Invece, l’anomalia viene al pettine. La Rai è sì, un servizio pubblico, ma compete sul mercato con altri soggetti di natura privata. Qui la faccenda si complica perché, se da un lato si guadagnerebbe in trasparenza e certezza dei percorsi gestionali, dall’altro la Rai sarebbe costretta ad allungare di molto i tempi per portare a compimento ogni iniziativa, un’assunzione, una commessa, l’acquisto di una semplice telecamera. «In queste condizioni non saremmo più in grado di competere con Mediaset, con La7, con Sky e Discovery», lamenta il consigliere d’amministrazione Franco Siddi. «Purtroppo l’Italia è un po’ distratta rispetto alle normative europee, mentre l’Istat l’ha applicata automaticamente. La legge del dicembre scorso si è prefissata di trasformare il direttore generale nell’amministratore delegato di un’azienda, mentre con questa disposizione sarebbe ridotto alla stregua di un preside scolastico», esagera ma non tanto Siddi. Che chiede «un intervento urgente del ministero dell’Economia per risolvere la questione».

Stipendi Rai, gli errori di CDO e l’ipocrisia dei politici

Ci sarà un motivo se l’unico broadcaster europeo che pubblica in rete stipendi e compensi di dirigenti e giornalisti è la BBC. E ci sarà un motivo se tutti gli altri servizi televisivi statali, da France2 a Ard e Zdf, non lo fanno. Continua a leggere

Campo Dall’Orto e Maggioni vincono il Million Dollar Rai

Gol in contropiede e pronostico ribaltato. Sembrava che i dirigenti della Rai fossero attanagliati dall’incombere del Piano per la Trasparenza voluto dalla nuova legge di riforma della tv pubblica (e sollecitata da alcuni politici) Continua a leggere