Rampini racconta il vero Trump oltre gli stereotipi

Ci sono la narrazione, la divulgazione e l’informazione. Da giornalista e scrittore, Federico Rampini, editorialista del Corriere della Sera, poteva scegliere fra le tre opzioni per raccontare L’America di Trump in due puntate su La7: la prima, martedì in prima serata, ha raggiunto 750.000 telespettatori e il 4,7% di share. Ha scelto la formula delle «Inchieste in movimento» per distinguerle dalle precedenti «Inchieste da fermo». Il conduttore abbandona lo studio televisivo e si sposta sul territorio, evidenziando su Google maps le tappe dell’indagine, da Manhattan, dove risiede da 16 anni, al Bronx, da Little Italy a Wall Street, dalla Trump Tower, simbolo dell’elezione del 2016, ad Harlem fino alla metropolitana obsoleta e infestata dalla ruggine. Ma, è noto, New York non è l’America, anzi, intrattiene con il Paese un rapporto di diffidenza se non di conflittualità (nella seconda puntata si andrà nella Silicon Valley). È una città cosmopolita, animata dagli emigrati provenienti da ogni parte del mondo, la città della globalizzazione, delle élite e dell’establishment. È anche una «città santuario», dove esiste un luogo come il Roosevelt hotel che accoglie immigrati irregolari che percepiscono il reddito di cittadinanza. Situazione contestata dai ceti popolari e dagli immigrati regolari, strati sociali rifiutati dalle élite della Grande mela, come rifiutato è anche lui, Donald Trump, il 47° presidente. Inevitabile che scattassero riconoscimento e complicità: chissà se resisteranno e per quanto. A fine giugno, intanto, il Roosevelt hotel chiuderà.
Rampini parla di contenuti che conosce, ma si fa aiutare da testimoni come la scrittrice Fran Lebowitz, l’ex sindaco Bill de Blasio, l’economista Jeffrey Sachs, padre Enzo Del Brocco che ha studiato insieme a papa Prevost. Forse si poteva scavare di più, ma il suo pregio principale è che non narra secondo l’antitrumpismo di moda e non divulga argomenti imparati per l’occasione. Confronta i fatti con la storia, smontando le troppe apocalissi imminenti. E oltrepassando i pregiudizi che dipingono Trump come autore di atti «senza precedenti». Come il ricorso alla Guardia nazionale per sedare i disordini in California contro le politiche anti immigrazione clandestina. Anche i suoi predecessori se ne servirono; nel 1963 il democratico John Fitzgerald Kennedy contro il governatore dell’Alabama, per esempio. Anche Barak Obama a Joe Biden hanno contrastato duramente gli irregolari, senza che i media se ne scandalizzassero. Trump non lo fa di nascosto, ma lo rivendica.
E Rampini ce lo dice senza giri di parole.

 

La Verità, 19 giugno 2025