«Con la radiovisione sfidiamo Spotify»

«Il potere della nostra radiovisione. Il potere di essere umani». Le campagne di Rtl 102,5 hanno sempre qualcosa di spiazzante nel loro essere contemporaneamente semplici e originali. Avete presente «Very normal people»? Originalmente semplice. E con la forza di stare dalla parte della gente comune, di rappresentarla. Anzi, di esserla. Ne parliamo con Marta Suraci, responsabile marketing e comunicazione di Rtl 102,5, figlia di Lorenzo Suraci, gran patron di tutta la galassia che comprende Radiofreccia e Radio Zeta, rispettivamente l’emittente rockettara e quella generazionale del gruppo.

Ricominciamo dall’inizio: cos’è la radiovisione? A noi boomer sembra un ossimoro…

È un neologismo utile a identificare un format con regole precise e depositate.

Quali?

La principale è la contemporaneità. A comandare sempre è la radio, che viene diffusa su altri mezzi. La radio batte i tempi come il cuore li dà al resto dell’organismo. Gli schermi della tv, del tablet e dello smartphone sono i supporti video che recepiscono i contenuti della radio. Così la scaletta di Rtl si replica su tutte le piattaforme.

In onda in radio e in contemporanea sui vari dispositivi.

Per questo è riconosciuto come new media.

Non si fa prima a chiamarla televisione?

Noi facciamo tutto in diretta, è questa la nostra forza. La tv non può farlo. Per noi la parola viene prima delle immagini.

Perché siete partiti con una nuova campagna?

Perché abbiamo voluto sottolineare la nostra differenza. La radio è diventata radiovisione. La gente si è abituata a seguirci nei vari dispositivi. Vogliamo radicare questo concetto perché, paradossalmente, per noi questi due anni di pandemia sono stati un punto di svolta.

In che senso?

La radio si ascolta in movimento, in auto o sui camion, ma durante il lockdown tutti erano fermi a casa. Tutte le emittenti hanno perso ascoltatori e investimenti. Alla radio è successo quello che è successo al cinema. Invece, con la radiovisione il nostro pubblico a casa ha continuato a seguirci. Non abbiamo perso né ascolti né investimenti. Questo passaggio ha segnato un cambio di identità che ci ha permesso di continuare senza cambiare niente.

Parliamo della campagna.

È un passaggio importante, con tecnologia e linguaggio nuovo. La radiovisione la fanno le persone che tutti i giorni ci mettono la faccia, persone in carne, ossa e voce. Queste persone sono esseri umani.

«Il potere di essere umani» echeggia la canzone di Marco Mengoni?

A qualcuno la fa venire in mente. Ci pensiamo da un anno, non volevamo fare una campagna solo sul brand, bensì specificare cosa ci differenzia dai nostri competitor.

Cioè?

L’arena in cui ci muoviamo è sempre quella delle radio. Ma Deejay o Radio 105, che hanno ognuna il proprio target e la propria nicchia, non sono i nostri veri antagonisti. Noi vogliamo provare ad allargare la visione. La nostra competitor è la streaming intelligence, Spotify…

L’algoritmo, le piattaforme.

Delle quali abbiamo grandissimo rispetto. Dalla riflessione su che cosa ci differenzia da loro abbiamo tratto alcuni slogan.

Per esempio?

Il computer sbaglia, l’uomo impara; il computer ha programmi, l’uomo ha storie; il computer dà risposte, l’uomo fa domande; il computer si resetta, l’uomo si porta dentro tutto; il computer ha un protocollo, l’uomo ha un obiettivo; il computer calcola, l’uomo risolve. Da qui abbiamo concluso che solo l’umanità non va mai persa.

Qualcuno lo mette in dubbio?

Nessuno può davvero farlo. Oltre alla canzone di Marco Mengoni ci ha ispirato Tensione evolutiva di Lorenzo Jovanotti: l’uomo riesce ad affrontare ogni cosa. Si avvale della tecnologia, ma è la persona a comandare tutto. Il clock della radio è standard, ma tutto parte dall’uomo. Se c’è una guerra dobbiamo stare attenti a quello che viene messo in onda, nessuna macchina può sostituirsi a noi. Per questo i protagonisti della campagna sono tutti 60 gli speaker. Non solo i più rappresentativi. Finora protagonista era sempre stato il pubblico.

Come in «Very normal people»?

Tutto parte da lì. Rtl 102,5 è la radio più ascoltata d’Italia, questo oggi non lo dice più nessuno. Però la normalità evolve, non è mai banale. Così, con l’aiuto dei direttori creativi Stefania Siani e Federico Pepe, con cui collaboriamo da 15 anni, abbiamo identificato dieci emozioni, ridere, piangere, unire, raccontare, vivere, scherzare… Poi le abbiamo associate ad altrettante immagini del grande fotografo Tony Thorimbert, scegliendo 60 foto spontanee, non posate, tra migliaia di scatti.

«Il potere di essere umani» contiene una critica alla tecnologia?

Non denigriamo la tecnologia e i social media, i nuovi venuti nella galassia di comunicazione. Purtroppo la campagna è partita in contemporanea con l’esplosione della guerra. Ma proprio per questo forse la possiamo leggere come un invito a riflettere ancora di più. Qualcosa che va a toccare l’intimo delle persone.

Avrà dei momenti topici?

Il 9 giugno, giorno della fine della scuola, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, ci sarà il primo Festival della Generazione Zeta, con artisti come Mamhood, Achille Lauro, Blanco, Sangiovanni e molti altri. Finalmente, i teenagers, che dopo due anni di chiusure quasi non sanno cosa sia un concerto, potranno ritrovarsi ad ascoltare musica e ballare, speriamo senza mascherine. Il 31 agosto, invece, all’Arena di Verona Power hits premierà il tormentone dell’estate. L’anno scorso tra le guest star c’erano Ligabue, Gianna Nannini…

Vi seguono e apprezzano tutti i big: qualcuno preferirebbe più sperimentazione?

Nessuno ci snobba. Al Festival della generazione Zeta ci saranno i big, ma anche interpreti meno popolari come Massimo Pericolo, Ditonellapiaga, Gazelle. In questi due anni gli artisti hanno sofferto, ora avvertono il bisogno di incontrare il pubblico, non a caso una come Elisa è andata a Sanremo. La radio serve a unire le persone, una mission che la streaming intelligence non è in grado di assolvere.

Non temete di perdere le avanguardie creative e le nicchie più stimolanti di pubblico?

Anche normalità è un concetto che non va troppo definito, non è sinonimo di banalità. Noi sfruttiamo in pieno tutti gli strumenti tecnologici a disposizione senza stravolgerci. Consapevoli che è sempre meglio parlare di persona che attraverso uno schermo, è sempre meglio la realtà della virtualità. Perciò, un concerto non è sostituibile da una playlist di Spotify. Poi, certo: tutti la usiamo, ma ognuno è diverso dall’altro perché i gusti sono diversi. Mentre, purtroppo, la streaming intelligence e l’algoritmo tendono a uniformarci.

 

Panorama, 11 maggio 2022