Sofia Viscardi, una teen ager che può far paura

Mi spiace, ma sto con Giampiero Mughini. E con le 80 copie di Porto sepolto di Giuseppe Ungaretti, piuttosto che con i 2 milioni e oltre di seguaci nei vari social di Sofia Viscardi, intervistata con grande risalto dal Corriere della Sera. Sto con Mughini non per un vezzo snobistico, per una vezzosa scelta in favore delle minoranze di qualità alla Nanni Moretti in Caro diario. È che le folle mi fanno paura. Anzi, non è neanche questo. Dipende dalla qualità delle folle, da che cosa le mette insieme e le fa essere. In realtà, non mi convince proprio il mondo che diffonde Sofia Viscardi. Non tanto i social e il web, tout court. Quanti vantaggi portano, quanta velocità ci regalano, quanto apprendimento, a volerli sfruttare con intelligenza. Non mi convincono la mentalità, la cultura, il mood della social star. Sofia Viscardi ha concesso un’intervista ad Aldo Cazzullo di una paginata, intitolata: «Vi spiego chi sono i vostri figli». I miei hanno qualche anno di più dei suoi 19, ma lo stesso il titolo mi ha attirato. Ho letto e mi son detto: boh? Cos’è questo mondo orizzontale? Questa massa di follower? Conquisto «la loro attenzione, mica la loro anima», si è difesa lei. E meno male.

Su Dagospia Giampiero Mughini ha criticato il dialogo Giorello-Viscardi

Su Dagospia Giampiero Mughini ha criticato il dialogo Giorello-Viscardi

Perché su questo io sto con lo psichiatra Eugenio Borgna che ritiene condivisione, connessione e community, simboli della rivoluzione digitale, «parole che restano in superficie, che non colgono comunità reali». Chissà quanto ne ha coscienza la social star che snocciola meet-up interrotti dai carabinieri per eccesso di assembramenti e visualizzazioni a milionate. Andando avanti a leggere si trova una lunga serie di esperienze accumulate, di citazioni virtuali, di teen-scrittori, youtuber, Chiara Ferragni (che è la fidanzata di Fedez, in caso sfuggisse, lanciata da sua madre), di posti visitati. A 19 anni non ancora compiuti è stata in Marocco a Essaouira e Marrakech, conosce le Cicladi maggiori, le «spiagge ventose della Spagna e del Portogallo per fare kitesurf», Amsterdam. Una volta, con espressione oggi desueta, si sarebbe detto: una ragazzina viziata. Che ha cambiato quattro o cinque scuole superiori perché «rispondevo; e questo ai professori non piace». Che con la sua famiglia, per la morte del nonno, anziché celebrare il funerale ha fatto «un aperitivo con un po’ di musica: lui aveva voluto così».

A parte immaginare il classico «aborro» di Mughini, non sono principalmente spaventato da tutto questo apparato, da tutta questa liturgia radical chic. Anche, s’intende, ma solo in parte. Di più mi spaventa l’assenza di una domanda, di un cruccio, di una ferita, qualcosa di mancante, un moto di rabbia. Nel mondo pieno di esperienze e di precocità ma ultimamente piatto che trasuda dall’intervista latitano verticalità e profondità. Non c’è una sofferenza, un dolore, qualcosa d’inspiegato. Una surfista della parola. Una surfista dei social. Non c’è nulla di quello che Alessandro D’Avenia, da mesi ai primissimi posti della top ten con il suo saggio-romanzo su Giacomo Leopardi, chiamerebbe fragilità. Non so voi, ma io a una diciannovenne senza fragilità stento a credere. A ben guardare non è colpa sua se a milioni la seguono. È la fotografia del nostro tempo. Ma dobbiamo farci spiegare da una ragazza così chi sono i nostri figli? Non scherziamo.

Alessandro D'Avenia alla Gran Guardia di Verona (Anto/Fotoland)

Alessandro D’Avenia alla Gran Guardia di Verona (Anto/Fotoland)

Sono andato a rileggermi altre cose di Sofia Viscardi, scoprendo che nel giugno scorso, in occasione dell’uscita di Succede, titolo vagamente saccente del suo primo romanzo, il Corriere della Sera ha dedicato una lunga conversazione sulla Lettura tra lei e Giulio Giorello, nientemeno. Ciò che suscitò la reazione di Mughini di cui sopra. E certo, a pensarci: quante domande sull’impiego delle nostre energie migliori e sulla consapevolezza del ruolo educativo di noi adulti.

C’è solo un punto dove Sofia Viscardi lascia trapelare qualcosa, ed è dove risponde alla domanda se «crede nella vita dopo la morte». «Credo che ci sono cose che non possiamo sapere», ammette. Ma è un punto che sfila via perché subito dopo dice di non essere religiosa. Invece, riconoscere che esistono cose che «non possiamo sapere» è l’atto più razionale della ragione: ammettere la possibilità di qualcosa che non si riesce a misurare e controllare. Proprio questa umiltà della ragione è l’inizio del senso religioso, del porsi le domande sul perché della vita e della morte… Ecco: che oltre due milioni di persone seguano una ragazza così, mi fa pensare. E preoccupa.

Sto con Mughini, Borgna e D’Avenia, gente più fragile di Sofia Viscardi. Alla quale, peraltro, auguro tutto il meglio possibile.