«Spalletti è l’uomo giusto per la nostra Nazionale»
Pur avendo girato il globo e seguito nove Mondiali, Paolo Condò ama tornare alle origini. «La domenica sera», racconta, «vado sempre a vedere che cos’ha fatto la mia Triestina che adesso milita in Serie C. E anche se non so a memoria la formazione, quando scopro che ha vinto qualche endorfina si sveglia». Opinionista principe di Sky Sport ed editorialista di Repubblica, dal 2010 Condò è l’unico giornalista italiano presente nella giuria che assegna il Pallone d’oro, il premio organizzato dalla prestigiosa rivista France Football.
L’invasione araba è un evento positivo o negativo per l’Europa e l’Italia?
«Come tutti gli eventi, all’inizio non è facile da interpretare. Non sappiamo se essere contenti perché stanno affluendo soldi per colmare i buchi dei bilanci delle società o se, come avvenuto in passato, i nostri club ne creeranno altri di ancora più profondi. Un fatto simile è già accaduto quando la Premier league ha iniziato a prendere i nostri giocatori migliori, riempiendo di assegni i club, senza però che i loro bilanci migliorassero granché».
Per qualcuno è un’occasione di crescita per altri l’inizio della fine.
«In questi ultimi dieci anni l’Uefa ha imposto il fair play finanziario. Ma anche se società come il Manchester City o il Paris Saint-Germain hanno trovato i modi per dribblarlo, ci siamo accorti che applicando le regole si riesce a fermare la tendenza a indebitarsi e a salvare molti club. Come provocazione un po’ utopistica ho proposto che Uefa e Fifa insieme invitino due squadre della Saudi league a partecipare alla Champions, in cambio della loro adesione al fair play finanziario».
A che scopo?
«Di evitare che spendano senza limiti. Ricordiamoci che i Sauditi hanno un piede nei loro campionati e un altro in quelli europei, soprattutto in Premier league. Se possiedo una società in Europa che deve sottostare al fair play e un’altra in Arabia che non ha vincoli, come il Public investment fund (Pif ndr) proprietario del Newcastle e dell’Al-Nassr di Cristiano Ronaldo, posso spostare tutti i debiti nella seconda, creando una forte anomalia sistemica».
Considerando i contrasti tra Uefa e Fifa non c’è da essere ottimisti, ma in passato il calcio europeo ha retto alla scoperta del mercato americano e di quello cinese.
«C’è un precedente storico che risale al 1949, quando la Colombia cominciò a prendere giocatori del calibro di Alfredo Di Stefano senza che le squadre argentine potessero tutelarsi. In quei quattro anni il campionato colombiano divenne il più importante al mondo e solo quando la Colombia rientrò nella Fifa le cose si sistemarono. Più che la scoperta del calcio americano o cinese, che comunque seguivano regole comuni, ciò che sta accadendo oggi con l’Arabia ricorda l’El Dorado colombiano».
Quello arabo è determinato dalla sconfinata liquidità dei fondi?
«Che per di più non devono ottemperare al fair play finanziario. Mi auguro che l’invasione araba sia l’occasione per ridisegnarlo in modo restrittivo affinché anche le squadre-Stato come il Psg o il City non riescano a dribblarlo».
Firmando con l’Al-Hilal Neymar ha detto che ha sempre desiderato essere un «calciatore globale»: la frontiera araba esaspera questo processo?
«Lo estremizza. Oggi l’Europa rischia di diventare un continente produttore di giocatori sfruttato da altri come il Sudamerica. Fortunatamente credo che piazze come Madrid, Barcellona, Londra, Manchester, Monaco, Milano, Roma o Napoli troveranno risorse per resistere».
Cosa la fa essere così ottimista?
«Siamo specializzati nel prendere gli scarti dei campionati maggiori, raggiungendo comunque ottimi risultati. La finale Champions di quest’anno si è disputata tra un club che ha investito un miliardo di euro, e un club italiano costretto tutti gli anni a vendere il proprio uomo migliore per restare in equilibrio. In campo si è sempre 11 contro 11, e comprare i 25 giocatori più forti del mondo non sempre fa questa gran differenza».
È inevitabile che il tifo, riserva di appartenenza, contesti il calcio mercenario alla Neymar?
«I tifosi sono giustamente critici. Io la domenica sera guardo il risultato della mia Triestina… Neymar è un caso di scuola perché è un giocatore che, avendo dato la precedenza ai soldi, ha vinto meno di quanto facevano prevedere le sue grandi potenzialità. Solo andando al Psg sembrava aver fatto una scelta da campione, perché si era accorto che al Barcellona sarebbe sempre stato nell’ombra di Messi. Ma poi è arrivato Mbappé che è più forte di lui. Ora, anziché andare in Premier o venire più umilmente in Italia, si congeda dal calcio europeo senza aver lasciato il segno, e ripara in Arabia».
Una volta ci andavano i giocatori a fine carriera oggi ci va anche chi potrebbe essere ancora competitivo.
«Sfido a dire i nomi delle squadre che hanno preso Milinkovic-Savic, Koulibaly, Brozovic. Capisco la decisione di Cristiano Ronaldo a 37 anni, ma quella di tanti altri mi appare una scelta malinconica. Il nostro campionato è il più colpito dal vento d’Arabia perché, dopo un’esperienza modesta all’estero, giocatori come Koulibaly o Kessie avrebbero potuto tornarci».
Ieri Gianni Rivera ha compiuto 80 anni, l’esaltazione e l’attaccamento ai campioni appartiene alla sfera della nostalgia?
«No. Tuttora, non soltanto i campioni ma anche i giocatori normali, creano legami profondi. Il calcio trasmette emozioni. Sono le emozioni a far acquistare abbonamenti alle pay tv, comprare giornali e biglietti dello stadio. Le azioni dei giocatori hanno a che fare con l’aspetto eroico della vita perché loro sono i nostri eroi».
Un po’ meno se si pensa alla cessione di Tonali al Newcastle, al caso Lukaku o all’acquisto di Cuadrado da parte dell’Inter?
«Sono rimasto sorpreso quando la Juventus non ha rinnovato il contratto a Cuadrado perché lo ritenevo un giocatore con benzina nel serbatoio. Quando entra in area, i difensori devono stare attenti perché è uno che cerca il rigore… Ho trovato molto divertente che alcuni tifosi interisti abbiano detto: lo prendiamo, ma lo rieduchiamo. Succederà che Cuadrado continuerà a giocare con il suo stile e a procurarsi rigori generosi, ma i tifosi dell’Inter, esattamente come facevano quelli della Juve, vedranno un rigore solare. È l’automatismo del tifo. Che non è disonestà, ma una sorta di simpatica malattia».
Cosa pensa delle dimissioni di Roberto Mancini?
«Ci sono alcune cose che continuo a non capire. Personalmente, mi ha intristito che, pur avendo uno storico rapporto con lui, non mi abbia suggerito nessuna pista sulla quale lavorare, mentre mi congratulo con i colleghi che l’hanno avuta».
È stato giusto chiedere di togliere la clausola che prevedeva il licenziamento in caso di mancata qualificazione agli Europei?
«Direi di no. Ho sostenuto che fosse suo diritto rimanere Ct malgrado l’eliminazione dai Mondiali perché, per me, quella dell’Europeo 2021 è stata una vittoria fantastica, mentre quell’eliminazione è l’esito di una concomitanza di sfighe incredibili. Detto questo, dopo aver subito quel fallimento, non puoi trovare penalizzante una clausola che cessa il contratto se non riesci nuovamente a qualificarti per un grande evento. Sono convinto che in quel caso sarebbe stato lui per primo a dimettersi».
Il presidente della Figc Gabriele Gravina ha sbagliato a inserire Barzagli e Buffon e a ventilare l’innesto di Bonucci nello staff di Mancini?
«Trovo che Gravina abbia agito con leggerezza nella ristrutturazione dello staff. So che Mancini è abituato a lavorare con i suoi fedelissimi. Già la perdita di Gianluca Vialli, da sempre una sponda per lui, lo aveva molto provato. Quando è stato comunicato il nuovo staff, mi è sembrato strano che avesse accettato l’allontanamento di Lombardo, Evani e Nuciari. Non a caso qualcuno ha notato la sua assenza al momento della comunicazione del nuovo organico».
Che cosa pensa dell’operato di Gravina in tutto il suo mandato? C’è chi ne chiede le dimissioni.
«Trovo che abbia lavorato molto bene durante la pandemia. E che questo sia stato il problema più grosso durante i suoi mandati. Certo, ci sono diverse cose che non vanno, ma ricordo che all’epoca il ministro dello Sport Carmine Spadafora non mi dava affidamento. Perciò, continuo a dar credito a Gravina per l’operato di allora».
Spalletti è l’uomo giusto per la Nazionale?
«Sì, per definizione. Ha gli anni e la credibilità che gli deriva dalla vittoria di uno scudetto meraviglioso. Credo che farà molto bene».
Che cosa pensa del finale di partita tra Bonucci e la Juventus?
«Penso che si rovina una grande storia, la fine di un rapporto così lungo si gestisce e si concorda».
Bonucci non è uno da miti consigli?
«Ha fatto una carriera straordinaria, partecipando alla vittoria di otto scudetti consecutivi. Non si può andare in Paradiso a dispetto dei santi. Del Piero andò a giocare in Australia, Chiellini è andato nell’Mls, Buffon al Psg e poi al Parma».
Stasera lei sarà nello studio di Alessandro Bonan dopo gli anticipi della prima giornata: chi è il suo favorito per lo scudetto?
«Il Napoli. Quando si vince in quel modo il campionato precedente e si perde solo Kim e sì, anche Spalletti, è difficile che le altre azzerino il divario in una sola estate. Mettiamola così: Rudy Garcia è seduto sulla panchina più scomoda perché eredita una gran bella macchina e deve dimostrare di saperla tenere in pista».
Giovedì ci sarà il sorteggio delle coppe europee: che cosa augura alle nostre squadre?
«Si è detto che l’anno scorso sono state fortunate per i sorteggi favorevoli ma, pur riconoscendolo, va aggiunto che hanno fatto un ottimo lavoro. Le tre finali non devono essere considerate una vacanza fra i ricchi, ma un punto di ripartenza per restare nell’élite».
Al timone di Sky Champions Show cambia il pilota.
«Federica Masolin prende il testimone da Anna Billò che a sua volta l’ha ereditato da Ilaria D’Amico, due conduttrici che a loro modo hanno segnato un’epoca. Federica è il volto emergente di Sky e io sono pronto a sostenerla, anche perché è friulana e, da triestino, sarò suo complice».
Gli altri componenti sono tutti confermati, squadra che vince…
«Ci saranno Fabio Capello e Billy Costacurta e Cambiasso si alternerà con Di Canio e Del Piero. Sono orgoglioso di essere l’unico giornalista seduto a quel tavolo».
Il miglior giocatore del nostro campionato?
«Osimhen».
E il miglior italiano?
«Barella, per quello che ha fatto finora, e Chiesa, per quello che deve tornare a fare».
La Verità, 19 agosto 2023