«Il referendum sul fine vita nasconde un equivoco»
Con l’autorevolezza che gli deriva dalla lunga frequentazione delle istituzioni repubblicane, già presidente della commissione Antimafia e della Camera dei deputati, Luciano Violante è abituato a spaccare il capello con il laser del diritto. Significativo è stato un suo recente intervento sul referendum, spacciato come pro eutanasia, in realtà volto a depenalizzare il reato di omicidio del consenziente.
Presidente, pure in presenza di un giudizio positivo sull’operato del governo Draghi alcuni analisti segnalano che esso rappresenta un’anomalia istituzionale per esempio in rapporto al Parlamento: qual è la sua opinione in proposito?
«Abbiamo un sistema costituzionale che non favorisce la decisione. I nostri tempi, invece, necessitano di decisioni. Senza riforma costituzionale quello che sta succedendo è inevitabile».
Sembra anche a lei che Draghi decida quasi a prescindere dalle indicazioni dei partiti della maggioranza?
«La figura del presidente del Consiglio in tutti i sistemi di democrazia matura non è quella del mediatore, ma del decisore, previo consenso delle componenti della maggioranza. Non è più un puro recettore delle tendenze dei partiti com’è stato fino al governo Craxi. Da allora il sistema si è modernizzato. Non a caso i giornalisti usano il titolo di premier, costituzionalmente scorretto, ma che ne definisce bene le funzioni».
Ritiene indispensabile il protrarsi dello stato di emergenza a causa della pandemia?
«Non siamo in presenza di una guerra, per cui alcuni argomenti “bellici” andrebbero usati con prudenza. Tuttavia l’epidemia è gravissima e sostanzialmente sconosciuta ; va affrontata con strumenti adeguati, gravi, che in condizioni normali non sarebbero accettabili».
È corretto sottolineare che l’emergenza del Covid ha accentuato una deriva pericolosa per la democrazia o quella di Massimo Cacciari va presa solo come una provocazione?
«Non è mio costume fare polemiche. Il professor Cacciari ha espresso un’opinione che, anche quando non condivisa, va accolta con rispetto. Ritengo sbagliato demonizzare anziché discutere. Le restrizioni sono ammissibili se ragionevoli, proporzionate e temporanee».
Non le pare che la demonizzazione di chi pone domande sia evidente?
«Vedo radicalismi da un parte e dall’altra».
È pretestuosa l’accusa d’ipocrisia della gestione del green pass? Non sarebbe più trasparente stabilire l’obbligo vaccinale cosicché nei casi controversi ci sia una responsabilità precisa alla quale rifarsi?
«La gestione del green pass è un fatto sanitario. A mio avviso la salvaguardia della salute è primaria. Dotarsi di green pass non comporta un grave sacrificio né un gran costo. Personalmente capisco poco la polemica sulla privazione della libertà».
Quanto dev’essere tenuto in considerazione il fatto che, esclusa la Francia, nella maggioranza dei Paesi europei il certificato verde non ha applicazioni così estese?
«Il problema va considerato in termini comparativi. Le misure vengono adottate in rapporto al costume, alle relazioni tra cittadini e con lo Stato, se si tratti di un popolo più o meno disciplinato o di uno Stato più o meno accentratore. Noi siamo un Paese con una forte tendenza alla libertà individuale».
In questa situazione si registra la spinta per il referendum in favore dell’eutanasia o più precisamente per l’abolizione del reato dell’omicidio del consenziente: se fosse approvato quali scenari aprirebbe nella legislazione del fine vita?
«Se tanti cittadini firmano significa che esiste un problema. Se il referendum fosse approvato potrebbe essere uccisa una persona con il suo consenso solo perché ritiene insopportabile una delusione sentimentale, un fallimento finanziario, una depressione. Tutto ciò che riguarda decisioni definitive, non riformabili, come dare e darsi la morte va legiferato con estrema attenzione. Diverso è, a mio avviso, il suicidio assistito sul quale esiste già una sentenza della Corte costituzionale. L’attuale quesito referendario esprime una buona intenzione, ma può avere effetti tragici».
Perché l’abolizione dell’articolo 579 del Codice penale potrebbe trasformarsi in una discriminazione dei più poveri?
«Oggi assistere un malato in un istituto che pratica cure palliative costa circa 300 euro al giorno, mentre in un ospedale il costo sale a 470 euro. Aumentando la popolazione anziana con il miglioramento delle condizioni di vita, in futuro gli anziani che non possono pagare queste cure potrebbero essere indotti a chiedere la morte per sé. Mi ha colpito che, durante questa pandemia, un giornalista e scrittore importante come Massimo Fini abbia detto che per salvare la vita ai settantenni e ottantenni si mette a repentaglio quella dei giovani: che muoiano pure i vecchi. Nella nostra società circola con leggerezza un’opinione nichilista e cinica nei confronti delle persone più fragili, come gli anziani. Dal pensare che non vale la pena far vivere alcune categorie deboli alla loro soppressione concordata, il passo può diventare breve».
La proposta di questo referendum viene dopo il dibattito sul ddl Zan che a sua volta segue quello sullo ius soli: a sinistra i diritti civili hanno definitivamente soppiantato i diritti sociali?
«È una domanda che a volte mi sono fatto anch’io. Ma oggi mi pare che lo slittamento sia stato frenato; penso, ad esempio, alle politiche del lavoro del Ministro Orlando. Il fatto è che i dritti di libertà sono diritti tanto necessari quanto “facili” perché non costano e si esercitano subito dopo la proclamazione. Mentre i diritti sociali costano, creano conflitti e sviluppano i loro benefici in tempi più lunghi. Credo che una forza di sinistra debba esprimere equilibrio tra diritti e doveri e tra diritti individuali e diritti sociali».
L’identità di genere percepita sui cui si basano alcuni articoli del ddl Zan è un concetto sufficientemente solido per costruire un’architettura legislativa?
«Sarebbe necessaria una discussione che superi la logica dei numeri. Mentre alcuni aspetti mi convincono, preferirei un ragionamento più complessivo sulle discriminazioni nelle scuole».
Mi pare di capire che è contrario all’istituzione della giornata scolastica contro l’omotransfobia?
«Preferirei una giornata contro tutte le discriminazioni. Credo che ai ragazzi dobbiamo insegnare che il meccanismo delle discriminazioni, di tutte le discriminazioni, scatta quando si inizia a pensare che qualcuno sia diverso da te e abbia meno diritti di te per il fatto stesso di essere diverso».
L’insistenza sui diritti civili evidenzia un distacco dalla quotidianità della maggioranza, fatta di problemi di gestione della salute, di difficoltà ad arrivare a fine mese, di problematiche legate alla pressione fiscale?
«Mi pare che in questa fase si stia costruendo un equilibrio. Mi riferisco alla difesa della salute o alle tematiche del lavoro».
Il nuovo fronte è la coltivazione della cannabis a uso privato. Sembra anche a lei che il Pd proponga continuamente nuove questioni divisive per mettere in difficoltà una parte della maggioranza e omologare il governo alla propria linea?
«Governano insieme forze che hanno idee diverse su molte questioni, ma prevale il senso di responsabilità. La coltivazione di quattro piante di cannabis a uso privato fa certamente effetto. Ma mi sembra più importante lo ius soli. Credo che il diritto di avere la cittadinanza italiana di ragazzi nati in Italia, che frequentano scuole italiane e tifano per squadre di calcio italiane sia un diritto diverso da quello di coltivarsi le piantine in terrazza. Lo ius soli attiene ai moderni diritti di libertà».
Ritiene che le gravi storture messe in luce dalle rivelazioni di Palamara avrebbero meritato degli interventi più energici degli organi direttivi della magistratura?
«Più che espellerlo dalla magistratura… Palamara non ha rivelato misteri inediti, ma ha messo per iscritto un sistema corrotto di cui molti magistrati già parlavano nelle loro chat. Oggi occorre un intervento legislativo per evitare che la magistratura rimanga un corpo totalmente autoreferenziale rispetto al resto della società e dell’ordinamento costituzionale».
La riforma della giustizia di Marta Cartabia assolve a questo compito o è solo una mediazione rispetto alla riforma Bonafede per ottenere i fondi del Recovery plan?
«I fondi del Recovery plan riguardano la riforma della giustizia civile, non di quella penale. La riforma del ministro Cartabia ha una visione strategica seria, apprezzata da tutti gli operatori. Adesso occorre mettere mano all’ordinamento giudiziario che non riesce a rispondere alle trasformazioni del ruolo della magistratura».
Una necessità da tempo parcheggiata nella lista dei desideri.
«Occorre pensare a interventi con una logica costruttiva, non punitiva. La magistratura non è più quella degli anni Cinquanta quando sono stati introdotti il Csm e l’attuale struttura di governo. Se non si interviene c’è il rischio che la società venga amministrata dal sistema della giustizia penale».
Come giudica l’operato del ministro Lamorgese in occasione del rave party di Mezzano anche alla luce delle ultime rivelazioni sulla «scorta» al convoglio di camper in avvicinamento al luogo dell’evento?
«Prima di esprimermi vorrei conoscere l’esatto stato delle cose».
Pensando al caso Durigon e alle espressioni del professor Tomaso Montanari sulla Giornata del ricordo delle foibe che cosa serve per una vera riconciliazione con il nostro passato?
«Bisogna che ciascuno rispetti le memorie dell’altro. Rispettare non vuol dire condividere, ma rispettare. E le memorie di tutti devono stare dentro l’ordinamento costituzionale».
Perché a suo avviso ci s’innamora ciclicamente di tanti piccoli messia come Roberto Saviano, Michela Murgia, Fedez, Montanari ai quali attribuire una funzione supplente nel dibattito politico?
«Il pensiero di sinistra nasce dalla critica hegeliana del reale. Perciò il pensiero critico dello stato delle cose, di cui le persone da lei citate sono espressione, è sempre fortemente apprezzato. Poi, certo, il reale non basta criticarlo, va anche ricostruito».
Non è perché la sinistra è più vicina alle élite di quanto lo fosse un tempo?
«Avendo governato abbastanza a lungo negli ultimi anni è inevitabile che i ceti più forti si siano avvicinati alla sinistra. Quando ha governato la destra è accaduto il contrario. Il problema non è che il Pd prenda i voti nelle Ztl; deve avere anche il consenso delle persone svantaggiate con politiche adeguate a conquistarlo. Quanto alla distanza dal reale dei partiti di sinistra, nutro qualche dubbio considerando che la maggioranza degli 8.000 comuni italiani è governata da giunte di sinistra o con componenti di sinistra, dove ogni giorno i cittadini chiedono concretezza».
La Verità, 11 settembre 2021