Il pioniere Berlusconi, uomo del fare prepolitico
Il pioniere Silvio Berlusconi. L’innovatore. Il rivoluzionario che ha cambiato i mondi nei quali ha agito. Il 4 ottobre 1990 si festeggia il decennale di Canale 5. Berlusconi è giovane, ha i capelli e il sorriso flash. Lo smoking è impeccabile. L’occasione è importante e l’intervista a tutto campo di Mike Bongiorno viene trasmessa nella rete ammiraglia. Tu ti occupi di tante cose, gli dice Mike snocciolando l’elenco dalla tv al calcio, dall’edilizia all’editoria. «Non hai mai fatto un pensierino alla politica?». «Io sono un uomo del fare, quindi lasciami fare il mestiere che so fare bene che è quello dell’imprenditore». È l’inizio di Il giovane Berlusconi, la docuserie in tre episodi visibile da ieri su Netflix. Prodotta da B&B Film, in coproduzione con Gebrueder Beetz e la franco tedesca Zdf Arte, scritta da Matteo Billi e Piergiorgio Curzi con la regia di Simone Manetti, è uno dei documenti più completi per capire chi sia stato davvero il fondatore della Fininvest, il grande editore, l’inventore di Milano 2, il patròn più vincente del calcio italiano, il creatore di un partito che in pochi mesi ha vinto le elezioni politiche di un Paese allo sbando.
Il pioniere, recita la Treccani, «è il primo o fra i primi a lanciarsi in una iniziativa o a diffondere un’idea, aprendo nuove possibilità di sviluppo». Ritraendolo così, la docuserie scava e racconta senza pregiudizi, grazie all’intelligenza, la ricchezza e la pertinenza delle tante testimonianze raccolte. «Lui è stato più bravo, più charmant», sintetizza Fedele Confalonieri.
L’epopea berlusconiana comincia da Milano 2, il quartiere che abolisce i semafori e cambia il modo di abitare. Berlusconi è ossessionato dalla perfezione. Ogni venerdì va a controllare i cantieri. «Una volta l’ho visto sradicare un lavandino con le sue mani e buttarlo per terra», racconta Marcello Dell’Utri: «Questo non va qui, va lì». Per far acquistare due palazzi di Milano 2 all’inavvicinabile dirigente di un ente romano sommerge di rose rosse la segretaria, che lo avvertirà del viaggio del dirigente al Nord e gli prenoterà sul treno il posto di fronte a quello del suo capo. Nella cittadina satellite si installa la tv via cavo e quando l’etere viene liberalizzata, l’immobiliarista Berlusconi «vede» un’emittente locale, TeleMilano 58, con ambizioni nazionali. Sintetizza Vittorio Dotti: «La televisione è tutto ciò che c’è intorno alla pubblicità». Ad Adriano Galliani, invitato a cena ad Arcore, chiede a bruciapelo: «Ma lei, con la sua azienda (Elettronica industriale ndr), sarebbe in grado di costruire tre televisioni nazionali?». L’idea rivoluzionaria è il pizzone, cassette da 24 ore pre-registrate con programmi e pubblicità spedite nelle tv locali collegate. Nasce Publitalia 80. Qualche anno dopo, a Carlo Freccero, allora direttore di Canale 5, dice: «Devi fare un palinsesto che imprigioni il pubblico alla televisione». La Rai propone telefilm singoli, Dallas fidelizza. «La cosa interessante», prosegue Freccero, «è che J. R. era la controfigura di Berlusconi». La controprogrammazione sono i Puffi opposti al telegiornale. La Fininvest acquisisce Italia 1 da Rusconi, ma l’osso duro è Rete 4 di Mondadori. Nel weekend che precede l’accordo che abolisce gli sconti, li usa per rastrellare più investitori possibile. Quando Luca Formenton rientra dal fine settimana si arrende.
«Berlusconi vuol essere americano», spiega Freccero. «La differenza dall’Europa è nel verbo ausiliare. In America è to do, in Europa è essere: Berlusconi è l’uomo del fare, vincente». Tuttavia, un privato con tre televisioni spaventa. Il pretore di Pescara decide di oscurarle perché non possono trasmettere in diretta. «Noi non trasmettiamo in diretta, ma in contemporanea», precisa Bongiorno. Pino Corrias: «Berlusconi forza le leggi». Inizia la rivolta dei Puffi. Bettino Craxi fa riaccendere le tv. E prepara la strada per sbarcare a La Cinq convincendo Francois Mitterand («Fu l’unico scontro che ebbi con lui», rivela Jack Lang, ex ministro della Cultura). Berlusconi la inaugura nel febbraio 1986 con Charles Aznavour, Michele Platini e Serge Gainsbourg, qualche giorno dopo aver firmato l’acquisto del Milan. Anche nel calcio punta al traguardo più alto. Il «Berlusconi sei una bella figa» che gli urla un fan in quel periodo di successi «è la sublimazione della sua vanità» (Gigi Moncalvo). Non tutto però va bene. La Standa che avrebbe dovuto diventare «la casa degli italiani» fallisce. Scoppia Tangentopoli. Due istituti bancari che avevano sostenuto l’espansione del gruppo chiedono il rientro dei crediti. Incalzano le inchieste giudiziarie. Confalonieri è indagato, Dell’Utri a rischio arresto. Si arriva alla sera delle monetine all’Hotel Raphael contro Craxi. Nel crollo generale dei partiti solo il Pci rimane in piedi. Avrebbe sicuramente vinto le elezioni del 1994. Senza il suo referente politico, Berlusconi capisce che ha solo una strada davanti. Creare un partito. Confalonieri azzarda: «Dell’Utri sta a Berlusconi come San Paolo sta a Gesù Cristo. È uno splendido esecutore». Per creare Forza Italia ricicla da Publitalia la struttura, da Canale 5 lo stile, dal calcio l’appartenenza. Poche settimane prima del voto Giovanni Minoli lo intervista per Mixer: «Le piacerebbe fare il presidente del Consiglio?». E Berlusconi corregge la risposta di quattro anni prima a Mike Bongiorno: «Quando ho sentito che una cosa dev’essere fatta non mi sono mai tirato indietro». Al duello in tv con Enrico Mentana, «Berlusconi era luminescente, con la spilla che emanava bagliori. Occhetto era opaco, con il vestito color nocciola» (Corrias). «Noi facevamo ancora la politica dei comizi, invece era già cominciata la politica della percezione», ammette Achille Occhetto.
«Il tema è questo», premette Minoli. «Tu puoi fare il presidente del Consiglio essendo proprietario di tre televisioni private?». Si chiude con il giuramento da presidente del Consiglio. Anche per raccontare il successivo trentennio politico, con le debolezze e le difficoltà note, servirebbero occhi di testimoni e linguaggio da documentario senza pregiudizi.
La Verità, 12 aprile 2024