Permunian ci guida negli antri infernali dei pedofili

Un’incursione nella pedofilia clericale. Non, però, una denuncia o un pamphlet giornalistico sulla piaga che affligge i preti, sebbene a pubblicarlo sia Chiarelettere (pagine 208, euro 16), specializzata nel settore. Ma un romanzo ispirato a uno dei più grossi scandali della pedofilia nella Chiesa italiana. Già in passato Francesco Permunian ci aveva svelato il suo «Veneto d’ombra», turbato da devianze e ossessioni: quello di Sillabario dell’amor crudele è il più nero dei suoi capitoli. Un gorgo torbido «come la pece», nel quale non sembra esserci spiraglio di redenzione se si eccettuano due figure positive appena citate: padre Alfonso, per tanti anni missionario nel Bangladesh tra i malati, i vecchi e i bambini, e papa Bergoglio, secondo Permunian deciso a perseguire preti e prelati sopraffattori.

Ma sono ancore fragili, figure tremolanti che spariscono nel campionario di perversioni di questo scenario orrido. Il cui protagonista e narratore è un nano intelligente: «Ecco perché io sottoscritto, Teodoro Maria Baseggio, (non più tanto giovane, ma comunque sano di mente e di corpo), finalmente mi sono fatto coraggio e, impugnata una penna, ho dato voce ai fantasmi della mia schifosissima infanzia abusata e tradita. È stato come svegliarsi da un incubo. (…) Giunto alle soglie della vecchiaia, dichiaro pertanto e confermo l’inconfutabile veridicità di quanto esposto nel presente Sillabario in cui ho inteso narrare, costi quel che costi, il mio faticoso viaggio di risalita dall’inferno di un orfanotrofio cattolico della nostra cattolicissima provincia veneta». Dov’è stato rinchiuso dall’età di otto anni, quando i genitori lo hanno abbandonato una volta riscontrato il suo sgradevole nanismo.

Nella Santa casa dei trovatelli Teodoro Baseggio ha subito gli umilianti abusi di padre Camilo Mendes che agiva in combutta con suor Clemenzia, a dispetto del nome spietata amministratrice dell’istituto. Ora, grazie alla scrittura, egli può elevarsi dal suo metro e trenta dal quale ha scrutato tutte le peggiori bassezze, portando il lettore dentro un vortice di turpitudini, rappresentate con il gusto dello sberleffo proprio della commedia più acre e malinconica. Non a caso il suo nome richiama quello di Francesco «Cesco» Baseggio, attore di lunga e prestigiosa carriera teatrale. Attorno a lui, oltre al frate violentatore e alla madre superiora, si muovono altri burattini del male, l’ex moglie Bernarda, la zia Mabilia rimasta suo malgrado illibata, la bambina prostituta Baby Yaba, la novantenne Maria Fedora che ancora si vagheggia indossatrice, lo zio Petronio, cofanista di bare, i coniugi Hofer adepti di una setta balorda, le sorelle Pompa e la prosperosa lavandaia Maria Josefa Tetàna, in un bestiario di deformi e osceni che fin dall’onomatopea rappresentano la loro danza macabra e grottesca. In cui spicca la sagacia del protagonista-narratore che, oltre al nome, di intellettuale possiede pure l’ambizione e le frequentazioni, essendo impiegato nell’editoria. Ma Baseggio, scrive Permunian rispecchiandosi in tanto disprezzo, «stava lontano dal chiasso e dalle occasioni mondane, dove l’odore d’incenso del clero si mescola a quello del pollaio dei letterati». Conventicole asfittiche e stantie.

Insomma, un romanzo magmatico e pullulante, in cui lo sforzo principale è stato sistemare questo materiale multiforme e difficile da tenere. Ecco allora la scelta del sillabario, nel quale far rientrare la storia ispirata alla vicenda di un orfanotrofio reale che ha riempito le cronache del degrado clericale, dalla provincia veneta fino all’Argentina (da qui le accentuate preoccupazioni di Bergoglio). All’abecedario fa da controcanto una densa appendice finale, volta a dare solidità documentaria a quelle che possono sembrare bizzarrie e stranezze marginali e invece non lo sono. «Tutti questi peccati, nessuno escluso, sono stati commessi nella storia del mondo», scrive il cardinale Carlo Maria Martini. «Ma non solo: sono stati commessi anche nella storia della Chiesa. Da laici, ma anche da preti, da suore, da religiosi, da cardinali, da vescovi, e perfino da papi. Tutti», si legge nell’esergo scelto dall’autore.

Su questa desolazione di peccato si alza la risata nervosa che scuote la prosa dell’ateo inquieto Permunian, frequentatore di cristiani eretici come Sergio Quinzio e David Maria Turoldo. Allora, forse, più che la semplice e ultimamente farisaica denuncia – secondo la quale i cristiani dovrebbero essere migliori degli altri – in questo libro è possibile intravedere la rabbia e lo scandalo per l’abiezione che ha attraversato sacrestie e istituti religiosi, trasformati da luoghi di carità ed educazione per i bambini più sfortunati in antro degli orrori. Rabbia e scandalo che si esprimono attraverso il grido blasfemo che sgorga dalla più amara delle delusioni.

La Verità, 26 luglio 2019