«Alleno in paradiso, ma nessuno mi ha seguito»

Insegnare calcio alle Maldive. Francesco Moriero da Lecce, di anni 52, è il tecnico più invidiato del mondo. I motivi dell’invidia però non sono la qualità della sua squadra, le ambizioni di conquista di trofei prestigiosi, il contratto supermilionario con relativi benefit. L’invidia lo insegue per la sede di lavoro: l’atollo tropicale. Dopo la sconfitta con l’India, costata l’eliminazione dalla coppa d’Asia, la federazione maldiviana ha pensato a lui come commissario tecnico della nazionale. Così, la meta turistica più ambita del globo è diventata l’ultima tappa del vagabondaggio dell’ex giocatore di Lecce, Cagliari, Roma, Inter e Napoli. Del resto, ora è un allenatore giramondo, già passato per l’inferno della Costa d’Avorio e il purgatorio della Svizzera. «Pronto? No, non sono il mister, sono un suo assistente. Sta facendo le visite mediche… Richiami fra un paio d’ore».

Buongiorno, mister Moriero. Allora non è vero che è andato da solo in paradiso…

«Invece sì. Emilio (Mignoli ndr) l’ho trovato qui, è venuto a prendermi all’aeroporto. Adesso mi aiuta con la lingua locale. Si è instaurato questo rapporto lavorativo e amichevole. Con lui posso integrarmi meglio».

Anche gli allenatori sostengono le visite mediche?

«Certo. Poi ho fatto le foto per il permesso di soggiorno e gli altri adempimenti burocratici».

Emilio è tutto il suo staff?

«La federazione ha i suoi collaboratori e a me va bene lavorare con loro. Più avanti vedremo. Quando ci siamo accordati ho preparato i bagagli e sono partito».

Diceva della lingua…

«Con l’inglese mi arrangio, ma non tutti lo capiscono. E siccome già l’8 novembre abbiamo un torneo nello Sri Lanka conviene riuscire a spiegarsi bene subito».

I suoi calciatori sono professionisti?

«Semiprofessionisti. Lavorano e poi si allenano».

Lo sa che è uno dei coach più invidiati del mondo?

«Sono arrivato in un paradiso. Ho allenato in posti dispersi e ora sono fortunato a essere qui. I maldiviani sono simpatici. Ma non bisogna perdere di vista che sono venuto a lavorare e che la gente si aspetta molto. Sono invidiato… anche da persone che stanno sul divano. Almeno dieci collaboratori hanno rifiutato di seguirmi perché è troppo lontano».

Un posto bellissimo, che richiede anche sacrifici?

«Esatto. Anche se mi considero fortunato».

Che cosa serve per buttarsi in una sfida così?

«Disponibilità a mettersi in discussione, a mettersi in gioco. E voglia di creare qualcosa di proprio. Io sono sempre stato attratto dalle sfide difficili. Chi è abituato ai super stipendi e alle comodità è più frenato».

Quanto pesa la lontananza dalla famiglia?

«Pesa. A Lecce ho tre ragazzi, mia moglie e i genitori. Hanno la loro vita. Certo, la sera quando torno in camera mancano. Ma loro sono contenti perché sanno che lo sono io, perché faccio il lavoro che mi piace. E mi appoggiano al 100%. Se fossero qui magari si aspetterebbero più attenzioni di quelle che riuscirei a dare».

Come si è concretizzata la proposta?

«Da più di un anno avevo in mente di andare all’estero. In Italia non c’è pazienza. Ti chiedono di far crescere i giovani, ma dopo due pareggi ti mandano via. Pensi a Eusebio Di Francesco a Verona o a Leonardo Semplici a Cagliari, esonerati dopo poche giornate. Sì, il mestiere di allenatore è anche questo. Però…».

Com’è arrivato lì?

«Il mio amico Nuno Gomes, ex giocatore della Fiorentina, mi ha segnalato questa possibilità».

Fa il procuratore?

«Sì. Ho parlato con il presidente della federazione e ci siamo accordati per un anno. Anch’io devo conquistarmi la fiducia».

Era già stato lì in vacanza?

«No. L’impatto è stato fantastico. Fin dall’aereo mi sono accorto di quanto sono fortunato. Poi all’aeroporto ho trovato grande accoglienza da chi mi conosceva come calciatore. Spero di soddisfarli anche da allenatore».

Punterà su un gioco offensivo?

«Senza dimenticare che il calcio è equilibrio».

In che cosa devono migliorare i calciatori maldiviani?

«Soprattutto nella tattica, di cui in Italia siamo maestri. Ho trovato entusiasmo e disponibilità a imparare».

S’ispira a qualcuno in particolare?

«Grazie a Dio un po’ di carriera l’ho fatta. Il punto di riferimento è Carlo Mazzone che mi ha insegnato a comportarmi dentro e fuori dal campo. Ho imparato anche da Marcello Lippi e da Gigi Simoni, bravo a gestire il gruppo e grande motivatore. Poi il modo d’impostare il calcio è personale. Si prende spunto dai tutti: Pep Guardiola, Luciano Spalletti, Mourinho… Anche da Roberto Mancini, che ha dimostrato che in Italia ci sono tanti talenti».

Qual è il suo obiettivo?

«Trasmettere il mio calcio. E fare meglio di chi mi ha preceduto. A febbraio avremo le qualificazioni per i mondiali del Qatar con Cina, Giappone, India che sono più attrezzate di noi. Sono ambizioso, ma anche realista».

Com’è la sua giornata?

«Qui alle 6 del mattino c’è già un sole che spacca le pietre. Al mattino guardo i video dei miei giocatori e delle squadre che affronteremo. Al pomeriggio ci sono gli allenamenti».

Vive in albergo?

«Sì, a Hulhumale, dieci minuti da Malé, la capitale. Ma sto cercando casa. Ho una vista mare fantastica».

Già fatto qualche bagno?

«Purtroppo non ho ancora avuto il tempo».

Tornando all’invidia, lei dimostrava di non averne quando, dopo le prodezze di Recoba e Ronaldo, lucidare il loro scarpino. Si riteneva un gregario?

«Gregario no, umile sì. Come calciatore non mi sentivo inferiore a nessuno. Sono sempre stato un uomo di spogliatoio, a servizio dei compagni. All’Inter quel gesto divenne di moda e servì a fare gruppo».

Un calciatore umile, ma di talento e capace di gol spettacolari in rovesciata come in Coppa Uefa contro il Neuchatel Xamax e con la nazionale di Cesare Maldini.

«Il talento dev’essere a servizio della squadra e far divertire la gente».

Ai mondiali del 1998 in Francia rubò il posto ad Angelo Di Livio.

«Ero pieno di entusiasmo. Il sogno di ogni ragazzo è indossare la maglia della nazionale in un mondiale. Per testarmi Maldini mi convocò per l’amichevole con il Paraguay».

E lei segnò una doppietta.

«Quando il sogno si avvicina devi cambiare marcia».

Nella foto del profilo whatsapp è con Ronaldo il fenomeno. Avevate intesa anche fuori dal campo?

«C’era intesa con tutti. Sa, quelle annate che nascono bene… Con Ronnie c’era un rapporto speciale. A vent’anni era già il numero uno al mondo e riusciva a trascinarti. Con Zanetti, Zamorano, il Cholo Simeone, Galante e Colonnese abbiamo fatto la chat dei Ragazzi del 97/98… Hanno promesso che verranno a trovarmi alle Maldive».

Lei e Ronaldo uscivate insieme la sera?

«No, lui era scapolo, io avevo già famiglia. Giusto qualche cena in casa. Stavamo insieme dalle 10 del mattino alle 7 di sera».

Dopo l’Inter e due anni al Napoli ha smesso. Com’è finito ad allenare l’Africa Sports National, in Costa d’Avorio?

«Gliel’ho detto: se non sono cose difficili non mi piacciono. Mi ero iscritto al corso allenatori con Antonio Conte, anche lui di Lecce e amico fraterno. Però non volevo iniziare subito in serie A o serie B, ma capire se potevo fare questo mestiere. Andai a Nizza a vedere una partita della Costa d’Avorio. Il presidente della federazione mi disse: “Se un giorno vorrai allenare la nazionale, prima devi fare esperienza in un club per capire le nostre abitudini”. Mi presentarono il proprietario della squadra di Abidjan, che m’invitò ad andare lì».

La Costa d’Avorio è il Paese di Didier Drogba, Yaya Touré, Franck Kessie…

«Ma ad Abidjan non c’era niente. Squadra, strutture… Mi portai un piccolo staff e iniziai a fare centinaia di provini. Quando vincemmo il campionato me ne andai perché mi aveva chiamato il Lanciano che militava in Lega Pro. La squadra e il presidente vennero a salutarmi all’aeroporto, molti erano commossi».

Se le Maldive sono il paradiso la Costa d’Avorio è stata l’inferno?

«È stata un’esperienza formativa. C’erano ragazzi che per venire agli allenamenti alle 11 si alzavano alle 6 e prendevano tre pulmini. Rimediavano un euro per mettere insieme colazione, pranzo e cena, ma avevano sempre il sorriso. Alla prima partita c’erano tre spettatori, quando andai via ce n’erano 60.000».

Un ricordo di Abidjan?

«Il Paese attraversava momenti difficili, camminavo in mezzo ai militari. Stavamo speso barricati in casa».

Dopo qualche stagione in Lega Pro e in B è andato a Lugano, posto agli antipodi della Costa d’Avorio.

«Dalla Lega Pro portai il Crotone in B. Poi al Frosinone, ma fui esonerato a quattro giornate dalla fine. A quel punto, Enrico Preziosi, che voleva portarmi al Genoa, mi ingaggiò per il Lugano che era terz’ultima nella B svizzera. Arrivai secondo, sfiorando la promozione. Quando Preziosi vendette il Lugano ad Angelo Renzetti decisi di lasciare. A Lugano era tutto preciso, organizzato, puntuale. E un po’ fastidioso».

Come mai nel 2015 si è candidato in Puglia con Forza Italia?

«Mi è stato proposto. Volevo creare una cittadina dello sport per togliere i ragazzi di Lecce dalla strada, farli stare in un ambiente sano, e far stare tranquille le famiglie».

Fu eletto?

«Presi tanti voti, ma non abbastanza. Per uno sportivo è dura».

Fu criticato?

«No. La gente sa che non ho ambizioni personali. Lo ha constatato anche durante il lockdown quando, con Fabrizio Miccoli, abbiamo creato gli Angeli di quartiere e aiutato le famiglie povere di Lecce. Su Instagram abbiamo messo all’asta le maglie e i ricordi. Hanno partecipato tanti campioni, da Zanetti a Bergomi a Totti…».

Poi con Miccoli è andato ad allenare la Dinamo Tirana, in Albania.

«Durante la pandemia non c’erano offerte e noi volevamo tenerci attivi. Ma lì è durata poco, non c’erano i presupposti per lavorare bene».

Tanti coach hanno allenato e allenano all’estero, da Carlo Ancelotti a Fabio Capello, da Conte a Maurizio Sarri. Molti sono andati in Cina…

«Gli allenatori italiani sono apprezzati. Poi ci sono i giramondo. Walter Zenga ha ottenuto grandi risultati. Gianni De Biasi ha allenato l’Albania, adesso è in Azerbaigian. Marco Rossi dopo la Honvéd allena l’Ungheria».

Quanto spera di restare in paradiso?

«Dipende da tante cose. Anche per la federazione avere un allenatore che viene dall’altra parte del mondo è qualcosa di anomalo. Devo conquistarmi la riconferma. Chissà, poi magari parlerò con i miei…».

 

La Verità, 30 ottobre 2021