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«Io di nuovo in Rai? Nulla di vero, solite chiacchiere»

La più guardata dagli italiani e la più invidiata dalle italiane. Per la dolcezza, l’energia e la carica di sensualità che sprigiona. Il grande pubblico se n’è accorto all’ultimo Festival di Sanremo, quando è scesa dalla scalinata dell’Ariston cantando e ballando La notte vola. Poi l’abbiamo intravista ai funerali di Maurizio Costanzo e ora la seguiamo come una dei prof di Amici di Maria De Filippi. Lorella Cuccarini ha 57 anni, quattro figli e una serenità non comune.

Questo è il suo terzo anno come insegnate, ora di canto oltre che di ballo, del talent show di Canale 5: che aspettative ha?

«Non ho aspettative personali, la nostra missione è accompagnare i ragazzi a fare le scelte giuste e difenderli quando serve. Anche se lanciamo i guanti di sfida agli altri prof, noi insegnanti restiamo dietro le quinte».

Che cosa la guida nel rapporto con i ragazzi?

«Metto a loro disposizione il bagaglio di esperienza maturato in 37 anni di professione. E anche il buon senso acquisito come madre di giovani che hanno più o meno l’età dei concorrenti».

Che cosa serve per coltivare il talento?

«Impegno, lavoro, sudore. Essere spavaldi sul palco e umili fuori».

Si dice che i talent show siano una scorciatoia che evita la gavetta: cosa ne pensa confrontandoli con la sua formazione?

«Il momento storico in cui sono uscita io era molto diverso, i talent show non esistevano. C’erano i talent scout che andavano a caccia di giovani. Io ho avuto un percorso ancora diverso perché, grazie a Pippo Baudo, ho potuto approdare a Fantastico, facendo un salto nel buio. Da un giorno all’altro sono stata catapultata nel varietà più importante con l’esperienza di una ballerina di fila. Se guardiamo ai talent, i ragazzi possiedono già un loro bagaglio e poi hanno parecchi mesi per crescere ed emergere».

Quindi, non concorda con quella critica?

«No. I talent sono una strada che offre delle opportunità ai giovani che altrimenti farebbero molta fatica. La Rete è un’altra possibilità».

Nel mondo dello spettacolo il merito è rispettato?

«Domanda da un miliardo di dollari».

Rispondiamo con 100 euro.

«Nel nostro caso sì. Il percorso a imbuto di Amici impone i concorrenti che valgono. A volte alcuni ragazzi capiscono che non è ancora arrivato il momento giusto. Perciò, devono aspettare per emergere dopo».

In generale nel mondo dello spettacolo la meritocrazia vale o no?

«Bisogna capire i contesti. A volte vediamo delle meteore che conquistano velocemente la popolarità in tanti modi. Io sono una boomer e mi sfuggono alcuni meccanismi della contemporaneità. Tra popolarità e successo vero c’è una bella differenza».

Ripartiamo dalla sua apparizione sanremese: è la disciplina che la fa essere ancora sensuale?

«La disciplina e anche la serenità. Cioè, essere arrivata a un punto della vita in cui prendo con leggerezza quello che succede».

Ha superato anche momenti in cui questa leggerezza è stata messa in discussione?

«Soprattutto quando ero più giovane e avevo una certa ansia da prestazione. Pensi di non fare mai abbastanza… Poi, finalmente, arriva il momento in cui non devi dimostrare niente e puoi vivere la tua stagione con leggerezza».

Qualche anno fa ha subito anche un intervento alla tiroide.

«Quello è stato un periodo impegnativo. A quel problema fisico si era aggiunta la perdita di mia madre, la persona più importante nella mia vita. È stata anche una fase d’impasse professionale. Quando si mette tutto in discussione, di leggerezza ce n’è poca».

L’altro grande segreto è l’unità della sua famiglia?

«Credo sia l’elemento fondamentale».

È raro nel vostro ambiente un rapporto duraturo come quello che ha con suo marito, il produttore Silvio Testi.

«Il giorno del matrimonio eravamo in tre. Siamo entrambi cattolici e praticanti e quando abbiamo scelto di sposarci non eravamo soli. Credo che questo faccia un po’ la differenza nel momento in cui abbiamo scelto di camminare insieme. Le promesse che reciti davanti al sacerdote hanno un loro peso specifico».

Ora non siete più in tre.

«In sette, con i nostri figli».

Come riesce a gestire il ruolo di madre di quattro figli e una professione tanto impegnativa?

«Come tutte le donne del mondo, non mi pare di essere dotata di superpoteri. Oppure li hanno tutte le madri che lavorano».

Nel vostro ambiente, la durata del rapporto coniugale non è così scontato.

«Non solo nel nostro, purtroppo. Gestire la famiglia e lavorare, anche questo costa disciplina. È faticoso, ma è bellissimo».

Il fatto che non vi siate vaccinati è stata una scelta?

«Ci siamo ammalati tutti con la prima ondata e perciò siamo sufficientemente immunizzati. Mio marito non si è ammalato e si è vaccinato».

L’abbiamo vista molto partecipe ai funerali di Maurizio Costanzo: l’ha colpita qualcosa di quel momento?

«Ho pensato al dolore di Maria. Ero abituata ad apprezzare la sua vitalità nel lavoro e la sua capacità di esserci per tutti. Vederla così è stato un dolore. Mi ha fatto piacere constatare la vicinanza a lei di tantissime persone, non solo dello spettacolo, anche meno note, ma sempre partecipi».

Che cosa pensa dei selfie alla camera ardente ai quali si è sottoposta? Lei come avrebbe reagito?

«Solitamente faccio le foto con chiunque, in qualsiasi situazione personale. Ma in chiesa non mi è mai capitato e mi è sembrato di cattivo gusto. Non so come avrei reagito, spero di non trovarmici mai».

Quell’episodio indica la superficialità cui ci sta portando la società dello spettacolo?

«Secondo me la causa non è il mondo dello spettacolo, ma l’avvento dei social. Con un telefonino si può immortalare qualsiasi momento e questo ci porta a fare cose insensate».

I social sono parte dello società dello spettacolo.

«Si entra in un circuito, si cercano like facili e si fanno anche azioni inaccettabili sul piano umano. Non tutti abbiamo la stessa sensibilità ed educazione».

Ha notato qualche cambiamento in Maria De Filippi in queste settimane?

«L’ho ritrovata con la sua capacità di esserci. Ha detto subito: “Cominciamo a lavorare, perché è così che mi hanno insegnato”. Una frase che esprime il suo modo di elaborare il momento. Ho condiviso la volontà di ricominciare dalla nostra passione, dando il meglio di noi».

Qualche settimana fa si era parlato di un suo possibile ritorno in Rai: c’era o c’è qualcosa di vero?

«Non c’è nulla, tutti gli anni vengo citata con questo tira e molla».

Che differenza c’è tra lavorare a Mediaset e alla Rai?

«Bisogna tener conto dei momenti storici. La Rai di Fantastico è stata la mia prima casa, furono anni esaltanti e bellissimi. L’ultimissima esperienza è stata più pesante».

Perché la partecipazione a La vita in diretta su Rai 1 si è conclusa in modo un po’ brusco?

«Quello che dovevo dire l’ho detto. È stato un anno difficile, anche per la situazione che ci siamo trovati a raccontare (il periodo dei lockdown ndr). Non ho nulla da aggiungere».

Invece a Mediaset tutto liscio?

«Per me è stata una rinascita perché sono tornata a fare ciò che mi piace di più e che avevo scelto all’inizio della carriera».

Anche con Heather Parisi il rapporto è stato burrascoso?

«Ma no… Vorrei evitare di fare quello che fa lei con me, non ho bisogno di parlare di Heather per esserci. La apprezzo artisticamente, ma dopo Nemicamatissima non ci siamo più sentite. Abbiamo visioni diverse della professione».

L’ha detto anche lei intervistata a Belve: «Lorella è un po’ la prima della classe, mentre io preferisco improvvisare».

«Prima della classe non lo sono mai stata, ma m’impegno e lavoro molto. Così mi è stato insegnato e così sono riuscita a crescere».

Perché due anni fa ha lasciato l’agenzia di Lucio Presta?

«Lucio è una persona che stimo da prima che iniziassi a lavorare con lui. È stato mio agente per 12 o 13 anni, ma a un certo punto ho sentito il bisogno di camminare da sola».

Gli agenti hanno troppo potere in tv?

«Ne hanno molto, non so se sia giusto dire troppo. In certi programmi si nota un accentramento di personaggi della stessa scuderia. E quindi vien da chiedersi se vengano scelti per merito o per appartenenza. È difficile che tutte le idee confluiscano sempre nella stessa direzione. Se c’è una concentrazione dei soliti vuol dire che anche gli autori e i produttori sono d’accordo. Non credo che, pur con il loro strapotere, un agente possa decidere al posto di un’azienda».

Abbiamo citato La vita in diretta e Heather Parisi: non è che lei sia un po’ fumantina?

(Ride) «Penso di essere una persona serena e accomodante, lo dico sinceramente. Però sono anche un leoncino… Se vedo cose che non mi piacciono, parlo; difficilmente taccio e subisco. Di solito succede con le persone più potenti».

Ha perso qualche opportunità perché non si è morsa la lingua davanti a una persona potente?

«Non ricordo di aver perso delle opportunità. Però non mi piace che mi mettano i piedi in testa. Se capita, reagisco e in questo mondo finisce tutto in pasto alla stampa. Per questo passo per essere una fumantina, ma non lo sono».

È contenta dello spazio che hanno conquistato le donne ai vertici della politica?

«Non sono per le quote rosa, ma sono felice che ci siano sempre più figure femminili emergenti, come la premier. Mi piace che le donne guadagnino credibilità e conquistino ruoli apicali per capacità e merito, non per concessione. In politica, nelle aziende e nello spettacolo».

Tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein con chi andrebbe a cena?

«Con Giorgia Meloni, anche perché tifiamo per la stessa squadra».

Per quest’unico motivo?

«A pelle, mi sta molto simpatica. Mi piacerebbe conoscerla di più».

Ci può anticipare qualcosa del suo prossimo musical nei teatri?

«Se tutto va bene, in autunno proseguirò la tournée con lo show di quest’anno. Mentre per i miei 60 anni ho in mente un musical, non solo autobiografico. Ma sarà fra tre anni, il tempo per farlo bene non manca».

 

 

La Verità, 25 marzo 2023

Cercando l’antivirus tra video, ricette e buonismi

Misantropie. Un titolo da non prendere troppo sul serio. Una provocazione. Poco più che un gioco, come suggerisce il plurale. Un’idea per rappresentare dei moti di reazione, degli impeti. La misantropia è un sentimento di odio del genere umano. O di disprezzo e sfiducia, secondo diverse gradazioni. Così, la definiscono dizionari ed enciclopedie. Questo titolo mi è stato rimproverato da qualcuno che ha letto i post del diario nel sito dell’editore che ora, benevolmente, lo pubblica in edizione cartacea, accompagnato dalle immagini del portale pixabay.com, scelte e abbinate ai testi da Paolo Spinello. È vero, la misantropia è un sentimento ostile e negativo, ma lungi da me nobilitarlo oltre la formula della provocazione. Non a caso, queste note sono popolate di amici.

L’idea non originalissima di tenere un diario della pandemia mi è venuta, come a tanti, per l’eccezionalità della situazione nella quale ci siamo trovati. Una circostanza inedita, almeno per chi ha meno di ottant’anni. I più vecchi, infatti, qualche confronto hanno potuto farlo – e si è abbondantemente fatto – con la guerra e, soprattutto, il dopoguerra. Per trovare un’altra vera pandemia, invece, bisogna andare all’influenza spagnola alla fine della Prima guerra mondiale. Servono i libri di storia. Dunque, l’epidemia da Covid-19 è qualcosa di inedito per noi. L’invito alla riflessione è scaturito dalla novità della circostanza che ci ha sfidato. Ha sfidato il nostro cuore e la nostra ragione. Ha interrogato il nostro essere a un livello radicale. Ne è venuta, dicevo, l’idea del diario che, come si è visto, ha stimolato scrittori, letterati, filosofi, autori di cinema e serie tv, giornalisti…

Perché Misantropie? Il titolo nasconde la seconda motivazione. Se questa situazione è così inedita e pervadente, se coinvolge e interroga il nostro essere imponendoci un cambiamento di abitudini e comportamenti, se ci troviamo inusitatamente reclusi per tante ore al giorno davanti a schermi di varie dimensioni o sul divano a leggere; insomma, se ci troviamo in una condizione che richiama certe distopie cinematografiche o letterarie, possibile – mi son chiesto – che siamo già pieni di risposte, di ricette e decaloghi? Possibile che dopo pochi giorni siamo già pronti a dire quello che abbiamo imparato? I moti di reazione sono sorti leggendo queste lezioni, questi consigli. Sentendo il paternalismo diffuso. La mia reazione ha trovato ulteriore fondamento in un pensiero di Blaise Pascal: Tutti i mali degli uomini derivano da una sola causa: dal non saper restarsene tranquilli in una camera (Blaise Pascal, Pensieri, Einaudi, Tornio, 1962; alcune edizioni dei Pensieri riportano Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di stare da solo in una stanza). Noi siamo così. Insofferenti a questa stasi, ribadita dal filosofo e matematico francese con le parole stare, stanza. Fatichiamo a so-stare. A stare di fronte a qualcosa di imprevisto. E anche a stare con noi stessi. Cerchiamo subito soluzioni e distrazioni. Da qui, mi pare, è venuto quel diluvio di articoli, interventi, commenti, esibizioni e anche diari, di certi guru da quarantena. Uno tsunami collaterale, con la sua dose di nocività. Mi è parso che questa ondata di risposte contenesse poca sorpresa e poco spiazzamento, molta pedagogia e molto buonismo. Come se chi distribuiva queste risposte ci fosse già passato, fosse esperto. Mai come in questo periodo, «esperto» mi è parsa parola abusata.

Personalmente, ho pensato che confrontandomi con questa situazione, provando a stare senza far nulla in una stanza, avrei potuto trarne qualcosa di buono. In questo stare avrei potuto cercare l’antivirus. Un antivirus diverso dal vaccino che speriamo troverà presto la scienza.

Da subito, però, ho avvertito un pericolo. Suggerito da una frase che qualcuno ha scritto sui muri di alcune città sudamericane: La romantización de la cuarantena es un privilegio de clase. Anche il mio diario poteva e può aver corso questo rischio. La quarantena trasformata in un esercizio romantico, in un incubatore di narcisismo, favorito dal privilegio di essere in sal, acquistabile qui

ute e di vivere in una casa dignitosa. Un rischio concreto. Che però ho accettato di correre, consapevole che l’occasione determinata dal coronavirus poteva essere irripetibile.

Infine, l’ultimo stimolo a rompere gli indugi è stato il riconoscere che la pandemia ha in sé una critica della società contemporanea. È una contestazione implicita ma forte dell’Occidente. Una civiltà con tanti lati positivi ed elementi di benessere, soprattutto dalla metà del secolo scorso in poi. Una civiltà che dobbiamo e vogliamo ricostruire migliore di prima. Ma nella quale, citando Rainer Maria RilkeTutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile (Seconda elegia duinese, Einaudi, Torino, 1978).

La pandemia da Covid-19 poteva, e può essere, un’occasione per rompere questa cappa.

 

Questa è la premessa di Misantropie. Cercando l’antivirus Edizione illustrata Apogeo Editore

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Veronesi, Haber… Eravamo quattro amici a Cinecittà

Il cinema va in tv. Meglio, il backstage del cinema. Il dietrolequinte, scritto in una parola, perché, con Maledetti amici miei, diventa un genere, un’affabulazione, un disvelamento (Rai2, giovedì, ore 21,30, share del 4.37%). Niente di epocale, beninteso. Aneddoti, raccontini, piccoli retroscena, qualcuno più divertente di altri. La compagnia è ben assortita: Giovanni Veronesi, regista e burattinaio del gruppo, Sergio Rubini, l’Al Pacino italiano anche se, ahinoi, più corretto, Rocco Papaleo, attore e musicante autoironico assai, Alessandro Haber, capro espiatorio e vittima designata. Ospiti fissi, Max Tortora e Margherita Buy, mentre Paolo Conte regala a tutte le puntate una sigla diversa tratta dal suo repertorio. L’alchimia è notevole, ognuno dei quattro ha una tempra e una tempera, perché si conoscono e si frequentano da decenni e il segreto è proprio questo: mettono in scena loro stessi, singolarmente e insieme, interagendo, come si dice. Prendendosi per i fondelli, stuzzicandosi, alzandosi la palla per la gag vincente.

In uno studio sui tetti di un’ipotetica periferia postindustriale i tre attori e il regista improvvisano episodi che animano la vita quotidiana dei set, attraversati da manie, fobie, paturnie personali. La premessa che fa da cornice all’operazione che è una grande citazione di Amici miei (e di Quelli della notte) con burle e goliardate annesse, passa dalle parole di Rubini: «Noi siamo l’avamposto della tv generalista, siamo gli ultimi televisivi, quelli che la tv non l’hanno mai fatta». Ma ora, con loro, Cinecittà arriva in tv. Attraverso questa scena tutta autoriferita: autobiografica, autoironica, autoreferenziale. Con un filo di malinconia-nostalgia di sessantenni alla ricerca del tempo perduto, narratori di litigi, di interpretazioni rocambolesche e di autisti stralunati. Una psicopatologia del cinema italiano svelata in prima persona. Nella quale la Buy, «maestra d’ansia» («mettere ansia ai figli fin da piccoli va bene perché così non vanno da nessuna parte e restano con voi»), potrebbe vincere l’oscar come protagonista femminile, e Carlo Verdone, con le sue turbe ipocondriache, quello da protagonista maschile. Non a caso si scopre che il loro romanticissimo bacio in Maledetto il giorno che ti ho incontrato è, in realtà, frutto di una prova di forza dello stesso Verdone al culmine di 37 esasperanti ciak. Godibile, spassoso, burlesco, ma perfetto per la seconda serata. Anche perché così si potrebbe eliminare il gioco del turpiloquio libero una volta scaduta l’ora della fascia protetta: una banalità.

 

La Verità, 5 ottobre 2019

I messaggi trasversali di Fazio e De Filippi

Qualche osservazione sull’ospitata di Maria De Filippi chez Fabio Fazio a Che tempo che fa (domenica sera Rai 1, share del 16.7%, 4.3 milioni di spettatori). La sera prima, sabato 7 aprile, su Canale 5 la puntata d’esordio di un’edizione molto rinnovata di Amici, per la prima volta in diretta, è stata superata da Ballando con le stelle di Rai 1.

Digressione. La sensazione è che il programma di Milly Carlucci sia più mirato sul target di riferimento del sabato. L’altra sera hanno ballato insieme Al Bano e Romina, l’ex miss sfregiata Gessica Notaro ha colto l’occasione per spiegare il suo temperamento indomito, i ballerini gay hanno convinto persino Ivan Zazzaroni, Selvaggia Lucarelli non si è risparmiata come al solito.

Gioco di squadra. Com’è noto Rai 1 è la stessa rete dove va in onda il programma di Fabio Fazio e dove Filippa Lagerback ha presentato Maria De Filippi come «la regina del sabato sera delle reti Mediaset». L’invito a Maria è stato deciso da tempo e siccome si tratta di persona che raramente si lascia intervistare, ancor meno in televisione, era giusto cogliere l’opportunità. Ancor più raro è, però, che i suoi programmi siano superati dalla concorrenza. Un accenno di gioco di squadra in favore della rete nella quale si lavora non avrebbe guastato. Sarebbe risultato poco elegante porle una domanda sulla gara con Milly Carlucci? Anche i temi più spinosi possono essere affrontati con garbo.

Tv d’autore. Con filmati e immagini di repertorio, l’intervista è risultata una beatificazione. Fazio ha persino citato come esempio di tv autoriale il reality Temptation island.

Postura delle colleghe. Per contro, De Filippi si è tolta qualche sassolino nei confronti della sua azienda. D’estate, ha ammesso, guarda le tv straniere perché la programmazione Mediaset è poco interessante. Poi ha parlato delle posture di alcune sue colleghe che si siedono in punta di poltrona, con le gambe spinte in avanti, la schiena inarcata e il collo proteso verso l’alto. Non era difficile riconoscere la posizione di Barbara D’Urso durante le sue interviste a Domenica Live.

Rivelazioni. In mezzo ai tanti messaggi trasversali, da una parte e dall’altra, il cui senso è siamo professionisti e i nostri editori dovrebbero stare più attenti, c’è stata anche qualche rivelazione. Dopo la bomba esplosa in via Fauro il 14 maggio 1993 mentre passava l’auto con a bordo Maurizio Costanzo e la stessa De Filippi, Maria non sale più in macchina con lui. L’ha promesso a suo padre.

La Verità, 10 aprile 2018

Baglioni, il ’68 e un pezzo di musica rimasta fuori

Se Sanremo è, o dovrebbe essere, il Festival della canzone italiana, allora ha ragione da vendere Maria De Filippi. Nel giorno della presentazione ufficiale del cast della 68ª edizione, la conduttrice di Amici e C’è posta per te, nonché dell’edizione numero 67 della kermesse al fianco di Carlo Conti, ha acceso una miccia che è filata sotto il palco del Casinò rivierasco: «Io penso che in generale Sanremo sbagli sempre quando non prende ragazzi dei talent, come Amici o X Factor, perché sono una realtà», ha detto la De Filippi intervistata dal settimanale Chi, «a meno che quelli che si sono presentati non fossero all’altezza».

Maria De Filippi, con Carlo Conti ha condotto l'edizione 2017 del Festival di Sanremo

Maria De Filippi, con Carlo Conti ha condotto l’edizione 2017 del Festival di Sanremo

Parole dirette, che meritano considerazione. Negli ultimi anni Sanremo ha sempre avuto concorrenti usciti dai talent show. Nel 2009, 2010, 2012 e 2013 qualcuno di loro l’ha anche vinto il Festival (in ordine cronologico: Marco Carta, Valerio Scanu, Emma Marrone, Marco Mengoni). Poi ci sono state le partecipazioni dei Dear Jack, Chiara Galiazzo, Lorenzo Fragola, l’anno scorso di Elodie e Michele Bravi; nel 2016 Francesca Michielin si è classificata seconda. Insomma, una presenza consistente e apprezzata sia dal pubblico televisivo che dalla critica. Quest’anno zero: una scelta, probabilmente, al netto della qualità scadente dei candidati che si sono presentati. Oppure, considerando il fatto che dei tre conduttori (Claudio Baglioni, Pierfrancesco Favino e Michelle Hunziker) nessuno è un volto Rai, si è temuto che altri innesti provenienti da programmi Mediaset e Sky diluissero ulteriormente il marchio di fabbrica della manifestazione. Chissà.

Tuttavia, la contemporaneità tra l’anticipazione di Chi e la presentazione della kermesse di Baglioni che, per lanciare il «Festival dell’immaginazione», ha rispolverato persino il Sessantotto, ha creato un corto circuito negativo. Se si vuole parlare di Festival democratico, ecumenico, buono e buonista, tanto da aver eliminato le eliminazioni, converrebbe cominciare a farlo almeno rappresentativo. Cioè, capace di mettere in vetrina tutte le realtà della musica. Escludere i cantanti dei talent vuol dire tagliar fuori un pezzo non trascurabile della scena musicale e creativa, rischiando di trasmettere un’idea lontana dallo spirito del tempo della canzone italiana. Peccato che ai vari Pippo Baudo, Fabio Fazio e Carlo Conti, così prodighi negli spot di consigli al direttore artistico su scalette e camerini, sia sfuggito quello più importante sul cast musicale.

La Verità, 10 gennaio 2017 

 

Kevin Spacey, il colpo di Maria che spiazza Sky

Un lungo filmato che riassume la sua carriera di grande attore cinematografico, i due Oscar per I soliti sospetti e American Beauty. Una celebrazione in grande stile. Abito elegante-sportivo, sneakers ai piedi, Kevin Spacey ha partecipato come quarto giudice alla puntata d’esordio serale di Amici (in onda sabato prossimo). Niente male come partenza per il talent di Maria De Filippi. È vero, Maria ha abituato il suo pubblico ai grandi divi di Hollywood. Da Al Pacino a Robert De Niro, da Charlize Teron a John Travolta, da Julia Roberts a Dustin Hoffman fino a Matthew McCounaghey tanto per citarne alcuni, tra C’è posta e Amici son tutti passati da Canale 5. Stavolta però c’è qualcosa di più. Spacey è attore riservato, restio a ospitate e passerelle. Ma soprattutto è il magnetico protagonista di House of Cards, la serie d culto del momento giunta alla quarta stagione, da noi in esclusivissima onda su Sky Atlantic (anche Netflix che l’ha prodotta ha dovuto farsene una ragione). Dunque, nell’immaginario del telespettatore, Spacey è una star in quota Sky.

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Per il lancio delle stagioni, lui che fino a poco tempo fa viveva a Londra, dov’è stato a lungo direttore artistico dello storico Old Vic Teather (ora è tornato negli States dove fa il presidente e produttore della Relativity Media), non è mai venuto in Italia. Quest’anno ha eccezionalmente concesso tre interviste a testate italiane: Corriere della Sera, StampaStudio. Non che per il talent di Maria De Filippi sia sceso appositamente a Roma. Era già qui in vacanza privata, niente cachet milionario. Però, per tutti questi motivi, la sua presenza su una rete Mediaset ha del clamoroso, più che per altre star internazionali. Grazie alle quali De Filippi vanta un ottimo rapporto con le agenzie che si occupano di loro. E quando qualcuno di loro passa dall’Italia, è la prima a saperlo.

Durante la registrazione della puntata, sabato scorso Spacey è stato cordiale ma professionale, friendly con gli altri giudici – Sabrina Ferilli, Loredana Bertè, Anna Oxa e Morgan – quel poco che il meccanismo della traduzione curata da Olga Fernando gli ha permesso. Anche un filo sovrappeso, come appare negli episodi attuali di HoC, in una forma non proprio consona al diabolico presidente americano Frank Underwood. Che, infatti, sta facendosi rubare la scena dalla first lady, più che mai determinata a conquistare la vicepresidenza, in un percorso che sembra ricalcare quello di Hillary Clinton. Ad Amici Spacey ha giudicato le esibizioni dei ragazzi, squadra bianca e squadra blu, ha distribuito qualche consiglio, ha scherzato con Maria. Ma degli Intrighi del potere della Casa Bianca non s’è fatto cenno. E a quanto pare nemmeno nell’intervista esclusiva che, per completare il giro delle grandi testate italiane, nell’occasione ha concesso a Repubblica. Accordi blindati: mai fare pubblicità a Sky, nemico dichiarato.

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Il quale, per rilanciare, ora potrebbe trovare il modo di esibire la fascinosissima Robin Wright, la machiavellica Claire Underwood…