Verdelli, l’alieno che voleva cambiare la Rai senza alleati
Un alieno in Viale Mazzini. In fondo sta tutta qui la storia della resa di Carlo Verdelli, un giornalista e una persona come poche in circolazione. Un professionista avulso dalle logiche romane, allergico al teatrino della politica. Il piano editoriale per l’informazione bocciato con procedura insolita – senza un voto esplicito del consiglio d’amministrazione, convocato in modo «informale» e in sua assenza – è la conclusione finale di una parabola che già da qualche mese aveva virato al peggio. Bocciati il trasferimento del Tg2 a Milano, la suddivisione in cinque macroregioni con l’accorpamento di Tgr e Rainews24, il TgSud diretto a rotazione da Lucia Annunziata, Michele Santoro e Roberto Saviano, e il TgMondo in lingua inglese. «Una persona perbene prende atto che il piano da lui messo a punto viene bocciato perché ritenuto pericoloso e irrealizzabile», ha detto l’ex direttore dell’informazione di Viale Mazzini. «Chi lo propone non può che prenderne atto. Non ci può essere un direttore che non ha la fiducia del Consiglio d’amministrazione». Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale, si è assunto l’onere di «rivisitare» il progetto secondo una mappa che ha nell’informazione digitale, nell’informazione di flusso (la rete all news), nell’integrazione tra tg e reti e nell’informazione per l’estero i quattro nuovi punti cardinali del sistema news. Secondo il consigliere Franco Siddi per avere un nuovo piano «ci vogliono un paio di mesi, forse anche meno». Mentre aspettiamo, proviamo a trarre qualche spunto dalla vicenda.
Di tentativi falliti di riformare la Rai sono lastricati i marciapiedi di tutta la Roma politica. Ogni nuovo governo, contestualmente all’insediamento, annuncia come sua missione prioritaria la riforma del servizio pubblico radiotelevisivo. E, al grido di «fuori i partiti dalla Rai», promette di tenersi lontano dalle nomine di direttori di reti e testate, suscitando, puntualmente, ondate di scetticismo. Per una ragione semplice: da che esiste, la Rai è territorio di conquista della politica, prateria nella quale i partiti pascolano, piazzando parenti, amici, amanti e politici trombati alle elezioni. Per mettere fine a questo radicato costume le forze politiche dovrebbero improvvisamente convertirsi sulla via della trasparenza e del rispetto dei cittadini. Ecco perché un professionista stimato e distante da logiche di schieramento come Verdelli aveva fatto sperare più che in passato. Quando, poco più che un anno fa Campo Dall’Orto l’aveva scelto a sorpresa, il consenso era stato molto ampio se non unanime. Qui però, forse, anche Verdelli ha commesso qualche errore. Per resistere in un ambiente lontano se non proprio ostile, tanto più se ha una missione impossibile da realizzare, un alieno dovrebbe stabilire astute e solide alleanze, creare una squadra inattaccabile sul piano della competenza e della qualità professionale. Altrimenti c’è il rischio che si isoli e resti un corpo estraneo. Verdelli ha scelto come consulente Francesco Merlo, editorialista di Repubblica, Pino Corrias, dirigente di Rai Fiction e Diego Antonelli, proveniente dall’Ansa. Tutti grandi firme e amici ma, non essendo esperti d’informazione televisiva, poco in grado di aiutare uno come lui, protagonista di una luminosa carriera nella carta stampata.
Allergico ai salotti e alle frequentazioni, Verdelli ha studiato e lavorato indefessamente, blindandosi con la sua task force, senza costruire i ponti giusti con alcuni consiglieri e dirigenti Rai. Questo errore si è sommato all’avventata dichiarazione sull’informazione Rai «ferma al Novecento» e sugli ascolti da «prefisso telefonico» di Rainews24, testata fino a pochi mesi prima diretta da Monica Maggioni, ora presidente della tv pubblica. Tutte riflessioni giuste, quelle dell’ex direttore editoriale per l’informazione, ma un po’ di diplomazia non avrebbe guastato. Nel frattempo, in attesa del piano editoriale, Verdelli si era assunto la responsabilità dell’azzardata intervista di Bruno Vespa a Salvo Riina, figlio di Totò, con l’improvvida decisione del giornalista di far firmare la liberatoria solo dopo averla registrata. Aveva scelto Antonio Di Bella come direttore di Rainews24, favorendo il rilancio della testata soprattutto durante le emergenze estive (il terremoto in Abruzzo, il colpo di Stato fallito in Turchia). Aveva ideato il nuovo claim «Rai. Per te, per tutti», ben più contemporaneo di «Di tutto, di più». Superando molte resistenze, aveva riportato Michele Santoro su una rete Rai.
Ma tra lui e i politici romani continuavano a essere storie tese. Lo si capiva a ogni riunione della Vigilanza. A inizio dicembre, qualche giorno dopo l’anticipazione del piano editoriale fatta dall’Espresso, Merlo si dimetteva dalla task force parlando di «progetto sabotato. Speravo di aiutare il giornalismo della Rai a liberarsi dalla soffocante dipendenza della politica. Vado via perché questa missione è impossibile». Verdelli ha continuato a provarci. Il piano editoriale puntava a deromanizzare la Rai con il trasferimento del Tg2 a Milano, la città più produttiva del Paese, la creazione delle macroregioni per allentare la presa della politica sulle sedi regionali, la nascita di un tg a Napoli, il potenziamento del sito. Ma, nell’epoca della globalizzazione e del web, l’impostazione territoriale è apparsa superata. La politica ha fatto muro, il partito Rai gli ha fatto pagare la scelta dell’isolamento. Verdelli lascia la Rai: aspettiamo di sapere se c’è ancora spazio e tempo per riformarla.
La Verità, 5 gennaio 2017