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La sala stampa non ci sta e tira Ama dalla solita parte

Niente da fare. Non si rassegnano. Un Festival di Sanremo non militante non può esistere. Meno che mai se non orientato dalla solita parte. Giornalisti, cronisti, critici e guastatori non si danno pace. Com’è possibile? Neanche uno straccio di monologo, un predicozzo, qualcosa che arruffi le platee e il benpensantismo gauchiste. Nemmeno un collegamento con, chessò, un Roberto Saviano. O un manifesto Lgbtq+. O una bella intervista a Nichi Vendola. Niente? Ma che Festival è? Eppure Amadeus l’aveva anticipato chiaro e tondo: è meglio se la politica sta fuori dall’Ariston. Detto per inciso, peccato averci pensato solo al quinto anno (magari per favorire la permanenza di Roberto Sergio, sagace spalla di Fiorello, sulla poltrona di amministratore delegato Rai). Comunque sia, il messaggio non è passato e la sala stampa ribolle.

Ieri, il capolavoro, dal suo punto di vista, l’ha compiuto Enrico Lucci, guastatore di Striscia la notizia. Interrompendo la serie di domande rivolte a Marco Mengoni debuttante nel ruolo di co-conduttore, ha chiesto al megadirettore artistico con la sua aria faceta da Tenente Colombo: «Teniamo la politica fuori dal Festival, ok. Ma ti puoi definire antifascista?». «Certo», ha abbozzato Amadeus, cosa poteva rispondere? «Anch’io», si è subito accodato Mengoni. «E allora fateci un accenno di Bella Ciao», ha incalzato Enrichetto. Attimo d’imbarazzo. «Qualche anno fa ho tentato di invitare due interpreti de La casa di carta», ha provato a deviare il discorso il conduttore. Ma Lucci non si è accontentato. «Dài, accennatela insieme». Così, Amadeus e Mengoni hanno intonato: «Una mattina mi son svegliato…», mentre buona parte della sala stampa ha subito accompagnato con battito di mani a tempo. «Per la gioia della Meloni», ha commentato Lucci. Il quale, va detto, innesca queste micce per goliardia oltre che per militanza disincantata.

Da due giorni si parla della presenza di una rappresentanza del movimento dei trattori a una serata della kermesse. Verranno? E quando? In un primo momento, la Rai ha smentito trattative ufficiali con esponenti della protesta. «Porte aperte», ha ribadito Amadeus. L’ipotesi più probabile è che il passaggio avvenga nella serata di venerdì, quella dei duetti. «Ma in ogni caso non sarà un comizio», ha precisato. Del resto, «quest’anno non sta succedendo niente, l’ospite di sabato potrebbe essere il Codacons», aveva gigioneggiato Fiorello, abituato a dire la verità anche quando cazzeggia. Insomma, per rompere la calma piatta, il Festival si attacca al trattore. «È un problema serio e importante che riguarda non solo l’Italia», ha chiosato Amadeus. «Ho detto di sì e rimango di questa idea. La fase successiva è che qualcuno contatti la Rai ed esprima il desiderio di essere presente».

Però, dài. I trattori sono roba troppo popolare e così poco glamour. Perciò, non ci si rassegna. E si prova in tutti i modi a colorare l’evento alla solita maniera. «Visto che ci è piaciuta Bella ciao, restiamo in quel mood», è intervenuto un collega di Fanpage, «se venisse qualche ragazzo di Ultima generazione accetteresti anche loro?». Amadeus ha dondolato il nasone: «Lo spazio a Sanremo non è illimitato. Ci sono tanti argomenti che sarebbero da trattare. Mercoledì avremo Giovanni Allevi con la sua testimonianza sulla malattia, giovedì Stefano Massini e Paolo Jannacci ci parleranno delle morti sul lavoro. L’Ariston non può essere un palco dove portare tante manifestazioni di protesta. I trattori sono un fenomeno europeo. Non ne faccio una questione politica, ma di persone. La politica poi sposa delle cause. Io ho fatto l’agrario, mi hanno detto di andare a zappare, lo so fare e so anche guidare il trattore. E so che si tratta di persone in difficoltà. Non sono contro qualcuno».

Insomma, respinti con perdite i tifosi dell’Ariston arcobaleno. Il fatto che quest’anno in gara ci sono trenta cantanti non andrebbe sottovalutato. Bisogna andare di corsa e già stanotte abbiamo avuto un assaggio dell’orario in cui cala il sipario. Non c’è spazio per prediche, invettive, moralismi e performance che non siano quelle canore, dei grandi ospiti o, al massimo, per i promo delle fiction della casa madre. Nemmeno, in assenza di Lucio Presta, l’agente da cui Amadeus ha divorziato che nel 2023 fu il regista della partecipazione di Sergio Mattarella e Roberto Benigni alla serata per i 75 anni della Costituzione, si prevedono altre ospitate politicamente orientate.

I nostalgici dei monologhi dovrebbero cominciare a rassegnarsi. È vero: vasto programma. «Senti, Marco, visto che nei tuoi concerti alle canzoni alterni spesso dei monologhi, non è che anche qui…», gli ha chiesto il giornalista musicale del Corriere della Sera. «Amadeus ha già detto che i monologhi non ci saranno…», ha risposto, paziente, Mengoni. «Ci sarà un po’ di tutto… seguiremo il flow della serata». Ecco.

 

La Verità, 7 febbraio 2024

Le visite guidate di Morgan nelle canzoni, opere d’arte

Ormai Marco Castoldi, in arte Morgan, è diventato un piccolo caso dell’altrettanto piccolo circuito dello spettacolo e della comunicazione nostrani. Come Jessica Rabbit, egli lamenta di esser vittima del disegno dei media: non ha certo chiesto di fare il Festival di Sanremo e però, se in futuro glielo proponessero accetterebbe, «perché non ho assolutamente rivali». E potrebbe pure essere vero quanto a cultura musicale e capacità affabulatorie. E molti degli addetti ai lavori ne sono pure convinti. Quello che non gli si perdona è il fatto che lui lo dica, senza troppe precauzioni. La schiettezza non è sempre ben accetta. Nel piccolo circuito dello spettacolo e della comunicazione nostrani non si metabolizza l’assenza di diplomazia. Così, a seguito di un giudizio critico sulla canzone sanremese di Marco Mengoni e di una velata accusa di presunzione («se la tira») a Madame, i due hanno declinato l’invito a StraMorgan, il programma in onda da lunedì per quattro seconde serate su Rai 2. Fin qui i «no» resi pubblici, per dire della farraginosità dei rapporti tra l’ex leader dei Bluvertigo e i suoi colleghi. Se poi ci si mette che non fa mistero di scambiare whatsapp con la premier Giorgia Meloni, ecco che tutto concorre a catalogarlo come figura divisiva. Nulla di grave, ma è giusto conoscerne i motivi. Da sempre Morgan non le manda a dire e così anche la sua qualità artistica paga un prezzo rilevante a come viene raccontata.

StraMorgan è un breve corso di lezioni su quattro grandi autori e interpreti della canzone italiana (Domenico Modugno, Umberto Bindi, Franco Battiato e Lucio Battisti) condotta in coppia con Pino Strabioli (share del 3,4% per 344.000 telespettatori). Un prodotto di nicchia, per palati raffinati. Un gioiellino, un prezioso per collezionisti, confezionato con l’orchestra dei talenti dei conservatori e la sua band. Questo Morgan sbiancato e bistrato come una sorta di menestrello, quasi un Pierrot fra teatro e musica, ci accompagna nelle visite guidate dentro le canzoni, le suggestioni e gli incontri che le animano. Perché la canzone non è appena un assemblaggio di testi e musica, un algoritmo adattabile ai diversi imprinting, un prodotto generazionale da dividere in generi. È molto di più. Una magia, uno svelamento, un sogno, un tizzone di poesia. E anche se Un uomo in frac e Meraviglioso le abbiamo sentite e scandagliate mille volte, Morgan ce le presenta come opere d’arte collegate tra loro, in un rimando tra nichilismo e stupore, tra disperazione e gratitudine. Così che possono essere ancora attuali, scavalcare decenni e continenti. E Modugno può incontrare Elvis Presley.

 

La Verità, 12 aprile 2023

«Con la radiovisione sfidiamo Spotify»

«Il potere della nostra radiovisione. Il potere di essere umani». Le campagne di Rtl 102,5 hanno sempre qualcosa di spiazzante nel loro essere contemporaneamente semplici e originali. Avete presente «Very normal people»? Originalmente semplice. E con la forza di stare dalla parte della gente comune, di rappresentarla. Anzi, di esserla. Ne parliamo con Marta Suraci, responsabile marketing e comunicazione di Rtl 102,5, figlia di Lorenzo Suraci, gran patron di tutta la galassia che comprende Radiofreccia e Radio Zeta, rispettivamente l’emittente rockettara e quella generazionale del gruppo.

Ricominciamo dall’inizio: cos’è la radiovisione? A noi boomer sembra un ossimoro…

È un neologismo utile a identificare un format con regole precise e depositate.

Quali?

La principale è la contemporaneità. A comandare sempre è la radio, che viene diffusa su altri mezzi. La radio batte i tempi come il cuore li dà al resto dell’organismo. Gli schermi della tv, del tablet e dello smartphone sono i supporti video che recepiscono i contenuti della radio. Così la scaletta di Rtl si replica su tutte le piattaforme.

In onda in radio e in contemporanea sui vari dispositivi.

Per questo è riconosciuto come new media.

Non si fa prima a chiamarla televisione?

Noi facciamo tutto in diretta, è questa la nostra forza. La tv non può farlo. Per noi la parola viene prima delle immagini.

Perché siete partiti con una nuova campagna?

Perché abbiamo voluto sottolineare la nostra differenza. La radio è diventata radiovisione. La gente si è abituata a seguirci nei vari dispositivi. Vogliamo radicare questo concetto perché, paradossalmente, per noi questi due anni di pandemia sono stati un punto di svolta.

In che senso?

La radio si ascolta in movimento, in auto o sui camion, ma durante il lockdown tutti erano fermi a casa. Tutte le emittenti hanno perso ascoltatori e investimenti. Alla radio è successo quello che è successo al cinema. Invece, con la radiovisione il nostro pubblico a casa ha continuato a seguirci. Non abbiamo perso né ascolti né investimenti. Questo passaggio ha segnato un cambio di identità che ci ha permesso di continuare senza cambiare niente.

Parliamo della campagna.

È un passaggio importante, con tecnologia e linguaggio nuovo. La radiovisione la fanno le persone che tutti i giorni ci mettono la faccia, persone in carne, ossa e voce. Queste persone sono esseri umani.

«Il potere di essere umani» echeggia la canzone di Marco Mengoni?

A qualcuno la fa venire in mente. Ci pensiamo da un anno, non volevamo fare una campagna solo sul brand, bensì specificare cosa ci differenzia dai nostri competitor.

Cioè?

L’arena in cui ci muoviamo è sempre quella delle radio. Ma Deejay o Radio 105, che hanno ognuna il proprio target e la propria nicchia, non sono i nostri veri antagonisti. Noi vogliamo provare ad allargare la visione. La nostra competitor è la streaming intelligence, Spotify…

L’algoritmo, le piattaforme.

Delle quali abbiamo grandissimo rispetto. Dalla riflessione su che cosa ci differenzia da loro abbiamo tratto alcuni slogan.

Per esempio?

Il computer sbaglia, l’uomo impara; il computer ha programmi, l’uomo ha storie; il computer dà risposte, l’uomo fa domande; il computer si resetta, l’uomo si porta dentro tutto; il computer ha un protocollo, l’uomo ha un obiettivo; il computer calcola, l’uomo risolve. Da qui abbiamo concluso che solo l’umanità non va mai persa.

Qualcuno lo mette in dubbio?

Nessuno può davvero farlo. Oltre alla canzone di Marco Mengoni ci ha ispirato Tensione evolutiva di Lorenzo Jovanotti: l’uomo riesce ad affrontare ogni cosa. Si avvale della tecnologia, ma è la persona a comandare tutto. Il clock della radio è standard, ma tutto parte dall’uomo. Se c’è una guerra dobbiamo stare attenti a quello che viene messo in onda, nessuna macchina può sostituirsi a noi. Per questo i protagonisti della campagna sono tutti 60 gli speaker. Non solo i più rappresentativi. Finora protagonista era sempre stato il pubblico.

Come in «Very normal people»?

Tutto parte da lì. Rtl 102,5 è la radio più ascoltata d’Italia, questo oggi non lo dice più nessuno. Però la normalità evolve, non è mai banale. Così, con l’aiuto dei direttori creativi Stefania Siani e Federico Pepe, con cui collaboriamo da 15 anni, abbiamo identificato dieci emozioni, ridere, piangere, unire, raccontare, vivere, scherzare… Poi le abbiamo associate ad altrettante immagini del grande fotografo Tony Thorimbert, scegliendo 60 foto spontanee, non posate, tra migliaia di scatti.

«Il potere di essere umani» contiene una critica alla tecnologia?

Non denigriamo la tecnologia e i social media, i nuovi venuti nella galassia di comunicazione. Purtroppo la campagna è partita in contemporanea con l’esplosione della guerra. Ma proprio per questo forse la possiamo leggere come un invito a riflettere ancora di più. Qualcosa che va a toccare l’intimo delle persone.

Avrà dei momenti topici?

Il 9 giugno, giorno della fine della scuola, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, ci sarà il primo Festival della Generazione Zeta, con artisti come Mamhood, Achille Lauro, Blanco, Sangiovanni e molti altri. Finalmente, i teenagers, che dopo due anni di chiusure quasi non sanno cosa sia un concerto, potranno ritrovarsi ad ascoltare musica e ballare, speriamo senza mascherine. Il 31 agosto, invece, all’Arena di Verona Power hits premierà il tormentone dell’estate. L’anno scorso tra le guest star c’erano Ligabue, Gianna Nannini…

Vi seguono e apprezzano tutti i big: qualcuno preferirebbe più sperimentazione?

Nessuno ci snobba. Al Festival della generazione Zeta ci saranno i big, ma anche interpreti meno popolari come Massimo Pericolo, Ditonellapiaga, Gazelle. In questi due anni gli artisti hanno sofferto, ora avvertono il bisogno di incontrare il pubblico, non a caso una come Elisa è andata a Sanremo. La radio serve a unire le persone, una mission che la streaming intelligence non è in grado di assolvere.

Non temete di perdere le avanguardie creative e le nicchie più stimolanti di pubblico?

Anche normalità è un concetto che non va troppo definito, non è sinonimo di banalità. Noi sfruttiamo in pieno tutti gli strumenti tecnologici a disposizione senza stravolgerci. Consapevoli che è sempre meglio parlare di persona che attraverso uno schermo, è sempre meglio la realtà della virtualità. Perciò, un concerto non è sostituibile da una playlist di Spotify. Poi, certo: tutti la usiamo, ma ognuno è diverso dall’altro perché i gusti sono diversi. Mentre, purtroppo, la streaming intelligence e l’algoritmo tendono a uniformarci.

 

Panorama, 11 maggio 2022